In una parte
della terrazza che dal Pincio si affaccia sul centro di Roma, capita spesso di
incontrare un vecchietto seduto su uno sgabello, nascosto dietro un grosso
cespuglio di palloncini colorati. Arriva tutte le mattine, almeno quando non
piove, apre il trespolo pieghevole e posa in terra una grossa cesta di vimini
come quelle che i contadini di una volta costruivano in casa durante le sere
d’inverno. Si aggiusta sul capo un consunto cappello di feltro nero, tira su
col naso e tuffa le mani nel paniere. Ad uno ad uno caccia fuori dei vermicelli
colorati, se ne mette in bocca un’estremità e, come un suonatore di tromba, abbotta
le gote soffiando con vigore. I pezzetti di plastica prendono vita, si
scuotono, si riempiono e d’incanto diventano dei salamoni variopinti. Lui li prende,
li strozza e li contorce con dita agili seguendo una tecnica ben precisa
imparata a forza di provare. Nascono così un pesce, una spada, una corona e
qualsiasi altra cosa gli passi per la mente. Ma la magia non finisce qui: dalla
sporta recupera una bomboletta e con un breve “fuscccccc” trasforma altri
vermicelli piatti in tondi palloncini. Subito spiccano il volo facce da clown
di tutti i colori che scapperebbero seguendo i capricci del vento se non ci
fosse una bianca cordicella a trattenerli legati al manico della cesta.
Sbattono tra loro, si piegano e stormiscono come le fronde di un favoloso albero
carico di frutti volanti, mentre dall’alto guardano quell’angolo di serenità
ritagliato nel caos cittadino.
Gigina tirò
forte la gonna della madre.
-Lo voglio,
me lo compri? – Si beccò subito un’occhiataccia.
-Lo sai, non
devi dire “voglio” e chiedere per favore. Quante volte te lo devo ripetere?
-Lo voglio,
lo voglio, lo voglio…
-Ok, ok!
Stai buona. – L’educazione per una mamma stressata è sempre un compromesso tra
i giusti insegnamenti e la pazienza residua. Gli occhi della bambina brillavano
di desiderio non sapendo dove soffermarsi tra quei fantastici pupazzi fatti di
aria. Gigina si avvicinò al vecchietto con il suo solito sorriso contagioso che
avrebbe aperto il cuore anche al più burbero dei misantropi.
-Cosa ti
posso dare, signorina? – le chiese il venditore che, seduto e rimpicciolito dal
tempo, arrivava giusto giusto a guardarsi negli occhi con la piccola. Quella
era una domanda impegnativa. Lei avrebbe preso tutto, ma sapeva che qualsiasi
capriccio deve avere un limite, altrimenti ottiene l’effetto contrario.
-Vorrei… un
barboncino rosa!
-Pronti. –
disse l’ometto e in men che non si dica “Fuuut, sgrinc, tong, sgroink!” ecco
nascere dall’incrocio di due palloncini oblunghi un barboncino rosa con il
musetto, le orecchie e la coda a batuffolo al posto giusto. Poi lo porse alla
bambina e lei lo prese stringendolo al petto come se fosse un animaletto vero. Gigina
rimase un momento pensierosa quindi guardò la mamma, da sotto in su.
-Però… - se
ne uscì.
-Però, cosa?
Non ti piace? – chiese la madre.
-Si, si, ma
voglio anche un palloncino che vola.
-Ti ho già
detto…
-Scusa,
scusa. Vorrei, per favore, un palloncino che vola. – Gigina accompagnò la
richiesta con un sorriso irresistibile al quale non si poteva dire di no.
-Va bene, –
le rispose la mamma aggiungendo con aria falsamente severa: - ma poi per oggi
basta. In più mi devi promettere di fare la brava, lavarti bene i denti e
mettere a posto la tua cameretta. – Giusto per far valere una parvenza di
autorità. La bambina annuì più volte muovendo la testa mentre le treccine ai
lati del capo svolazzarono come le code di piccoli pony imbizzarriti.
Autorizzato dalla mamma, il venditore si avvicinò alla cesta, afferrò il
mazzetto di fili bianchi e ne sbrogliò uno. Tirando delicatamente, fece uscire
dal gruppo dei compagni un bel faccione da pagliaccio tutto giallo col naso
rosso che immediatamente prese vita ballonzolando felice e leggero.
-Dammi la
mano – disse il vecchietto alla bambina che, timidamente, allungò il braccio. Lui
legò il filo al polso grassottello e poi lo lasciò andare. Gigina, con stretto
al petto il barboncino e sopra di lei il palloncino, non seppe trattenere la
felicità e cominciò a correre tutt’intorno al piazzale del Pincio accompagnata
dallo sguardo divertito della mamma. Ma forse il laccio era annodato male ed il
palloncino improvvisamente scappò via volando sempre più in alto nel cielo.
Gigina scoppiò in un pianto dirotto:
-Dov’è
andato a finire il mio palloncino? – Singhiozzava disperata. La mamma,
intenerita, la prese in braccio e s’inventò una storia come solo le mamme, e
qualche volta i nonni, sanno fare.
-Vedi,
Gigina, quelle nuvolette lassù? Lì sono nascosti degli angioletti che ti hanno
visto col palloncino e avrebbero tanto voluto giocare con te. Però non possono
scendere sulla Terra, altrimenti li vedrebbero tutti, ed allora aspettano che
un palloncino sfugga ad un bambino per volare fino a loro, prenderlo e
divertirsi.
-Ma…io?
-Tu devi
essere contenta perché hai reso felice un angioletto che, da adesso in poi,
sarà il tuo amico invisibile e ti proteggerà per tutta la vita.
Gigina
considerò come valesse la pena perdere un palloncino per trovare un amico e,
asciugandosi un lacrimone con la manina, ritrovò il sorriso.