giovedì 26 luglio 2018

una piccola brace


Una piccola scintilla, sottesa nella polvere di un camino. Sembra aspettare un soffio che la ravvivi, mentre si nasconde per sfuggire al tempo che inesorabilmente la consuma. Seduto di fronte al camino, nella penombra della stanza, cerco con gli occhi il fievole bagliore che mi racconta della sua vita e di tante esistenze come la sua. Nel palpitare sommesso del tizzone rivedo l’entusiasmo e la speranza, ma anche la vacuità e l’illusione. Sotto la cenere occhieggia e si riaccende come se avesse ancora la voglia forte di divampare senza riuscire a trovarne la forza. Si sta affievolendo, la piccola brace, però vedo che non vuole andare, ed allora la pungolo con l’alare di ottone e la sostengo con un altro zeppo e qualche foglia secca. Improvvisamente si rianima, riprende vigore e cerca di tornare la fiamma di un tempo, ma è solo una vampa passeggera che si esaurisce nello spazio di un ricordo. Eppure non muore. Sotto l’impalpabile coperta di una polvere di velluto, resiste e si nasconde, aspetta e non cede. Spera che l’alito di un mantice misericordioso le fornisca la forza per sprigionare ancora un ultimo bagliore nell’antro sempre più oscuro che la vide prima timida, poi spavalda ed ora irresoluta. In quel tenace piccolo carbone ardente rivedo la mia età che non vuole arrendersi al tempo che passa. Con sulle spalle il manto grigio di una cenere testimone di tanti passati falò, la pepita di fuoco non può più competere con le fiamme vivaci, ma non cede. L’ultima lingua rossa mostrata al mondo, varrà come lo sberleffo finale di chi ha provato a donare un po’ di calore, per quello che ha potuto.

