mercoledì 11 novembre 2020

A occhi chiusi

 

“…perché conta anche l'istante. Il tempo determina le cose a suo capriccio, e ad esso noi dobbiamo adeguare le nostre azioni. A volte il tempo ci offre una possibilità, legata appunto a un istante preciso, ma se ce lo lasciamo sfuggire non possiamo fare più nulla.” Ma non adesso. Le palpebre scivolano pesanti mentre il sole, come un intruso prepotente, penetra oltre la finestra chiusa. Quel calore sulla guancia riporta a sensazioni di un’estate ormai trascorsa ed una piccola malinconia si avverte in fondo all’anima quieta. E la mente va. Vola oltre i problemi di oggi ed i rimpianti di ieri per librarsi alta dove le nuvole corrono incontro all’orizzonte. Una mosca si posa sul ginocchio e quel fastidio, per quanto minimo, riporta giù, alla quotidiana fisicità. Un colpo con la mano ed il viaggio riprende. Un ricordo antico legato al profumo di un abbraccio mai troppo lungo, mentre una madre esce per vivere una vita che sembrava più felice. E il vento. Il vento che faceva muro nella corsa a ghermire una passione, a mordere un momento. Un volto, un affetto: un figlio o l’amore che in questo momento di solitudine mancano, ma non sono distanti. O forse anche solamente il vuoto, in un vuoto che non c’è mai, per recuperare la forza e ritrovare se stessi. Ma il tempo passa, il sole gira e le ombre si allungano dentro la stanza. La mosca, fulgido esempio di sciocca perseveranza, torna e di nuovo uno schiaffo senza esito nell’ennesimo sforzo inutile di gesti senza risultato. L’incantesimo è rotto, tanto vale riprendere il libro, mentre una sottile felicità scappa inseguendo i sogni.

domenica 1 novembre 2020

Moneypenny

 



-Moneypenny, rintracci 007 e lo faccia venire nel mio ufficio. Subito. – Quando il capo dell’MI5 era di quell’umore conveniva muoversi in fretta, senza discutere.

-Provvedo immediatamente. – Rispose la segretaria all’interfono. Moneypenny immaginò come sarebbe stato bello applicare addosso all’agente un qualche dispositivo per poterlo contattare immediatamente in ogni parte del mondo, ma agli inizi degli anni sessanta le comunicazioni avvenivano solo tramite telefono e spesso i collegamenti non erano neanche molto facili. Con un sospiro, la solerte segretaria infilò l’indice nella ghiera numerata e compose un numero corrispondente al primo di una lista di posti dove il suo preferito doppio zero avrebbe potuto cacciarsi.

-White’s club, buongiorno. Risponde Mortimer alla concierge, come posso essere utile?

-Buongiorno, chiamo dalla International Import Export Ltd, potrei parlare con mr. Bond, cortesemente?

- Verifico se il comandante Bond è presente nel club. Attenda, prego. – Dopo qualche minuto, una calda voce dal forte accento gallese rispose al telefono.

-Moneypenny, se mi chiami per andare a cena insieme stasera, sei la benvenuta, altrimenti dovresti sapere che quando mi rifugio al club mi auguro di non essere disturbato per alcun motivo salvo che per imminenti pericoli alla pace del mondo. Scegli una delle due opzioni.

-Sai bene James che darei una settimana del mio misero salario da impiegata per dividere con te un cartoccio di fish and chips, ma per questa volta dovremo rimandare. La pace del mondo non so come stia, ma l’umore del capo è decisamente nero. Devi presentarti al più presto, lascia i bagordi e precipitati subito a Leconfield House.

-Di quali bagordi stai parlando? Il White’s non ammette presenze femminili e chiacchierare con il colonello Snuff non lo si può certo definire il massimo del divertimento. Vengo in ufficio, almeno là l’atmosfera sarà sicuramente più vivace. E poi così ci rivedremo, non vedo l’ora. – la Bentley Type R modificata fece un solo boccone della distanza che separava St. James Street dalla sede dei Servizi Segreti di Sua Maestà e, in men che non si dica, l’agente si fece annunciare al Direttore.

-Si sieda 007. - M era a capo dei Servizi Segreti di Sua Maestà ormai da molti anni e tra i suoi sottoposti si mormorava che mai nessuno l’avesse visto sorridere o prendersi una vacanza. Probabilmente era una leggenda, ma più il funzionario avanzava con l'età, maggiormente la sua espressione assomigliava a quella di un vecchio bulldog incattivito. Bond ne era abituato e si accomodò sulla poltrona di fronte alla scrivania con la serena disponibilità d’animo di una padrona di casa all’ora del tè.

