domenica 23 novembre 2014

Lei sta con te

Il motivo per il quale vengo a “La Cave”? Principalmente perché mi sta sotto casa. E’ un locale buio e poco raccomandabile dove le signorine “per bene” non mettono piede, ma si possono scambiare quattro chiacchiere con quelle “poco per bene” che spesso sono solo più sincere delle altre. Una musica, che sembra sempre la stessa, viene diffusa da vecchi, grandi, altoparlanti sistemati negli angoli e ti rimbomba nello stomaco ritmando i bassi senza melodia. Fitta, una nebbia di sigarette e di fumo sbiadisce il profilo dei clienti dando una illusoria parvenza di privacy per chi vive piccoli incontri clandestini o a chi vorrebbe passare inosservato. Io non voglio restare nella mia mansarda all’ultimo piano, solo, a ripensare a tante cose. Se non esco, rivedo il cuscino sul divano, il quadro che abbiamo appeso insieme, quella strusciata sul muro lasciata dalla sua borsa mentre usciva di fretta. Mi sembra di risentire il suo profumo ed il suo odore, la sua piccola risata ed il suo ultimo urlo. Mi ha lasciato, con tutta la ragione dalla sua parte. Abbiamo passato bei momenti insieme, ma le ho rovinato la vita. Quando lei, guardandomi decisa, ma con gli occhi pieni di lacrime, ha buttato le sue chiavi di casa sul mobile e mi ha detto: “Vivi la tua vita, io non ce la faccio più!” scappando fuori, mi ha tirato tanti sassi quante erano le sue parole. Lo so, non si muore per amore, ma da allora è solo il mio corpo che si trascina nel quotidiano: qualcosa, dentro, non va’. E allora, fuori! Nella caverna dove mi aspetta il mio più caro amico dietro al bancone del bar, pronto a consolarmi con la mia più cara amica vestita di vetro. Mario è disposto ad ascoltarmi, facendo dei circoletti con lo straccio per asciugare eterni aloni e briciole. Ad un mio cenno rabbocca il bicchiere, senza giudicare né stancarsi mai. Lo sguardo, cinico ed ironico, racconta della sua vita e delle tante storie che sono state riversate sul suo bancone rotolando via come gocce di un liquore sfuggito al collo della bottiglia e sprecato nell’indifferenza. Dopo il terzo, o forse quarto, whisky tutto mi sembra più accettabile, perfino l’orrenda condanna di tornare a dormire nel letto con il fantasma di lei che non c’è più. In realtà, adesso ho un già superato quel limite, ma…ancora un po’. Guarda, guarda chi sta entrando adesso: è lui, quello che ha preso il mio posto. “Fermati! ... Stai tranquillo, voglio solo dirti due parole. Lei sta con te, lei vuole te, e ti dirà che tu sei stato il primo che ha mai amato. Ma tu non sai niente di lei. Se ti amerà come tu vuoi, ricorda che lei l’ha imparato da me. Se piangerà, senza un perché, allora ricordati che lei pensa a me!” Mi sta guardando, in silenzio. Ma questo chi è? Cosa vuole? Lasciami in pace, vattene! “Mario, versa ancora, e ancora, Mario, amico mio.”