venerdì 6 luglio 2018

La Regina della Querceta


La Regina della Querceta camminava lenta e solenne, tronfia e consapevole del suo ruolo e dell’importanza che rivestiva tra i suoi simili. Che fosse bella glielo ripetevano ogni giorno e più si lasciava massaggiare, curare ed accudire, maggiormente cresceva la sua vanità con l’alterigia propria di una stella in un firmamento di comprimarie. Aveva partecipato a tanti concorsi di bellezza e quasi tutti li aveva vinti con facilità, ma era proprio quel “quasi” che la indispettiva e la rendeva irrequieta. Come nella famosa favola, ogni tanto si specchiava in qualche vasca o laghetto e chiedeva rivolta alla sua immagine: “chi può competere con la mia leggiadria?” E si dava da sola la risposta, sempre la stessa e con sempre più acredine: “Gioia del Trogolo, quella fanatica presuntuosa!” In realtà erano i giudici delle varie competizioni che, talvolta, avevano preferito l’altra a lei, ma per la Regina questo era inconcepibile ed avrebbe fatto di tutto per eliminare la rivale. Lo stesso proposito albergava nell’animo del suo padrone, ma anche in quello del proprietario della Gioia, che ormai da anni si sfidavano in tutte le mostre di bestiame per avere l’onore di essere riconosciuti come i migliori fra gli allevatori e gli orgogliosi possessori della scrofa campionessa.
Il Conte della Berardesca aveva subito riconosciuto nel maialino appena partorito i prodromi di un esemplare eccezionale che avrebbe potuto dargli tante soddisfazioni. Già il peso prometteva grandi cose. Mentre gli altri suinetti venivano al mondo di due/tre chili, “lei” si era presentata sulla bilancia sfoggiando ben sei chili e otto. Inoltre era rosa, compatta, proporzionata e con un vezzoso codino a ricciolo, in sostanza: una regina, e così il conte la chiamò aggiungendo il patronimico della tenuta di famiglia. Per infausta combinazione, nella proprietà del Barone Grisolfi, quasi in contemporanea, la vecchia scrofa di casa sfornava una cucciolata di piccoli grufolanti tra i quali se ne distingueva uno particolarmente avvenente, ovviamente secondo i parametri della bellezza suina. La neonata era il triplo degli altri e si era da subito appropriata della mammella della madre per soddisfare un appetito fuori dal comune e poter ingrassare a dismisura. Il Barone riconobbe a prima vista il carattere e l’ambizione propri di una fuoriclasse, sempre mirata ad eccellere con spirito di sacrificio ed abnegazione, e prese la maialina sotto la sua paterna protezione. Queste due nascite eccezionali si innescavano su una diatriba ormai secolare che contrapponeva le casate dei nobiluomini fin dai tempi più remoti. Avevano entrambe partecipato alle Crociate e se una si era impossessata di un frammento della Croce, l’altra si vantava di possedere la tovaglia originale posata sulla tavola dell’Ultima Cena. Ai tempi delle esplorazioni, i signori della Berardesca si spinsero fino al Polo Sud, ma l’uovo di pinguino che riportarono come testimonianza fece una brutta fine scambiato da un servitore imprevidente per una leccornia da presentare sul desco sotto forma di frittata con le patate. I Grisolfi ne risero, ma anche sulla loro spedizione alle sorgenti del Nilo sorse qualche dubbio. Al ritorno esibirono solamente delle lastre fotografiche sbiadite che rappresentavano delle rapide assolutamente anonime e senza alcun riferimento geografico. Uno della Berardesca, particolarmente maligno, insinuò addirittura una certa somiglianza di quei paesaggi supposti africani con le cascate delle Marmore. Insomma, la guerra per la supremazia tra le famiglie non aveva mai conosciuto armistizio e si perpetuava da una generazione all’altra. Ai giorni nostri, essendo in disuso giostre e tenzoni, lo scontro avveniva principalmente in occasione delle Fiere agricole dove la voglia di prevalere prendeva a pretesto un po’ di tutto, dalla zucca elefantiaca alla pannocchia con più chicchi, fino a sfidarsi sugli animali da primato.
-Non ti angustiare. – Disse il Conte alla Regina. – Per la prossima competizione a Vitorchiano sarai in splendida forma e vincerai a mani, scusa: zampetti, bassi. Non c’è gara, basta che mantieni inalterato l’appetito. Ricorda il motto della casata, mia ma anche tua: « Maxime omnium », ovvero: più di tutti, e tu così devi mangiare. – Ma l’espressione del nobiluomo contrastava con le sue ottimistiche parole. L’allevatore era preoccupato, aveva notato che sul fondo della mangiatoia erano rimaste due secchiate abbondanti di pappone e questo non rientrava nelle abitudini della sua scrofa. Anche gli occhi dell’animale, piccoli ma espressivi, sembravano quasi velati, come se in quel capoccione si aggirassero pensieri estranei al normale corso delle sue giornate. Fino ad allora era bastato il rumore del secchio sbattuto sulla vasca per far accorrere la Regina pimpante ed avida, e non c’era errabonda patata che potesse sottrarsi al suo impeto predatorio. Ma da qualche giorno appariva svogliata, con la testa fra le nuvole. « E’ la primavera. » Pensò il Conte, e con un ultimo cenno d’incoraggiamento verso la sua protetta, si avviò verso la casa padronale dove contava di immergersi nella lettura di « La Psicologia dei maiali non umani. » testo fondamentale per la comprensione dei suini, nell’accezione bestiale del termine.
I giorni scorrevano, la Fiera si approssimava, ma la situazione non mostrava segni di miglioramento. La scrofa continuava ad ostentare un mood esistenzialista, dove la malinconia aveva preso il posto della consueta giovialità. Durante il giorno girellava un po’ per l’aia, ma con l’atteggiamento distaccato di chi aveva capito che la vita è tutta una farsa dove zotici contadini possono gratificarti con coccarde colorate a volontà, ma niente veramente conta nell’economia del creato. Il nobile della Berardesca si era adoperato per risvegliare l’interesse della scrofa tentandola con ogni tipo di mangime possibile e provando addirittura ad imboccarla: senza esito. Lei sembrava aver aderito alla filosofia di Henri Chenot: ingurgitava solo il tot di calorie sufficienti per non scivolare nel deliquio, senza indulgere ad altra tentazione.
Finchè un giorno, mentre stava tornando dal recinto dei maiali verso casa, il Conte non si accorse di un odore particolare che sovrastava il profumo delle Cariopteris e delle Violaciocche.
-Oilà ! - Si disse – Quest’olezzo non si può certamente definire gradevole, eppure sento l’acquolina in bocca e lo stomaco che brontola. Voglio scoprire da dove provviene. – Come un cane da caccia, mise il naso in favore di vento e seguì la scia che, nell’appropinquarsi al confine della prorpietà, diventava sempre più intensa. Quale fu il suo stupore, una volta uscito dal cancello principale, notare addossato al muro di cinta un baracchino avvolto in una nuvola di fumo. Si avvicinò e vide che il gestore dell’attività commerciale ambulante stava arrostendo su un fornello da campo un assortimento di salcicce, costolette e braciole. Dallo sfrigolio delle carni si levava il classico ed irresistibile profumino che induce anche i più riluttanti a sontuose merende e spuntini al limite della lussuria. Il Conte ebbe un’improvvisa folgorazione. Capì che la sua Regina, tanto sensibile e perspicace, aveva da lontano avvertito l’odore e si era in qualche modo immedesimata nel destino dei suoi simili meno fortunati, cadendo in depressione. Come il più battagliero dei suoi antenati, il nobiluomo lanciò un grido di guerra e scacciò con maleparole lo stupito norcino che, avendo paura di opporsi a quel pazzo invasato e urlante, in tutta fretta avviò il motore del furgone allontanadosi verso piazze più accoglienti.
Gioia del Trogolo già si sentiva la coccarda della vincitrice appuntata sul collare, ma dovette rimandare le sue ambizioni quando vide la Regina della Querceta entrare nel recinto di gara alla Fiera, più grassa e ballonzolante che mai.