venerdì 4 settembre 2020

Una Favola

 

C’era una volta, tanto tempo fa, un regno governato da un Re buono che amava i suoi sudditi come un padre. Il regno non era grande, poco più di un campo molto vasto, ed era racchiuso tra alte montagne dalle cime innevate. I monti facevano da schermo ai venti freddi del nord ed all’invasione di altre genti lasciando vivere la valle in pace, anche se isolata dal resto del mondo. Era un piccolo paradiso naturale. Ruscelli d’acqua pura portavano ristoro e refrigerio nelle giornate più calde, sugli alberi cresceva ogni varietà di frutti dalla polpa succosa, cerbiatti sgambettavano liberi nei prati e variopinti uccellini mai stanchi cinguettavano tutto il giorno. I campi erano fertili, le galline producevano delle uova grosse come mele ed il miele delle api era tanto abbondante che i magazzini traboccavano di caramelle lasciate dai bambini perché non facevano in tempo a mangiarle. La capitale del regno era la più bella città della vallata, anche perché era l’unica. Disponeva di tutte le comodità: un autobus che girava senza sosta per trasportare i cittadini da una parte all’altra ed anche un taxi che, gratuitamente, accompagnava chi non voleva aspettare alla fermate. Il Re aveva anche fatto costruire un bel Luna Park pieno di attrazioni per far felici i piccoli ed un Circolo ricreativo dove gli anziani giocavano a carte. Nella piazza principale troneggiava un maestoso monumento pieno di statue sorridenti con una dedica scolpita sul basamento: “Alla felicità alla quale ogni uomo deve tendere”. Ogni casa era tinteggiata di un colore diverso dall’altra ed un artista pieno di fantasia aveva creato delle sculture posizionate qua e là che non rappresentavano niente, ma facevano sognare. Ci si potrà chiedere come mai questo regno fosse tanto fortunato in un mondo sempre in guerra e con tante brutture. Ebbene, siccome il Re teneva tanto alla sua gente, appena salito sul trono pensò subito di stipulare un patto col Mago della Montagna. Questo Mago era il vero padrone della valle, viveva in una grotta vicina alla cima più alta e da lì controllava tutto il suo territorio. Deteneva il potere di decidere del bene e del male, poteva far splendere il sole o far piovere, seccare i raccolti o concedere ogni abbondanza. Il Re propose al Mago che, in cambio della possibilità per i suoi amati sudditi di vivere in un posto incantevole, mai nessuno avrebbe lasciato la valle per recarsi in altri paesi. Il Mago accettò per quieto vivere e d’allora in poi mantenne la sua promessa creando nella sua valle un’oasi di delizie. Ogni tanto, mascherato come un viandante qualsiasi, scendeva dalla sua caverna e si mescolava agli abitanti della città, gli piaceva frequentare qualche osteria per bere un buon bicchiere di vino facendo una partita a carte con i paesani. Lassù, sulla montagna, viveva da solo e scambiare quattro chiacchiere senza far capire chi fosse, lo divertiva molto. Ascoltava i discorsi della gente e si rendeva partecipe dei problemi di una comunità che, in realtà, non avrebbe dovuto avere problemi vivendo dove non mancava niente a nessuno. La popolazione si poteva sfamare in abbondanza senza spendere niente, si viveva in pace, la natura era benigna ed il governo bendisposto. Cos’altro si poteva desiderare? Eppure sembrava che fossero tutti insoddisfatti. C’era chi non era contento di vivere un’eterna primavera e voleva quelle belle giornate di pioggia e cielo grigio che aveva visto in qualche fotografia, chi mugugnava perché avrebbe voluto andare fuori dalla valle e girare il mondo e chi si lamentava per il gusto di lamentarsi. Non solo, spesso scoppiavano liti furibonde tra le persone che si rinfacciavano le cose più assurde. C’era chi accusava il vicino di avergli rubato gli zoccoli, chi era geloso e urlava contro la moglie, chi provava invidia se vedeva un conoscente indossare una giacchetta nuova. Insomma i paesani sembravano azzuffarsi in continuazione, non accorgendosi dei tramonti incantati e delle magiche albe. Quando si ritrovavano all’osteria, gli uomini spesso si ubriacavano e facevano a botte o inveivano contro il destino che, secondo loro, li privava di qualsiasi preoccupazione mentre, dicevano, sarebbe stato bello avere qualche problema che rendesse la vita meno monotona. Una sera, mentre il Mago della Montagna si trovava in incognito tra di loro, successe l’irreparabile. Uno fra i più scalmanati dei paesani, dopo aver maledetto