lunedì 17 novembre 2014

L'Albero di Natale

Non so perché, pur essendo di lontane origini napoletane, il presepe non lo facevamo mai. I miei genitori erano separati e, sotto Natale, ciascuno addobbava la casa al meglio per dare la sensazione della famiglia e non farci mancare il calore della festa. Il protagonista assoluto era l’albero. Papà dava l’incombenza dell’addobbo a mia sorella, fornendola di risorse pressoché illimitate per realizzare un abete il più festoso e tradizionale possibile. Parliamo, ovviamente, di alberi veri che, senza alcuna remora ecologista, visto che ancora si doveva persino inventare il neologismo, venivano presi in considerazione solo se alti dai due metri in su e con un diametro che doveva consentire il girotondo di una mezza dozzina di bambini. La ragazza, allora adolescente, sbuffava, e avrebbe avuto il desiderio di sottrarsi all’annuale incombenza, ma non poteva rifiutare il desiderio di un uomo che viveva solo, tra mille impegni quotidiani e che, perdippiù, avrebbe fatto trovare vicino alle radici del fronduto addobbo, una montagna di pacchetti, tanto più promettenti quanto più piccoli e con discreti incarti, sicuro indizio di provenienza dalle tradizionali gioiellerie romane.  Mamma, invece, era del segno della bilancia: ho detto tutto. Bella ed elegante come in un ritratto di Giovanni Boldini, con un gusto estetico che si manifestava anche nella cura della casa dove non mancavano mai fiori freschi e profumi. Il risultato ricordava un decadente boudoir dove io, paffuto prepubere, mi aggiravo attento a non fare come il proverbiale elefantino nel negozio di porcellane. Se un anno l’abete era stato abbellito con palle e decori rosa e argento, l’anno successivo doveva essere tutto bianco, per tornare poi al rosso con fiocchi dorati o al tutto oro e festoni con un effetto barocco e ridondante degno di una festa patrizia secentesca. Verso i primi di dicembre accompagnavo mia madre da Bocchi che, conoscendoci, ci consigliava l’abete bianco proveniente dall’Austria messo da parte appositamente per noi. Forse sembrerà strano a chi oggi compra le cimette ai bordi della strada, ma quel maestoso rappresentante delle foreste nordiche… profumava! Si sentiva il suo odore da lontano e bastava quello a far capire che il Natale era vicino. Poi ci si recava da Solfizi e, per rivestire l’ignudo silvano, si andava per multipli di dodici nelle tre misure delle sfere di vetro e relativi festoni. Brutto, ma indispensabile, il puntale finiva gli acquisti. Il giorno successivo compunti fattorini recapitavano il tutto a casa e, sotto la direzione artistica di mamma, procedevamo all’addobbo con matematica ed armonica precisione. Le palle erano di vetro soffiato e rifrangevano la luce con mille bagliori, le collane di perline sfaccettate bardavano mollemente i rami, l’angelo in cima si accompagnava con un mandolone per cantare l’avvento. Bastava la luce di un lume da tavolo, nel salone semibuio, per dare vita al simbolo del prossimo Natale ed io, sensibile, romantico, poeticamente rapito, commosso ed attonito, stupito e partecipe, gioioso e languido, melanconicamente allegro, capivo che era giunto il momento dell’anno più atteso. La considerazione conseguente era che se in salotto c’erano gli addobbi, in cucina ci dovevano stare panettone, torrone, zibibbo e nocchie che aspettavano di far parte della festa. Non mi sarei mai sentito di non fare la mia parte nel coro dei festeggiamenti e, solo per entrare maggiormente nello spirito del tempo, correvo a sbocconcellare un po’ di tutto  per poter esprimere un ponderato ed affidabile giudizio sulla bontà di quell’annata per Alemagna e Sperlari.

Sarà un segno di vecchiaia? Quest’anno ho fatto l’albero (sintetico, sigh!) in anticipo, per ritrovare la voglia e la magia di quella festa che tanto mi piaceva. Per avere la misura del mio rincoglionimento, già da adesso attendo che le mie pecorelle erranti, i miei figli all’estero, ritornino a casa e, per dar loro l’idea del Natale, ho speso una cifra non indifferente in decori, ovviamente made in China. Non solo, forse ho bisogno del geriatra, non vedo l’ora di travestirmi da Babbo Natale per stupire mio nipote la sera della vigilia. Vabbè!

martedì 11 novembre 2014

Interno Notte IV

Interno notte. 
Parte IV. Scena I
Ora di cena in famiglia. 
Attorno al tavolo Padre, Madre e due figlie di circa 28/30 anni.