-L’ho convocata – continuò il Direttore – per affidarle un incarico molto urgente. Non ritengo sia particolarmente difficile o pericoloso, ma si tratta di sicurezza nazionale e pertanto gli uffici dello Scacchiere hanno incaricato noi di provvedere.

-Finalmente una missione di tutto riposo, la prego continui.

-Deve sapere, James, che un informatore ritenuto affidabile ci ha segnalato che un microchip classificato dal KGB come “XW119” con l’elenco delle spie sovietiche sul territorio nazionale è attualmente nelle mani di un agente russo sotto copertura operante qui a Londra. Ebbene, lei deve solamente entrare in possesso di quel dispositivo. Facile e veloce. Che ne pensa? – Bond operava sul campo da ormai troppi anni per non sapere che qualsiasi operazione, anche la più banale, poteva rivelarsi una trappola mortale, ma ormai c’era abituato.

-Bene, se è così agevole, perché mettere in campo uno 00 con licenza d’uccidere? Forse sarebbe bastato un semplice agente, non crede? – La faccia da bulldog scrollò la testa come un cane uscito da una pozzanghera e, ma forse questa era solo l’impressione di Bond, emise un sordo brontolio di insoddisfazione come se un osso si fosse dimostrato più duro da mordere del previsto.

-Non intendo discutere i miei ordini con lei. Passi da Moneypenny e si faccia consegnare il dossier con le informazioni necessarie, poi vada da Q per rifornirsi di quelle stupidaggini che a voi agenti piacciono tanto e quindi si metta in moto, subito. Vada!

-Sissignore, agli ordini. – Una rapida posizione sull’attenti, ma sempre con il solito sorriso al limite della strafottenza sulle labbra, e l’agente lasciò l’ufficio del capo. Nell’anticamera, quel gioiellino di segretaria a disposizione del cerbero al di là della porta, l’accolse con il solito entusiasmo e un poco di rossetto in più sulle labbra.

-Ecco James, in questa cartellina troverai tutto sul caso.

-Se non esistessi, Moneypenny, dovrebbero inventarti. Ma forse neanche Leonardo saprebbe mettere insieme i tuoi occhi con la tua efficienza. Te l’ho mai detto che sei impagabile?

-No, ma preferirei che mi dicessi che ti piaccio per altro che non sia il lavoro. Magari confidato a lume di candela sorseggiando due coppe di Champagne.

-Champagne promesso a fine missione. Ma adesso aggiornami tu, brevemente. Chi è questo agente russo che possiede il microchip e dove risiede?

-Ecco, hai cambiato subito discorso, ma va bene. Vivrò nell’attesa che tu mantenga la promessa del Dom Perignon ghiacciato. Comunque, la spia si chiama Elina Shapova e vive in un appartamento a Chelsea. Dalle ultime intercettazioni riteniamo che si debba incontrare con qualcuno per consegnare il chip proprio nel suo appartamento nel pomeriggio di domani. Devi sottrarglielo prima di allora. Facile per te, no?

-Basta! Dite tutti che sia facile, allora vacci tu con M se siete tanto bravi. Vado via, prima di prenderti sulle ginocchia e sculacciarti come meriteresti.

-Oh, James, fallo! – Ma l’agente, ligio al dovere, recuperò il cappello sull’appendiabiti e uscì dall’ufficio avviandosi verso l’antro di Q.

Gli inventori sono tutti un po’ pazzi, se sono bravi e Q era molto bravo e molto pazzo. Il suo laboratorio detto “l’antro”, perché situato nei sottosuoli dell’edificio, somigliava alla cantina di un rigattiere. Si potevano trovare manichini che improvvisamente prendevano fuoco o penne stilografiche caricate ad acido; ombrelli con la punta al curaro e orologi facenti funzione di contatori Geiger o tirapugni. Qualsiasi cosa basta che l’apparenza non corrispondesse alla funzione, almeno non solamente, e che fosse in qualche modo letale.

-Allora 007, ti posso dare… - Q sembrava l’imbonitore di una fiera di paese – Una dentiera che quando spalanchi la bocca partono i denti come proiettili. Uhmm, no. Mocassini di Gucci che a contatto dell’acqua si gonfiano diventando canotti. Uhmm, no, specialmente col nostro clima potrebbero diventare imbarazzanti. Ecco: una cinta che si può allungare fino a venti metri per fughe da finestre o per legare qualche birbaccione. Uhmm, oppure…

-Fermati Q! Dammi solamente la boccetta di Floris 89 che ti ho fatto ordinare in Jermyn Street.

