Il motivo
per il quale vengo a “La Cave”? Principalmente perché mi sta sotto casa. E’ un
locale buio e poco raccomandabile dove le signorine “per bene” non mettono
piede, ma si possono scambiare quattro chiacchiere con quelle “poco per bene”
che spesso sono solo più sincere delle altre. Una musica, che sembra sempre la
stessa, viene diffusa da vecchi, grandi, altoparlanti sistemati negli angoli e
ti rimbomba nello stomaco ritmando i bassi senza melodia. Fitta, una nebbia di
sigarette e di fumo sbiadisce il profilo dei clienti dando una illusoria parvenza
di privacy per chi vive piccoli incontri clandestini o a chi vorrebbe passare
inosservato. Io non voglio restare nella mia mansarda all’ultimo piano, solo, a
ripensare a tante cose. Se non esco, rivedo il cuscino sul divano, il quadro
che abbiamo appeso insieme, quella strusciata sul muro lasciata dalla sua borsa
mentre usciva di fretta. Mi sembra di risentire il suo profumo ed il suo odore,
la sua piccola risata ed il suo ultimo urlo. Mi ha lasciato, con tutta la
ragione dalla sua parte. Abbiamo passato bei momenti insieme, ma le ho rovinato
la vita. Quando lei, guardandomi decisa, ma con gli occhi pieni di lacrime, ha
buttato le sue chiavi di casa sul mobile e mi ha detto: “Vivi la tua vita, io
non ce la faccio più!” scappando fuori, mi ha tirato tanti sassi quante erano
le sue parole. Lo so, non si muore per amore, ma da allora è solo il mio corpo
che si trascina nel quotidiano: qualcosa, dentro, non va’. E allora, fuori!
Nella caverna dove mi aspetta il mio più caro amico dietro al bancone del bar,
pronto a consolarmi con la mia più cara amica vestita di vetro. Mario è
disposto ad ascoltarmi, facendo dei circoletti con lo straccio per asciugare eterni
aloni e briciole. Ad un mio cenno rabbocca il bicchiere, senza giudicare né stancarsi
mai. Lo sguardo, cinico ed ironico, racconta della sua vita e delle tante
storie che sono state riversate sul suo bancone rotolando via come gocce di un
liquore sfuggito al collo della bottiglia e sprecato nell’indifferenza. Dopo il
terzo, o forse quarto, whisky tutto mi sembra più accettabile, perfino l’orrenda
condanna di tornare a dormire nel letto con il fantasma di lei che non c’è più.
In realtà, adesso ho un già superato quel limite, ma…ancora un po’. Guarda,
guarda chi sta entrando adesso: è lui, quello che ha preso il mio posto. “Fermati!
... Stai tranquillo, voglio solo dirti due parole. Lei sta con te, lei vuole te,
e ti dirà che tu sei stato il primo che ha mai amato. Ma tu non sai niente di
lei. Se ti amerà come tu vuoi, ricorda che lei l’ha imparato da me. Se
piangerà, senza un perché, allora ricordati che lei pensa a me!” Mi sta
guardando, in silenzio. Ma questo chi è? Cosa vuole? Lasciami in pace, vattene!
“Mario, versa ancora, e ancora, Mario, amico mio.”