il giorno in cui era nato e tutto quello che gli passava per la mente, ad un certo punto esclamò: “E soprattutto, sia maledetto il Mago che gioca con le nostre vite. Che possa scivolare dalla sua grotta sulla montagna e rompersi tutte le ossa. Io non lo aiuterei di certo, anzi ne sarei contento!” A questa invettiva molti risero, qualcuno urlò: “Bravo! Giusto!”, mentre nessuno mostrò la minima riconoscenza per chi aveva dato loro la possibilità di vivere in pace. Il Mago, sentendo quelle parole, ma soprattutto non vedendo neanche uno che prendesse le sue difese, si arrabbiò moltissimo. Non disse niente e, sempre senza farsi riconoscere, tornò nella sua grotta deciso a farla pagare a quel popolo di ingrati. Ci pensò su per un po’ e poi mise in atto una vendetta terribile. Con un incantesimo creò una zanzara piccolissima, nessuno la poteva vedere tanto era piccola, con il compito di pungere tutti gli abitanti della valle iniettando un veleno che li avrebbe fatti stare malissimo, addirittura avrebbe potuto farli morire. E poi liberò l’animaletto. Questo si intrufolò tra le gente cominciando il suo lavoro. Morse, punse, succhiò e gli uomini, le donne ed i bambini cominciarono ad ammalarsi e qualcuno anche a morire. Gli abitanti della valle erano disperati, non sapevano come difendersi da un pericolo che non avevano mai conosciuto prima e che non vedevano. Piangevano, imploravano e finalmente qualcuno, nel dolore, rimpianse la fortuna che aveva perso. Si accorsero di quanto erano stati pazzi nel disprezzare la serenità delle cose semplici e di come avessero dato per scontati i doni della valle. “Eh, - disse quello stesso che aveva maledetto il Mago – se potessimo tornare indietro! Avremmo potuto essere felici e non ce ne rendevamo conto. Avevamo tutto e l’abbiamo disprezzato, adesso scontiamo il nostro peccato di superbia.  Chi mai ci aiuterà?” E mentre lo diceva si asciugava le lacrime, pieno di rimorsi. Il Mago sentì i lamenti e vide il dolore, ma era troppo offeso per darvi peso, anzi sentiva di aver dato la giusta lezione a quella popolazione così priva di riconoscenza. Anche il Re partecipava del dramma e penava nel constare come la valle incantata, improvvisamente si fosse trasformata in una terra desolata. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per porre fine a quella disgrazia, ma in realtà non poteva niente. L’unico che aveva il potere di aiutare la popolazione era il Mago e da lui si recò il Re tutto vestito di nero e senza la corona. Bussò alla porta della caverna del Mago, ma non gli fu aperto. Tornò il giorno dopo, ma ancora l’uscio rimase chiuso. Così andò avanti ogni giorno di ogni mese per nove mesi consecutivi: il Re chiedeva udienza e il Mago faceva finta di non sentirlo. Finché, finalmente, il padrone della valle non si impietosì vedendo quel vecchio, ormai stanco, non rassegnarsi alla sorte dei suoi sudditi e lo fece entrare. “Cosa vuoi?” chiese il Mago. “Pietà, grande Mago. Pietà per il mio popolo che patisce e muore.” Il Mago vide il volto del Re provato dalla fatica e con gli occhi pieni di lacrime e si sentì toccare nell’anima. Capì come quell’unico uomo buono fosse sufficiente per salvare tutti gli altri e come non fosse giusto che la malvagità di alcuni causasse la sofferenza di chi non lo meritava. Decise quindi che la punizione era durata abbastanza, sperando che i valligiani avessero capito la lezione. Con un incantesimo tramutò la zanzara in granelli di polvere che il vento disperse e la valle fu liberata immediatamente dal terribile contagio. Il Re tornò fra i suoi sudditi che già cominciavano a guarire ed a ritrovare il sorriso. Da quel giorno i paesani ricominciarono a godere del profumo dei fiori, della dolcezza dell’aria e della bellezza del paesaggio. Nessuno si lamentò più e vissero tutti felici e contenti. Il Re dette un grande banchetto per festeggiare la fine dell’epidemia. Ci furono canti, balli e tanto amore.

Stretta la foglia, larga la via, dite la vostra che ho detto la mia.

No, non è vero. I paesani, dopo un primo periodo di sollievo, ricominciarono la vita di sempre. Non appresero niente da quella lezione di vita e tornarono litigiosi, gretti ed ingrati, com’è nella natura umana. Ripresero a farsi la guerra per i motivi più stupidi mentre il mondo moriva di egoismo. La zanzara dissolta nel vento si chiamava Covid e forse aveva qualche parente.

Stretta la foglia, larga la via, c’è poco da dire, e così sia.