Padre – Serenella, Veronica la smettete, per favore, con quel cellulare! Almeno a tavola, mettetelo via. Che c’è di tanto interessante?
Serenella (la figlia maggiore) – A pà, su Facebook hanno postato una domanda: “Qual è il libro che tenete sul vostro comodino e chi è il vostro poeta del cuore?” Tu cosa pensi che dovrei scrivere?
P. -  Beh, ho visto che vicino al tuo letto c’è: “Paolo Fox – Oroscopo 2015”.
S. – Mattipare che posso dire quello! Pensavo più a qualcosa come quello di quello spagnolo che scrive strano…come si chiama…Paolo…Quello!
P. – ?...Vorrai dire Paulo Coelho!
S. – Si, si. Dice che è fico il libro dal titolo “Là, chi mi sta”. Forse con il protagonista che racconta di quelli che gli stanno antipatici.
P. – ?...“L’Alchimista”, ma se neanche l’hai letto. E per la poesia?
S. – Famme pensà…che ne dici der polacco che faceva…”il mare più bello, è quello dello stabilimento accanto”… su per giù.
P. – Oggesù! Turco, Hikmet, il più bello dei mari è quello che non navigammo.
S. – Eggià, si proprio così. Mo' li posto…sai il figurone!
P. – Fammi capire. Che senso ha scrivere di sé cose non vere dando un’immagine che non è quella reale?
S. – Come sei antico! Non lo sai che è tutto falso? Si mettono frasi a effetto, immagini romantiche, link a siti intellettuali pescati a casaccio nel web, per far vedere come si è raffinati, istruiti, sensibili, ma non è che un gioco al rimbalzo per chi è più bravo a vendere la sua simpatia al fine di accaparrarsi più followers possibile.
P. – E tu quanti ne hai?
S. – Circa 700, ma le amiche mie, quelle più cool, vanno oltre i mille.
P. – E sono tutti amici?
S. – Ehhh, come quelli che trovi in metropolitana. Li incontri, magari scambi uno sguardo, ma chi te conosce? Anzi, visto che ci siamo, postiamo pure un selfie. Pà, mà, sorè, accostiamoci, vicini, vicini.
Veronica (la figlia più piccola) – Ma che sei scema? Ce manca il selfie a tavola che se vede lo spezzatino coi piselli. Ce fosse il sushi, tanto tanto, ma così è sfigatissimo! Sai che grezza che ce famo!
S. – C’hai raggio (hai ragione-N.d.A.)!
Bing! - Dokt – Dakt.
P. – E adesso questo cos’è?
V. – Ahò, ma ‘ndo vivi? Uoz Ap, no? Na cosa più privata, dove si scambiano messaggi e foto.
P. – Questo mi sembra utile.
V. – Seh, utile a fa casino. Sai quanti se so fatti beccà i messaggi o le foto con l’altro o l’altra de turno e hanno mollato il ragazzo-barra-ragazza? Ma tu non ce l’hai la app? Che il tuo non supporta l’IOS 8? Ancora non te sei comprato l’I Phon 6 con prenotazione all’I Phon 12 che uscirà nel marzo 2018?
P. – Pensavo di usare un telefonino che, come dice il nome dovrebbe servire a telefonare e non il distintivo di appartenenza alla tribù di Steve Jobs senza il quale sarei escluso dal comunicare con i miei simili.
V. e S. in coro – Ma quanto sei anticoooo!!

Dissolvenza.
Interno notte. Scena II
In sala da pranzo.

Buio totale tranne per una luce che viene dalla superfice del tavolo. Si sente Bing, Bing, Dokt, Dakt, Uoscccc, Brrrrr. Zoomata sul cellulare, orfano e dimenticato, che, come vivesse di vita propria, vibra, si illumina e manda richiami di tutti i generi.

Dissolvenza.






  