domenica 23 novembre 2014
lunedì 17 novembre 2014
L'Albero di Natale
Non so perché,
pur essendo di lontane origini napoletane, il presepe non lo facevamo mai. I
miei genitori erano separati e, sotto Natale, ciascuno addobbava la casa al
meglio per dare la sensazione della famiglia e non farci mancare il calore
della festa. Il protagonista assoluto era l’albero. Papà dava l’incombenza
dell’addobbo a mia sorella, fornendola di risorse pressoché illimitate per
realizzare un abete il più festoso e tradizionale possibile. Parliamo,
ovviamente, di alberi veri che, senza alcuna remora ecologista, visto che
ancora si doveva persino inventare il neologismo, venivano presi in
considerazione solo se alti dai due metri in su e con un diametro che doveva
consentire il girotondo di una mezza dozzina di bambini. La ragazza, allora
adolescente, sbuffava, e avrebbe avuto il desiderio di sottrarsi all’annuale
incombenza, ma non poteva rifiutare il desiderio di un uomo che viveva solo,
tra mille impegni quotidiani e che, perdippiù, avrebbe fatto trovare vicino
alle radici del fronduto addobbo, una montagna di pacchetti, tanto più
promettenti quanto più piccoli e con discreti incarti, sicuro indizio di
provenienza dalle tradizionali gioiellerie romane. Mamma, invece, era del segno della bilancia:
ho detto tutto. Bella ed elegante come in un ritratto di Giovanni Boldini, con
un gusto estetico che si manifestava anche nella cura della casa dove non
mancavano mai fiori freschi e profumi. Il risultato ricordava un decadente
boudoir dove io, paffuto prepubere, mi aggiravo attento a non fare come il proverbiale
elefantino nel negozio di porcellane. Se un anno l’abete era stato abbellito
con palle e decori rosa e argento, l’anno successivo doveva essere tutto
bianco, per tornare poi al rosso con fiocchi dorati o al tutto oro e festoni
con un effetto barocco e ridondante degno di una festa patrizia secentesca.
Verso i primi di dicembre accompagnavo mia madre da Bocchi che, conoscendoci,
ci consigliava l’abete bianco proveniente dall’Austria messo da parte
appositamente per noi. Forse sembrerà strano a chi oggi compra le cimette ai
bordi della strada, ma quel maestoso rappresentante delle foreste nordiche…
profumava! Si sentiva il suo odore da lontano e bastava quello a far capire che
il Natale era vicino. Poi ci si recava da Solfizi e, per rivestire l’ignudo
silvano, si andava per multipli di dodici nelle tre misure delle sfere di vetro
e relativi festoni. Brutto, ma indispensabile, il puntale finiva gli acquisti. Il
giorno successivo compunti fattorini recapitavano il tutto a casa e, sotto la
direzione artistica di mamma, procedevamo all’addobbo con matematica ed
armonica precisione. Le palle erano di vetro soffiato e rifrangevano la luce
con mille bagliori, le collane di perline sfaccettate bardavano mollemente i
rami, l’angelo in cima si accompagnava con un mandolone per cantare l’avvento.
Bastava la luce di un lume da tavolo, nel salone semibuio, per dare vita al
simbolo del prossimo Natale ed io, sensibile, romantico, poeticamente rapito,
commosso ed attonito, stupito e partecipe, gioioso e languido, melanconicamente
allegro, capivo che era giunto il momento dell’anno più atteso. La
considerazione conseguente era che se in salotto c’erano gli addobbi, in cucina
ci dovevano stare panettone, torrone, zibibbo e nocchie che aspettavano di far
parte della festa. Non mi sarei mai sentito di non fare la mia parte nel coro
dei festeggiamenti e, solo per entrare maggiormente nello spirito del tempo, correvo
a sbocconcellare un po’ di tutto per
poter esprimere un ponderato ed affidabile giudizio sulla bontà di quell’annata
per Alemagna e Sperlari.
Sarà un
segno di vecchiaia? Quest’anno ho fatto l’albero (sintetico, sigh!) in
anticipo, per ritrovare la voglia e la magia di quella festa che tanto mi
piaceva. Per avere la misura del mio rincoglionimento, già da adesso attendo
che le mie pecorelle erranti, i miei figli all’estero, ritornino a casa e, per
dar loro l’idea del Natale, ho speso una cifra non indifferente in decori, ovviamente made in China. Non solo, forse ho
bisogno del geriatra, non vedo l’ora di travestirmi da Babbo Natale per stupire
mio nipote la sera della vigilia. Vabbè!
martedì 11 novembre 2014
Interno Notte IV
Interno notte.
