Quel vecchio
ha una storia da raccontare. Una storia che non sa quando ha sentito, se ha
letto da qualche parte o se nasce dai suoi sogni. Una storia che narra di
infiniti orizzonti, ma che non ha un inizio; una storia che descrive piccole
cose, ma non ha una fine. Un racconto slegato dove tutto ha un senso, parole in
libertà che si annodano con la poesia. Ce l’ha chiara, quel vecchio, la storia,
ma gli mancano le parole, o forse ne ha troppe che premono per uscire dalla sua
bocca, che vogliono farsi sentire o perdersi nell’aria come foglie cadute da un
albero, che narrano di vita e di rimpianto. Vorrebbe raccontarla a chi vive di
malizia e a chi si riscopre bambino, a chi si ferma per un attimo e a chi
quell’attimo non lo trova; a chi ancora non è stanco e a chi sfoglia con
curiosità, a chi chiede e a chi non ne ha il coraggio. Una storia dove non ci
sono protagonisti, dove la musica parla suggerendo senza dire, che si svolge su
un palcoscenico costruito sulle nuvole mentre di quinta è il cielo. Una favola
o un dramma, un fatto o una fantasia, per ridere, pensare, lasciarsi andare e
non piangere. Senza significato, che non sia possibile ricordare, che lasci solo
una sensazione, un timido languore di angoli nascosti. Il vecchio comincia a
raccontare mentre il sole tramonta, ma non dice mai “c’era una volta” e la
notte amica accompagna le sue parole. A volte si ferma, ma la storia, una volta
nata, non è più sua e vive come quelle piccole testarde falene che non hanno
pace finché non si bruciano sulla fiamma. La fiamma di qualche anima inquieta o
di una speranza celata, di un diapason all’unisono col cuore del vecchio che
quella storia fa vibrare.
Quel vecchio
io lo voglio ascoltare, lo conosco.