sabato 8 novembre 2014

Il Piccolo Buddha

A Saint-Germain-des-Prés non esistono strade senza storia. Avevo lasciato il mio alberghetto con le stanze decorate a fiori di lavanda, e passeggiavo lungo Rue de l’Universitè per ingannare le ore che mi separavano da un incontro di lavoro particolarmente importante. Con la mente ripassavo gli approcci e le argomentazioni che avrei dovuto usare per convincere monsieur Arnoux ad introdurre la nostra collezione di abbigliamento nei magazzini “Le Printemps” di sua proprietà e, per stimolare le sinapsi cerebrali, percorrevo a grandi passi i boulevard e le petit rues che incrociavano l’arteria principale. Ad un certo punto svoltai in Rue du Bac per fermarmi da “Eric Kayser” per una veloce baguette al Camembert, ma il subitaneo appagamento del gusto e della fame non riuscirono a distrarmi dai miei pensieri. Ripresi il mio peripatetico girovagare e, senza rendermene conto, imboccai Rue de Verneuil. Guardando il marciapiede, perso nei miei pensieri, superai la Galleria d’Arte di Yumi Kameyama, che avevo visitato il giorno prima attirato dalla frase di Fellini esposta come motto esplicativo di una esposizione di pittori figurativi contemporanei: “Tout l’art est autobiographique; la perle est l’autobiographie de l’huitre.”, e mi diressi verso il lungo Senna. Pensavo che niente mi potesse distrarre dall’immaginario contradittorio con il mio prossimo eventuale cliente, quando una forza agganciò la mia spalla trattenendomi. Niente di fisico, ma subii una magnetica fascinazione che rallentò i miei passi e mi fece rivolgere lo sguardo verso la vetrina di un piccolo rigattiere che, senza rendermene conto, avevo appena superato. Volsi lo sguardo e, fra le tante cianfrusaglie, vidi una piccola statuina di porcellana bianca raffigurante un Buddha seduto e sorridente. Sarà stata alta una decina di centimetri e, con il suo candido colore, spiccava tra gli altri policromi biscuit. Aveva arpionato il mio girovagare e sembrava volermi dire qualcosa. Entrai nella bottega. Era come se fossi stato scelto da una innamorata che implorava di farmi suo: non potevo non possedere quell’oggetto. Dopo una breve contrattazione, lasciai al vecchio ed astuto negoziante una cifra sproporzionata per accaparrarmi la statuetta, ed uscii tenendo in mano un sacchetto che, nella mia immaginazione, come la lampada di Aladino, conteneva una fatata entità. Mi affrettai verso la mia camera d’albergo per poter scartare il mio recente acquisto e cercare di capire cosa tanto mi piacesse nel piccolo blanc de chine. Quando fui al cospetto del piccolo Buddha capii. I gradi lobi simbolo di saggezza, le mani rivolte verso il cielo e la terra come unione tra la materialità e la spiritualità, ma soprattutto l’espressione di saggia serenità superiore agli affanni quotidiani, mi illuminarono. Il giorno dopo incontrai monsieur Arnoux forte della serenità che quella statuina mi aveva ispirato. Nella mia presentazione, sentendomi illuminato, o forse illuso di esserlo, seppi trasmettergli una tanto affidabile sensazione di consapevolezza nelle nostre qualità, che lo convinsi a comprare qualche centinaio di capi da proporre nei suoi Grandi Magazzini. Serenità, fiducia, determinazione ed azzeramento dell’ansia sono la strada per il raggiungimento di ogni obiettivo. Che poi queste predisposizioni siano raggiunte con la meditazione trascendentale, con i fiori di Bach o con una matura convinzione...poco importa. 

venerdì 7 novembre 2014

Interno Notte III

Interno notte. 
Parte III. Scena I
Ora di cena in famiglia. 
Attorno al tavolo Padre, Madre e due figlie di circa 28/30 anni.

Padre.   –   Allora, Serenella, come vanno gli studi?
Serenella (la figlia maggiore)   -   Alla grande! Mi hanno preso a fare l’MBA presso l’Università di San Marino. Considera che è la quarantacinquesima in graduatoria in Europa.
P.   -  Che vuol dire? Avrai una qualificazione sufficiente per poi entrare nel mondo del lavoro?
S.  -  Eccome no? Chi esce da là viene preso nell’arco di pochi mesi da una multinazionale affamata di cervelli freschi con stipendi medi doppi rispetto a quelli di un normale laureato.
P.  -  Fantastico! Così finalmente saranno premiati tutti i tuoi anni di studio. Ma hai dovuto fare un concorso o presentare un dettagliato CV?
S. – No, no. Devo solo mandare un bonifico di trentamila euro quale retta per il primo anno e poi impegnarmi per altri quaranta per il secondo, e un piccolo fondo per mantenermi là.
P. -  Azzz..Scusa: oh perbacco! E dove pensi di trovarli, cara figliola?
S.  -  Beh, pensavo che se vado a vivere fuori, la station wagon non ti servirà più e quindi potresti venderla per far fronte alla prima tranche.
P.  -  Ummhhh…E per la seconda tranche,…cara figliola?
S.  -  Allora, fatti conto che io vado a lavorare all’estero, Veronica si sposa, rimanete soli te e mamma.
P.  -  Embè?
S.  -  A che vi serve la casa di Santa Marinella? Intanto si potrebbe vendere e, come m’insegnano i miei studi, mettendo a frutto il capitale con spread e indicizzazione vincolata all’andamento dei Bund sulla piazza di Francoforte e un derivato a capitalizzazione su un mercato secondario (???), con la rendita al netto della cedolare secca, possiamo pagare tranquillamente.
P.  -  Alt! Ferma. Mi vorresti dire che dopo che ti abbiamo mandato per anni 5 alle elementari dalle Suore, anni 3 per le primarie dalle medesime, poi, cambiando, anni 5 per le secondarie dai Fratelli con i salamini al collo, ancora 3 + 2 anni alla LUISS, per un totale di anni 18 di rette annuali in Istituti Privati, ancora dobbiamo pagare?
S.  -  Eccolo! Vuoi o no che io abbia un futuro?
Madre  -  Beh, caro, Serenella lo fa per crearsi una posizione.
P.  -  Ok. Una posizione…Mi dicevi che, dopo troveresti subito lavoro?
S.  -  Sicuro come una palla, pà!
P. -  Con stipendio…
S. – Come dicevo, se mi dai retta, sarà il doppio di un normale neolaureato. Ovvero, se consideriamo che i miei amici che hanno fatto la semplice Università, ora stanno lavorando con impieghi a contratto per circa seicento/ottocento euro al mese, potrei arrivare a 1200/1600 netti in busta paga!
P.  -  Scusa eh, non vorrei sembrarti arido. Calcolando che per i diciotto anni di scuole private più i due di MBA la spesa approssimativa è sull’ordine dei 200 mila euro, spiccio più o meno, escluso il rendimento sul mancato risparmio, e che con l’IPOTETICO futuro stipendio, decurtato dal costo della vita, potremmo supporre un rientro dell’investimento in circa vent’anni, ti faccio una proposta.
M.  -  Serenella, cara, senti che ti dice il tuo papà.
P.  -  Pensavo…SHAMPISTA  a vita e mi tengo la casa di Santa Marinella!!!
M.  -  Ecco, bravo, l’hai fatta piangere! Sei sempre il solito, mai un sacrificio per i TUOI figli! In fondo li hai messi al mondo tu, mica hanno chiesto loro!
P.  -  Non hanno chiesto prima, ma continuano a chiedere dopo!
Veronica (seconda figlia)  -  Nun te se po’ chiede mai gnente che prendi subbito d’acido. Ma che c’hai ar posto der core? Er portafojo?
P. -  Zitta te, che t’ho fatto prendere pure ripetizioni d’italiano e senti i risultati! Basta, sta cena m’è andata di traverso.
M.  Serenè, Veronicù, non è cattivo. Sta solo un po’ stressato col lavoro. Lo dovete capire.
S. e V. in coro  -  ECCHEPPALLEEE!!!