Parte IV. Scena I
Ora di cena in famiglia.
Attorno al tavolo Padre, Madre e due figlie di circa 28/30 anni.
Parte IV. Scena I
Ora di cena in famiglia.
Attorno al tavolo Padre, Madre e due figlie di circa 28/30 anni.
Padre – Serenella,
Veronica la smettete, per favore, con quel cellulare! Almeno a tavola,
mettetelo via. Che c’è di tanto interessante?
Serenella (la figlia
maggiore) – A pà, su Facebook hanno postato una domanda: “Qual è il libro che
tenete sul vostro comodino e chi è il vostro poeta del cuore?” Tu cosa pensi
che dovrei scrivere?
P. - Beh, ho visto che vicino al tuo letto c’è: “Paolo
Fox – Oroscopo 2015”.
S. – Mattipare che posso
dire quello! Pensavo più a qualcosa come quello di quello spagnolo che scrive
strano…come si chiama…Paolo…Quello!
P. – ?...Vorrai dire Paulo
Coelho!
S. – Si, si. Dice che è
fico il libro dal titolo “Là, chi mi sta”. Forse con il protagonista che
racconta di quelli che gli stanno antipatici.
P. – ?...“L’Alchimista”,
ma se neanche l’hai letto. E per la poesia?
S. – Famme pensà…che ne dici
der polacco che faceva…”il mare più bello, è quello dello stabilimento accanto”…
su per giù.
P. – Oggesù! Turco,
Hikmet, il più bello dei mari è quello che non navigammo.
S. – Eggià, si proprio
così. Mo' li posto…sai il figurone!
P. – Fammi capire. Che senso
ha scrivere di sé cose non vere dando un’immagine che non è quella reale?
S. – Come sei antico!
Non lo sai che è tutto falso? Si mettono frasi a effetto, immagini romantiche, link
a siti intellettuali pescati a casaccio nel web, per far vedere come si è
raffinati, istruiti, sensibili, ma non è che un gioco al rimbalzo per chi è più
bravo a vendere la sua simpatia al fine di accaparrarsi più followers
possibile.
P. – E tu quanti ne hai?
S. – Circa 700, ma le
amiche mie, quelle più cool, vanno oltre i mille.
P. – E sono tutti amici?
S. – Ehhh, come quelli
che trovi in metropolitana. Li incontri, magari scambi uno sguardo, ma chi te
conosce? Anzi, visto che ci siamo, postiamo pure un selfie. Pà, mà, sorè, accostiamoci,
vicini, vicini.
Veronica (la figlia più
piccola) – Ma che sei scema? Ce manca il selfie a tavola che se vede lo
spezzatino coi piselli. Ce fosse il sushi, tanto tanto, ma così è sfigatissimo!
Sai che grezza che ce famo!
S. – C’hai raggio (hai
ragione-N.d.A.)!
Bing! - Dokt – Dakt.
P. – E adesso questo cos’è?
V. – Ahò, ma ‘ndo vivi?
Uoz Ap, no? Na cosa più privata, dove si scambiano messaggi e foto.
P. – Questo mi sembra
utile.
V. – Seh, utile a fa
casino. Sai quanti se so fatti beccà i messaggi o le foto con l’altro o l’altra
de turno e hanno mollato il ragazzo-barra-ragazza? Ma tu non ce l’hai la app?
Che il tuo non supporta l’IOS 8? Ancora non te sei comprato l’I Phon 6 con
prenotazione all’I Phon 12 che uscirà nel marzo 2018?
P. – Pensavo di usare un
telefonino che, come dice il nome dovrebbe servire a telefonare e non il
distintivo di appartenenza alla tribù di Steve Jobs senza il quale sarei
escluso dal comunicare con i miei simili.
V. e S. in coro – Ma quanto
sei anticoooo!!
Dissolvenza.
Interno notte. Scena II
Interno notte. Scena II
In sala da pranzo.
