Ad un certo
punto il professor Pioppi non ce la fece più. Quando, durante l’ultimo incontro
docenti-famiglie, un padre ebbe l’ardire di lamentarsi per l’insufficienza in
pagella riportata dal figlio, lui insorse. Anni di frustrazioni compresse,
nascoste nel sacco ormai vuoto di una pazienza da tempo esaurita, vennero
improvvisamente a galla e, come per una pentola a pressione aperta
incautamente, dalla bocca del professore uscì di tutto. Prese per il bavero
l’attonito genitore e gli urlò in faccia quello che pensava di suo figlio, di
lui, del preside, dei colleghi per finire addirittura col bidello che non
puliva i cessi. Non mancò di accennare al governo, agli dei in generale e a suo
padre che l’aveva voluto far laureare in Lettere. Gli altri docenti, allarmati
dal baccano proveniente dalla sala di ricevimento, si precipitarono a vedere
cosa succedesse, ma rimasero basiti di fronte allo spettacolo di colui che
ritenevano un brav’uomo mite e rispettoso con le mani strette alla gola di uno
stimato avvocato padre di tre alunni dell’Istituto. Il viso del Pioppi era
stravolto, gli occhi fuori dalle orbite, sul capo i capelli scarmigliati, le
gambe aggrappate al tronco dell’altro come una bestia furiosa avida di sangue.
Il prof. di ginnastica, per definizione il meglio attrezzato in fatto di
muscoli, si aggrappò alla schiena del collega indemoniato per staccarlo dalla
preda, ma non fu cosa facile. Finalmente il corpo docente quasi al completo
riuscì a prevalere immobilizzando sul pavimento il pazzo, ma questo non fermò
il fiume ormai tracimato degli improperi e delle lamentazioni. Tutto il bailamme
terminò con l’arrivo di un’ambulanza e di infermieri specializzati.
Trascinarono via il Pioppi mentre si toglieva l’ultima soddisfazione gridando a
squarciagola la sua opinione sulla moralità della professoressa di matematica.
Gli unici che godettero dello spettacolo dall’inizio alla fine furono i
fortunati studenti che si trovavano nei paraggi. Il professore di lettere, seppur
non al massimo della decenza, salì moltissimo nella loro stima per le opinioni del
tutto condivisibili espresse con termini tanto incisivi e, applicando una
proprietà transitiva in quei giorni nel programma di studi, non fu minore la
soddisfazione di vedere malmenato il padre di quei tre che stavano sulle balle
a tutti.
Al povero
professore fu diagnosticato un esaurimento nervoso di prima categoria con
l’imperativo categorico di staccare col lavoro e prendersi un lungo periodo di
aspettativa. Il medico consigliò di andare in una località rilassante, a
contatto con la natura, possibilmente poco frequentata e lontana da qualsiasi
fonte di stress. Il Pioppi, sbolliti i fremiti rivoluzionari, accettò di buon
grado la vacanza forzata e prese in considerazione diverse località dove
soggiornare. Scartò subito il mare, troppo iodio eccitante, mise da parte la
montagna, che proprio non amava, e restò con l’opzione campagnola. Si ricordò
che un collega gli aveva parlato di una sua parente che aveva aperto un bed and
breakfast dalle parti di Gualdo Tadino, praticamente in mezzo al nulla. Gli
sembrò perfetto. Telefonò all’amico ed ebbe la conferma che il casolare si
trovava in prossimità di un bosco ad almeno un quarto d’ora di macchina dal
paese più vicino. Prenotò.
-Buongiorno,
c’è nessuno? – Il professore si affacciò cautamente sulla soglia del portone di
un rustico antico che si ergeva solitario in un mare d’erba punteggiato dal
rosso e dal giallo di papaveri e ginestre. Non ebbe risposta e si avventurò ad
entrare.
-Ehilà! –
Disse ancora. –E’ permesso?
-Eccomi,
eccomi! – Una vocina giunse da un’altra stanza e poco dopo una bambinetta di
dieci o dodici anni venne avanti per accogliere il nuovo venuto. L’uomo si
aspettava di trovare la padrona di casa, non certo una ragazzina con le trecce
ed il grembiule.
-Scusami,
sono il professor Pioppi. Avrei prenotato una stanza, non c’è tua madre?
-Buon
pomeriggio professore, si lo so, mia madre mi ha avvertito. Io sono Caterina. La
prego, si accomodi. La mamma è dovuta andare in paese, ma tornerà presto. – Al nuovo
venuto sembrava di essere capitato in una favola dei fratelli Grimm. La casa
ordinata e linda con dei bei vasi di fiori profumati disposti sui mobili, la
bambinetta educata e sorridente, il fruscio del vento tra gli arbusti e lo
zinzilulare di qualche rondine in volo. Sembrava tutto far parte di una perfetta
scenografia dove riuscire a placare gli affanni dell’anima.