Dissolvenza.
Interno notte. Scena II

In ingresso.
Panoramica con inquadratura della consolle sulla quale è aperto un quotidiano di annunci economici. Zoomata su due annunci cerchiettati nella sezione “vendesi” degli immobili e delle auto.

Dissolvenza.





mercoledì 5 novembre 2014

Interno Notte II

Interno notte.
Parte II – Scena I

Ora di cena in famiglia.
Attorno al tavolo Padre, Madre e due figlie di circa 28/30 anni.
La Madre posa al centro del tavolo una zuppiera fumante.

Serenella (la figlia più grande)   -    Mamma, che ci sta la dentro?
Madre   -                                            Bucatini al ragù, amore.
S.  -                                                     Me lo fai apposta? Ancora non lo sai che sono quasi vegetariana?
M.  -                                                   Che vuol dire “quasi” vegetariana?
S.   -                                                    Cioè, io ho rispetto per gli animali, sono i nostri compagni di viaggio su questo pianeta, però quando vado fuori con gli amici…e che devo fa’? Comunque chissà che c’hai tritato là dentro.
M.  -                                                   Guarda, cara, che è solo macinato di prima scelta che ho comprato da Feroci pagandolo un occhio della testa.      
S.   -                                                    Ecco, vedi, pure l’occhio. No, grazie.
M.  -                                                   Vabbè, e quindi, che ti mangi?
S.  -                                                     Sono andata da Daruma e ho preso un Sushi Sashimi Combo e un Tuna Tataki.           
M.  -                                                   Embè? Se sei vegetariana, i pesci non sono animali?
S.  -                                                     Okkapito, ma mica urlano quando li prendono!
M.  -                                                   Ohhh, fa un po’ come ti pare! E tu, Veronica, lo vuoi un piatto di pasta?
Veronica (seconda figlia)   -             Ma che sei mattaaaa? Là dentro ci saranno almeno un milione di calorie. Pensa che fra un po’ non mi entra neanche più la 44! Eppoi c’ho la prova costume.
M.  -                                                   Ma se siamo a novembre?
V.  -                                                    Ecchevordì? Non lo sai che in palestra c’è la SPA in comune coi maschi e le sgrinfie stanno tutte in tiro? Me mangio solo un po’ di tofu con delle gallette di riso.
M.  -                                                   Ahò, mo m’avete stufato! Chi vò mangià, mangia…Siete sicure che non vi verrà fame più tardi? Sicure, sicure?
S. e V. in coro              -                    A mà, come sei anticaaaaa!
Padre.  -                                             Dà qua, ci penso io a fare onore alla pietanza. Quello che avanza mettilo coperto in cucina e domani ci fai la frittata di pasta.
Dissolvenza.