Buio totale tranne per
una luce che viene dalla superfice del tavolo. Si sente Bing, Bing, Dokt, Dakt,
Uoscccc, Brrrrr. Zoomata sul cellulare, orfano e dimenticato, che, come vivesse
di vita propria, vibra, si illumina e manda richiami di tutti i generi.
Dissolvenza.
sabato 8 novembre 2014
Il Piccolo Buddha
A Saint-Germain-des-Prés non esistono strade senza storia. Avevo
lasciato il mio alberghetto con le stanze decorate a fiori di lavanda, e
passeggiavo lungo Rue de l’Universitè per ingannare le ore che mi separavano da
un incontro di lavoro particolarmente importante. Con la mente ripassavo gli
approcci e le argomentazioni che avrei dovuto usare per convincere monsieur Arnoux
ad introdurre la nostra collezione di abbigliamento nei magazzini “Le Printemps”
di sua proprietà e, per stimolare le sinapsi cerebrali, percorrevo a grandi
passi i boulevard e le petit rues che incrociavano l’arteria principale. Ad un
certo punto svoltai in Rue du Bac per fermarmi da “Eric Kayser” per una veloce
baguette al Camembert, ma il subitaneo appagamento del gusto e della fame non riuscirono
a distrarmi dai miei pensieri. Ripresi il mio peripatetico girovagare e, senza
rendermene conto, imboccai Rue de Verneuil. Guardando il marciapiede, perso nei
miei pensieri, superai la Galleria d’Arte di Yumi Kameyama, che avevo visitato
il giorno prima attirato dalla frase di Fellini esposta come motto esplicativo
di una esposizione di pittori figurativi contemporanei: “Tout l’art est
autobiographique; la perle est l’autobiographie de l’huitre.”, e mi diressi
verso il lungo Senna. Pensavo che niente mi potesse distrarre dall’immaginario
contradittorio con il mio prossimo eventuale cliente, quando una forza agganciò
la mia spalla trattenendomi. Niente di fisico, ma subii una magnetica
fascinazione che rallentò i miei passi e mi fece rivolgere lo sguardo verso la
vetrina di un piccolo rigattiere che, senza rendermene conto, avevo appena
superato. Volsi lo sguardo e, fra le tante cianfrusaglie, vidi una piccola
statuina di porcellana bianca raffigurante un Buddha seduto e sorridente. Sarà
stata alta una decina di centimetri e, con il suo candido colore, spiccava tra
gli altri policromi biscuit. Aveva arpionato il mio girovagare e sembrava
volermi dire qualcosa. Entrai nella bottega. Era come se fossi stato scelto da
una innamorata che implorava di farmi suo: non potevo non possedere quell’oggetto.
Dopo una breve contrattazione, lasciai al vecchio ed astuto negoziante una
cifra sproporzionata per accaparrarmi la statuetta, ed uscii tenendo in mano un
sacchetto che, nella mia immaginazione, come la lampada di Aladino, conteneva
una fatata entità. Mi affrettai verso la mia camera d’albergo per poter
scartare il mio recente acquisto e cercare di capire cosa tanto mi piacesse nel piccolo blanc de chine. Quando fui al cospetto del piccolo Buddha capii. I gradi lobi
simbolo di saggezza, le mani rivolte verso il cielo e la terra come unione tra
la materialità e la spiritualità, ma soprattutto l’espressione di saggia serenità
superiore agli affanni quotidiani, mi illuminarono. Il giorno dopo incontrai monsieur
Arnoux forte della serenità che quella statuina mi aveva ispirato. Nella mia presentazione, sentendomi illuminato, o forse illuso di esserlo,
seppi trasmettergli una tanto affidabile sensazione di consapevolezza nelle
nostre qualità, che lo convinsi a comprare qualche centinaio di capi da proporre
nei suoi Grandi Magazzini. Serenità, fiducia, determinazione ed azzeramento
dell’ansia sono la strada per il raggiungimento di ogni obiettivo. Che poi
queste predisposizioni siano raggiunte con la meditazione trascendentale, con i
fiori di Bach o con una matura convinzione...poco importa.
venerdì 7 novembre 2014
Interno Notte III
Interno notte.