-Bene, bene.
– Rispose l’ospite e, inaspettatamente, venne preso per mano dalla bambina e
condotto nel salotto sul retro della casa. Caterina fece sedere il professore su
di un comodo divano sistemato proprio davanti una grande porta-finestra
completamente spalancata e poi, compita, prese posto su una seggiola di fronte
a lui.
-Professore,
le dà fastidio la finestra aperta?
-No, no
assolutamente.
-Vede, -
spiegò fanciulla – la mia mamma vuole che quella porta-finestra rimanga aperta
per tutto il giorno, fino al momento di andare a letto.
-Oh, bella.
E perché mai?
-Deve
sapere, professore, che non più di un anno fa ci è successa una cosa terribile.
Non le dispiace, vero, se mi confido un po’ con lei?
-Cara bambina,
ti prego, sfogati pure. – Caterina, con un gesto veloce della mano si
stropicciò gli occhi improvvisamente umidi, poi si scostò dal viso una ciocca
dei biondi capelli e cominciò il racconto con voce tremula.
-In un
pomeriggio più o meno come questo, mio padre con i miei due fratelli maggiori
decise di andare a caccia con il cane, come faceva di solito. Era solo una
scappata, diciamo una passeggiata, prima di tornare per la cena, la caccia era
solo una scusa. La mamma li salutò e li vide uscire da quella porta finestra
diretti verso il bosco. Poi venne la sera, il sole calò e si fece notte, ma i
tre non tornarono ancora. La mamma dette l’allarme e tutto il paese li cercò a
lungo, ma non furono più trovati.
-Come mi
dispiace, povera donna.
-La mamma
soffrì molto e non volle rassegnarsi. E’ da allora che teniamo sempre aperta la
porta-finestra perché un giorno potrebbero tornare, almeno così dice mamma. Talvolta
nelle sere placide e calme come questa, ho quasi l’agghiacciante sensazione che
stiano per varcare tutti insieme quell’ingresso. – Il professore rimase colpito
e commosso dalla triste storia.
-La prego,
-disse ancora Caterina – non dica niente alla mamma quando arriverà. Sa, è
sempre nervosa, la sua mente… In fondo perché toglierle ogni illusione?
-No, certo,
non ti preoccupare. – Assicurò il professore. Proprio in quel mentre, da fuori
giunse il rumore di una frenata sul ghiaietto del cortile e si udì una voce
allegra:
-Caterina, è
arrivato il nostro ospite? – Nel salotto entrò una bella signora con il sorriso
uguale alla figlia ed una sporta in mano. – Ah, professor Pioppi, benvenuto!
Vedo che Caterina la sta intrattenendo. Spero non la disturbi.
-Assolutamente
no, signora. Sua figlia è deliziosa. – disse il professore alzandosi in piedi.
-La prego,
stia comodo. Mi auguro che la finestra
aperta non le dia fastidio. Mio marito ed i miei due figli rientreranno presto
per la cena. Ma di cosa stavate parlando? – Il professore inventò lì per lì un
qualsiasi argomento per distrarre la buona donna dalla sua ossessione.
Intavolarono una conversazione per qualche minuto, ma senza alcuna avvisaglia, improvvisamente:
-Ecco! –Disse
la signora volgendo lo sguardo verso l’esterno. – Li sento, stanno arrivando. –
Il Pioppi guardò immediatamente Caterina e si gelò. La bambina stava con gli
occhi sbarrati fissi sulla porta-finestra come se anche lei avesse avvertito
qualcosa. Travolto da una scarica di terrore, il professore si voltò sulla
poltrona e diresse lo sguardo nella medesima direzione. Nel tramonto sempre più fitto, tre figure
avanzavano verso la casa con appresso un cane. Una di queste, la più
gigantesca, fece un passo dentro al salotto. Si sentì il rumore di uno stivale
sul pavimento ed il cane latrò furiosamente.
Per il
Pioppi fu troppo. Con i capelli ritti sulla testa, raccolse la valigia lasciata
all’entrata e scappò via a tutta velocità. La sua macchinetta sfrecciò nella
notte come una stella cadente nell’oscurità del cielo.
-Ma perché quello
se ne è andato così? Sembrava avesse visto un fantasma. –Disse il marito
rivolgendosi a sua moglie altrettanto stupita.
-Non ne ho
idea. Mi pareva una persona tanto a modo. Caterina, tu ne sai qualcosa?
-Ioooo??? –
Rispose la fanciulla. – Forse si sarà spaventato del cane. Mi aveva raccontato
che da piccolo era stato morso e poi era rimasto con la paura dei cani.
Improvvisare
storie era la specialità della fanciulla.