Interno notte. Scena II
In cucina.
Panoramica con inquadratura su un orologio a muro che segna le ore tre.
Soggettiva con zoomata su una zuppiera scoperchiata e semivuota con accanto due forchette
sporche di sugo. Briciole e pezzetti di pane sparsi sul tavolo.


Dissolvenza.    

martedì 4 novembre 2014

Interno Notte

Interno notte.

Sala da pranzo di una famiglia borghese di Roma Nord.
Intorno al tavolo padre, madre e due figlie di circa 28/30 anni.
Si sta consumando la cena.

Padre  -                                               Allora, uscite dopo?
Serenella (la figlia più grande) -      A me non me regge. Mi doveva passare a prendere un tipo, ma dice che ha fatto tardi al calcetto.
P.                                                        Chi è, uno con cui ti vedi spesso?
S.                                                        Maddai…è un ragazzo che ho conosciuto alla Mason.
P.                                                        Bene. E che fa nella vita questo ragazzo?
S.                                                        L’avvocato, dice. A me però sembra che stia sempre sullo scooter tra il Due Ponti e i campi di paddle. Però c’ha il Daytona d’acciaio e quindi tanto male non se la deve passare.
P.                                                        Dì la verità: ti piace?
S.                                                        Che ti devo dire, pà, mi sembra un bravo ragazzo. Vive ancora con i suoi, ma si mantiene da solo e, a parte qualche sera, si comporta sempre bene. Solo che è un fissato con il fisico. Tratta i suoi bici (bicipiti n.d.a.) come se fossero pianticelle da crescere e curare, ma che vuoi, è un ragazzo.
P.                                                        Beh, comunque se è avvocato deve essersi laureato e quindi avrà una certa cultura.
S.                                                        Maddechè! L’atro giorno stavamo al Riviera, a Fregene, a prende un po’ de sole stesi sul lettino e lui stava leggendo ad alta voce dove poter andare la sera. Mi fa: “Ah cì, che sarà sta musica che danno all’Auditorium? Qui parla che suonano Kopin, ma che d’è qualcosa tipo i Marlene Kuntz?” C’ho messo un po’ per capire che intendeva Chopin e che non l’aveva mai sentito nominare. ‘Na traggedia!
P.                                                        Vabbè, avrà altri interessi questo ragazzo.
S.                                                        Tzè!
P.                                                        E allora, che vi raccontate?
S.                                                        Che ci dobbiamo raccontare, quello che ci diciamo con tutti gli altri ragazzi che frequentiamo. Praticamente niente. Ma tanto so’ tutti uguali.
P.                                                        Beh, non credo non ci sia nessun altro con un minimo di cultura e con il quale sia possibile fare un discorso. A proposito, questo ragazzo quanti anni ha?
S.                                                        Ha appena fatto la sua festa di compleanno con gli amici a Formentera. Ha compiuto quarantadue anni.
P.                                                        QUARANTADUE? E lo chiami ragazzo?
S.                                                        A pà, come sei antico! Tu come lo chiameresti uno che si fa ancora i riccetti sulla fronte e che quando, qualche giorno fa, abbiamo incontrato una madre con la carrozzina, s’è passato la mano sul viso facendo finta di togliersi il sudore, e ha esclamato: “Anvedi che pratica!”?
P.                                                        Ci sarà qualcun altro da frequentare…
S.                                                        No, so’ tutti così! O li prendi pischelli, alle prime esperienze, che ancora si innamorano, o dopo i trent’anni non si vogliono più impegnare. Capiscono che possono divertirsi allegramente senza prendere responsabilità e regrediscono all’adolescenza. Non gli parlare di un legame serio che possa portare a qualcosa di concreto che sembra di vedere Beep Beep quando scappa da Will Coyote. Dietro di loro rimane solo una nuvoletta di polvere e gli scarpini da calcetto che hanno dimenticato.
P.                                                        Non ci posso credere. Io a quell’età…
S.                                                        A pà, ammolla! I tempi sono cambiati adesso siamo noi ragazze che ci dobbiamo adeguare al mercato.
P.                                                        Bah, magari sei tu sfortunata negli incontri. Veronica, sei d’accordo con tua sorella?
Veronica (sorella minore)                Che te devo dì? Io uscivo con un RAGAZZO di quarantanove anni. L’ho mollato quando m’ha detto che gli ponevo troppi problemi e lui non era ancora pronto per una relazione seria. E’ ‘na TRAGGEDIA!!!