Parte III. Scena I
Parte III. Scena I
Ora di cena in famiglia.
Attorno al tavolo Padre, Madre e due figlie di circa 28/30 anni.
Attorno al tavolo Padre, Madre e due figlie di circa 28/30 anni.
Padre. – Allora,
Serenella, come vanno gli studi?
Serenella (la figlia maggiore) - Alla
grande! Mi hanno preso a fare l’MBA presso l’Università di San Marino. Considera
che è la quarantacinquesima in graduatoria in Europa.
P. - Che vuol dire? Avrai una qualificazione sufficiente
per poi entrare nel mondo del lavoro?
S. - Eccome no? Chi esce da là viene preso nell’arco
di pochi mesi da una multinazionale affamata di cervelli freschi con stipendi
medi doppi rispetto a quelli di un normale laureato.
P. - Fantastico! Così finalmente saranno premiati
tutti i tuoi anni di studio. Ma hai dovuto fare un concorso o presentare un
dettagliato CV?
S. – No, no. Devo solo mandare un bonifico di trentamila
euro quale retta per il primo anno e poi impegnarmi per altri quaranta per il
secondo, e un piccolo fondo per mantenermi là.
P. -
Azzz..Scusa: oh perbacco! E dove pensi di trovarli, cara figliola?
S. - Beh, pensavo che se vado a vivere fuori, la
station wagon non ti servirà più e quindi potresti venderla per far fronte alla
prima tranche.
P. - Ummhhh…E per la seconda tranche,…cara
figliola?
S. - Allora, fatti conto che io vado a lavorare
all’estero, Veronica si sposa, rimanete soli te e mamma.
P. - Embè?
S. - A che vi serve la casa di Santa Marinella?
Intanto si potrebbe vendere e, come m’insegnano i miei studi, mettendo a frutto
il capitale con spread e indicizzazione vincolata all’andamento dei Bund sulla
piazza di Francoforte e un derivato a capitalizzazione su un mercato secondario
(???), con la rendita al netto della cedolare secca, possiamo pagare
tranquillamente.
P. - Alt! Ferma. Mi vorresti dire che dopo che ti
abbiamo mandato per anni 5 alle elementari dalle Suore, anni 3 per le primarie dalle
medesime, poi, cambiando, anni 5 per le secondarie dai Fratelli con i salamini
al collo, ancora 3 + 2 anni alla LUISS, per un totale di anni 18 di rette
annuali in Istituti Privati, ancora dobbiamo pagare?
S. - Eccolo! Vuoi o no che io abbia un futuro?
Madre - Beh, caro, Serenella lo fa per crearsi una
posizione.
P. - Ok. Una posizione…Mi dicevi che, dopo
troveresti subito lavoro?
S. - Sicuro come una palla, pà!
P. - Con stipendio…
S. – Come dicevo, se mi dai retta, sarà il doppio di
un normale neolaureato. Ovvero, se consideriamo che i miei amici che hanno
fatto la semplice Università, ora stanno lavorando con impieghi a contratto per
circa seicento/ottocento euro al mese, potrei arrivare a 1200/1600 netti in
busta paga!
P. - Scusa eh, non vorrei sembrarti arido. Calcolando
che per i diciotto anni di scuole private più i due di MBA la spesa
approssimativa è sull’ordine dei 200 mila euro, spiccio più o meno, escluso il
rendimento sul mancato risparmio, e che con l’IPOTETICO futuro stipendio,
decurtato dal costo della vita, potremmo supporre un rientro dell’investimento
in circa vent’anni, ti faccio una proposta.
M. - Serenella, cara, senti che ti dice il tuo
papà.
P. - Pensavo…SHAMPISTA a vita e mi tengo la casa di Santa
Marinella!!!
