Ero giovane,
allora. Una sera d’estate, sul traghetto da Civitavecchia a Olbia, non avevo
sonno e uscii sul ponte per godere della brezza marina e del cielo stellato.
Non so che ora fosse, certamente tardi, tutti dormivano e la grande nave avanzava
maestosa e lenta come un gigantesco cetaceo fatto d’acciaio e vetro. Il rollio
dell’imbarcazione, unito al battito ritmico e continuo dei pistoni, trasmettevano
la sensazione di essere trasportati da un organismo vivente del quale si poteva
percepire il sordo battito del cuore proveniente dai remoti meandri di un’enorme
carcassa. Può essere che a volte il mostro si sentisse solo, ed allora dai
grandi sfiati in plancia emetteva un barrito potente come quello di cento
elefanti. Il mare scivolava ai lati della chiglia lasciando una scia d’argento,
mentre sotto la superficie un nero profondo nascondeva un mondo fatto di
mistero.
Mi appoggiai
al parapetto e guardai all’insù. Chi vive in città non riesce a vedere cosa ha
sopra la testa, ma quando mancano le luci d’intorno, o sono soffuse, nel cielo si
accendono una moltitudine di scintille e la volta celeste sembra un immenso
drappo di velluto scuro ricamato con i diamanti più puri e freddi. E’ uno
spettacolo sempre uguale che si potrebbe rimirare per ore, lasciando che i
pensieri negativi e le preoccupazioni si perdano tra stelle e pianeti
scivolando sulla Via Lattea verso ignote galassie e nuove illusioni.
All’epoca,
fumavo. E bevevo. Senza esagerare per nessuno dei due vizi, almeno quasi mai.
Forse la sfilai da un pacchetto di HB o di Kent, non credo Marlboro, comunque
mi accesi una sigaretta schermando la fiamma del cerino con la mano. Per
completare la mia piccola orgia privata, tirai fuori dalla tasca una fiaschetta
di metallo, di quelle che usano i cacciatori, piena di un bourbon aromatico e
forte. Qualche boccata, un sorso ogni tanto, e la mente vagava in libertà.
-Ehi, scusa.
– Feci un balzo, spaventato da un’improvvisa voce alle mie spalle. Mi voltai e
vidi un uomo alto e magro vestito in maniera curiosa. Sembrava un cow boy da
saloon o un croupier da film in costume. Indossava dei pantaloni neri con un
gilet di seta rosso scuro e sotto una camicia bianca con i polsini chiusi da
gemelli dorati. Ciò che stonava di più in quell’ambiente marinaro erano soprattutto
gli stivaletti con la punta ricamata e il cappello a larghe tese calato sugli
occhi. –Mi faresti accendere? – Chiese con voce rauca.
-Certamente.
– Risposi porgendogli la scatoletta dei cerini. Con calma l’uomo s’infilò in
bocca un sigarillo tirando profonde boccate ed espirando il fumo con voluttà.
-Senti. –
Proseguì lui. – Facciamo un baratto. Tu mi dai un po’ di quello che hai nella
fiaschetta ed io, in cambio, ti darò qualche consiglio. – Figuriamoci, non
accettavo suggerimenti neanche dai parenti, pensa un po’ se starei stato a
sentire le baggianate di un tipo strano. Però ero curioso e qualche sorsata di
whisky non la si nega mai a nessuno. Gli passai il liquore, si attaccò e
deglutì molte volte. Poi cominciò:
-Vedi
figliolo, ho passato la mia vita leggendo i volti delle persone: dal loro
sguardo posso capirne le emozioni ed indovinare come hanno intenzione di
giocare. Adesso vedo dell’inquietudine nei tuoi occhi. Stammi bene a sentire,
mi ringrazierai. – Ero molto scettico, ma lo lasciai proseguire. – La vita,
ragazzo, è come una partita a poker e devi sapere come comportarti. Quello che vivrai
ogni giorno consideralo come se fosse la tua mano di carte. Devi decidere quando
passare, quando chiudere o quando andare via. Devi essere bravo a bluffare, ma
non contare mai i soldi mentre il gioco è in corso. Avrai tempo per farlo
quando tutto sarà finito. Ogni giocatore d’azzardo sa che il segreto per
sopravvivere è distinguere cosa scartare e cosa tenere, perché ogni mano può
essere vincente o perdente, dipende come si affronta. Il meglio che puoi sperare
è di alzarti dal tavolo senza averci lasciato le penne, in attesa della partita
perfetta. Comunque sia, che vada bene o che vada male, l’importante è
giocarsela fino alla fine. E non conta la fortuna, perché il tuo full d’assi
può sempre incontrare un poker contro, e quello che sembrava una svolta promettente
ti farà precipitare in un burrone. – Lo interruppi.
-Sei un
giocatore professionista? – Ghignò.
-Sono uno
che scommette. Sulle carte e sulla vita. Ed è quello che capita a tutti: una perenne
scommessa contro il destino. Ma il fato lo si può sfidare e, se si è abili
abbastanza, forse si può riuscire a non farsi fregare. Forse. – Mise la bocca
sotto al collo della fiaschetta scuotendola per farne uscire le ultime gocce,
poi me la restituì con un cenno di ringraziamento. Senza dire altro, si voltò e
andò via. Lo vidi sparire attraverso un boccaporto seguito dal rumore dei suoi
tacchi sul metallo e dalla nuvoletta azzurra del sigaro.
Rimasi solo
sul ponte chiedendomi se quelle chiacchiere avessero un senso o fosse stata
solo una scusa per finire il mio liquore. Negli anni successivi, qualche volta,
ci ho ripensato perché non sempre ho saputo quando passare, quando chiudere o
quando andare via.