-Ma non ha niente di particolare.

-Forse per te, ma è il mio profumo ed è un’arma che stende tutte le donne. Comunque mi serviva e così mi hai risparmiato di andarlo a comprare. Per oggi basta così, grazie Q. – L’espressione dello scienziato mostrò tutta la sua delusione, ma presto la deflagrazione di un orsacchiotto di peluche distrasse la sua attenzione.

Le indicazioni contenute nel dossier erano precise e Bond dovette solo escogitare un trucco per entrare in casa della spia. Fece la cosa più semplice. Con l’aiuto della compagnia telefonica isolò la linea dell’appartamento con l’intento di spacciarsi per un tecnico addetto alla riparazione. Poi una volta entrato avrebbe agito.

-Chi è? – Una voce femminile al citofono rispose agli squilli prolungati.

-Mi chiamo Bond, James Bond, sono l’operaio della British Telecom. Posso entrare?

- Venga, primo piano, le apro la porta. – Di tutta l’operazione la parte più sgradevole per il doppio zero era stata il dover indossare una tuta di cotone che avrebbe fatto rabbrividire tutta Savile Row qualora avesse avuto il coraggio di avventurarvisi.

Bisogna dire che il KGB aveva un ottimo gusto in fatto di spie. Femminili, s’intende. Tovarisch Elina poteva essere una modella d’alta moda o il prototipo di una madonna botticelliana. Alta e flessuosa come un giunco siberiano, i capelli biondi raccolti sulla nuca e due occhi dove si rispecchiava il Mar Baltico. Una bellezza che si sarebbe potuta definire algida se, in fondo allo sguardo, non ci fossero state lingue di un fuoco che sottintendeva passione.

Bond non aveva mai disprezzato di unire l’utile al dilettevole e, in men che non si dica, si ritrovò a letto con la spia che veniva dal freddo. Però ancora non aveva un piano per trovare il microchip. Incominciarono ad adoperarsi nello sport nazionale di tutte le nazioni con la foga di due veri campioni. Improvvisamente, anche il quel mentre, allo doppio zero venne in mente il trucco per adempiere alla missione. Si mise d’impegno e cominciò a pensare alla vecchia zia Mary, poi s’immaginò di essere convocato dall’ufficio delle tasse, quindi si figurò M con guepiere e calze a rete. Questa serie di immagini raccapriccianti ebbe effetto sulla sua virilità che, sicuramente per la prima ed ultima volta, svanì come una chiocciola dentro al guscio.

-Scusami, non so cosa mi succede.

-Non preoccuparti, lyubov. Posso fare qualcosa per te?

-Sarebbe meraviglioso se tu potessi andare alla farmacia all’angolo e comprare il ricostituente che ora ti scrivo. Mi fa sempre molto bene e sono sicuro che potrei riprendermi pienamente.

-Veramente non posso allontanarmi.

-Ti prego. – Bond non aveva mai pregato nessuno, tantomeno una donna, ma era in servizio e tutto veniva concesso per giungere al risultato finale.

A lei il muscoloso finto operaio piaceva assai e siccome si dice che per le siberiane tiri più forte il pelo di un orso che altre cose, si rivestì velocemente e uscì.

Bond, con un balzo, scese dal letto. Aveva la casa a disposizione e, forte della sua esperienza, iniziò un’attenta perquisizione. Qualcosa piccolo come un miscrochip doveva essere custodito in un contenitore adatto. Rifletté rapidamente, poi prese la trousse da trucco della ragazza e ne rovesciò il contenuto sul letto. Aprì i vari astucci finché non prese il tubetto del rossetto. Lo svitò e si avvicinò allo specchio sulla parete di fronte al letto “We only live…” cominciò a scrivere, ma la cera rossa come la passione si consumò subito svelando il piccolo tesoro nascosto.

L’agente segreto prese il bottino e si allontanò velocemente dalla casa di Elina lasciando una spia sconfitta ed una donna insoddisfatta.

M fu contento della missione compiuta, ma dovette fare un patto con 007. Sui rapporti dell’intelligence non si sarebbe dovuta menzionare la debacle dell’agente, altrimenti sarebbe diventato lo zimbello di tutto il Servizio Segreto di Sua Maestà.

Anche lo stesso Bond non fece mai menzione di questa missione, ma dopo tanto tempo chi scrive pensa di potersi prendere la licenza di raccontare.