M. - Ecco, bravo, l’hai fatta piangere! Sei sempre
il solito, mai un sacrificio per i TUOI figli! In fondo li hai messi al mondo
tu, mica hanno chiesto loro!
P. - Non hanno chiesto prima, ma continuano a
chiedere dopo!
Veronica (seconda figlia) - Nun
te se po’ chiede mai gnente che prendi subbito d’acido. Ma che c’hai ar posto
der core? Er portafojo?
P. - Zitta te,
che t’ho fatto prendere pure ripetizioni d’italiano e senti i risultati! Basta,
sta cena m’è andata di traverso.
M. Serenè,
Veronicù, non è cattivo. Sta solo un po’ stressato col lavoro. Lo dovete
capire.
S. e V. in coro
- ECCHEPPALLEEE!!!
Dissolvenza.
Interno notte. Scena II
In ingresso.
Panoramica con inquadratura della consolle sulla quale
è aperto un quotidiano di annunci economici. Zoomata su due annunci cerchiettati
nella sezione “vendesi” degli immobili e delle auto.
Dissolvenza.
mercoledì 5 novembre 2014
Interno Notte II
Interno
notte.
Parte II –
Scena I
Ora di cena
in famiglia.
Attorno al
tavolo Padre, Madre e due figlie di circa 28/30 anni.
La Madre
posa al centro del tavolo una zuppiera fumante.
Serenella (la figlia più grande) - Mamma,
che ci sta la dentro?
Madre
- Bucatini
al ragù, amore.
S. - Me
lo fai apposta? Ancora non lo sai che sono quasi vegetariana?
M. - Che
vuol dire “quasi” vegetariana?
S. - Cioè,
io ho rispetto per gli animali, sono i nostri compagni di viaggio su questo
pianeta, però quando vado fuori con gli amici…e che devo fa’? Comunque chissà
che c’hai tritato là dentro.
M.
- Guarda,
cara, che è solo macinato di prima scelta che ho comprato da Feroci pagandolo
un occhio della testa.
S. - Ecco, vedi, pure
l’occhio. No, grazie.
M.
- Vabbè,
e quindi, che ti mangi?
S.
- Sono
andata da Daruma e ho preso un Sushi Sashimi Combo e un Tuna Tataki.
M.
- Embè?
Se sei vegetariana, i pesci non sono animali?
S.
- Okkapito,
ma mica urlano quando li prendono!
M.
- Ohhh,
fa un po’ come ti pare! E tu, Veronica, lo vuoi un piatto di pasta?
Veronica (seconda figlia) - Ma
che sei mattaaaa? Là dentro ci saranno almeno un milione di calorie. Pensa che
fra un po’ non mi entra neanche più la 44! Eppoi c’ho la prova costume.
M.
- Ma
se siamo a novembre?
V.
- Ecchevordì?
Non lo sai che in palestra c’è la SPA in comune coi maschi e le sgrinfie stanno
tutte in tiro? Me mangio solo un po’ di tofu con delle gallette di riso.
M.
- Ahò,
mo m’avete stufato! Chi vò mangià, mangia…Siete sicure che non vi verrà fame
più tardi? Sicure, sicure?
S. e V. in coro - A
mà, come sei anticaaaaa!
Padre.
- Dà
qua, ci penso io a fare onore alla pietanza. Quello che avanza mettilo coperto
in cucina e domani ci fai la frittata di pasta.
Dissolvenza.
Interno notte. Scena II
In cucina.
Panoramica con inquadratura su un orologio
a muro che segna le ore tre.
Soggettiva con zoomata su una
zuppiera scoperchiata e semivuota con accanto due forchette
sporche di sugo. Briciole e pezzetti
di pane sparsi sul tavolo.
Dissolvenza.
martedì 4 novembre 2014
Interno Notte
Interno
notte.
Sala da
pranzo di una famiglia borghese di Roma Nord.
Intorno al
tavolo padre, madre e due figlie di circa 28/30 anni.
Si sta
consumando la cena.
Padre - Allora, uscite dopo?
Serenella (la figlia più grande) - A me non me
regge. Mi doveva passare a prendere un tipo, ma dice che ha fatto tardi al calcetto.
P. Chi
è, uno con cui ti vedi spesso?
S. Maddai…è
un ragazzo che ho conosciuto alla Mason.
P. Bene.
E che fa nella vita questo ragazzo?
S. L’avvocato,
dice. A me però sembra che stia sempre sullo scooter tra il Due Ponti e i campi
di paddle. Però c’ha il Daytona d’acciaio e quindi tanto male non se la deve
passare.
P. Dì
la verità: ti piace?
S. Che
ti devo dire, pà, mi sembra un bravo ragazzo. Vive ancora con i suoi, ma si
mantiene da solo e, a parte qualche sera, si comporta sempre bene. Solo che è
un fissato con il fisico. Tratta i suoi bici (bicipiti n.d.a.) come se fossero
pianticelle da crescere e curare, ma che vuoi, è un ragazzo.
P. Beh,
comunque se è avvocato deve essersi laureato e quindi avrà una certa cultura.
S. Maddechè!
L’atro giorno stavamo al Riviera, a Fregene, a prende un po’ de sole stesi sul
lettino e lui stava leggendo ad alta voce dove poter andare la sera. Mi fa: “Ah
cì, che sarà sta musica che danno all’Auditorium? Qui parla che suonano Kopin,
ma che d’è qualcosa tipo i Marlene Kuntz?” C’ho messo un po’ per capire che
intendeva Chopin e che non l’aveva mai sentito nominare. ‘Na traggedia!
P. Vabbè,
avrà altri interessi questo ragazzo.
S. Tzè!
P. E
allora, che vi raccontate?
S. Che
ci dobbiamo raccontare, quello che ci diciamo con tutti gli altri ragazzi che
frequentiamo. Praticamente niente. Ma tanto so’ tutti uguali.
P. Beh,
non credo non ci sia nessun altro con un minimo di cultura e con il quale sia
possibile fare un discorso. A proposito, questo ragazzo quanti anni ha?
S. Ha
appena fatto la sua festa di compleanno con gli amici a Formentera. Ha compiuto
quarantadue anni.
P. QUARANTADUE?
E lo chiami ragazzo?
S. A
pà, come sei antico! Tu come lo chiameresti uno che si fa ancora i riccetti
sulla fronte e che quando, qualche giorno fa, abbiamo incontrato una madre con
la carrozzina, s’è passato la mano sul viso facendo finta di togliersi il
sudore, e ha esclamato: “Anvedi che pratica!”?
P. Ci
sarà qualcun altro da frequentare…
S. No,
so’ tutti così! O li prendi pischelli, alle prime esperienze, che ancora si
innamorano, o dopo i trent’anni non si vogliono più impegnare. Capiscono che
possono divertirsi allegramente senza prendere responsabilità e regrediscono
all’adolescenza. Non gli parlare di un legame serio che possa portare a
qualcosa di concreto che sembra di vedere Beep Beep quando scappa da Will
Coyote. Dietro di loro rimane solo una nuvoletta di polvere e gli scarpini da
calcetto che hanno dimenticato.
P. Non
ci posso credere. Io a quell’età…
S. A
pà, ammolla! I tempi sono cambiati adesso siamo noi ragazze che ci dobbiamo
adeguare al mercato.
P. Bah,
magari sei tu sfortunata negli incontri. Veronica, sei d’accordo con tua
sorella?
Veronica (sorella minore) Che te
devo dì? Io uscivo con un RAGAZZO di quarantanove anni. L’ho mollato quando m’ha
detto che gli ponevo troppi problemi e lui non era ancora pronto per una relazione seria. E’ ‘na TRAGGEDIA!!!
Iscriviti a:
Post (Atom)