-Ragazzi,
attenzione! Sono arrivate le Gibellini. – I cosiddetti ragazzi erano quattro
attempati signori seduti attorno al tavolino di un bar, e chi aveva parlato era
un loro coetaneo che sembrava essere il caporione della combriccola. Si
chiamava Gibbo, Gianbattista per l’anagrafe, e siccome era riuscito a rimanere
scapolo nonostante gli agguati delle donne del paese nettamente in maggioranza
rispetto ai maschi, vantava una superiorità morale dettata da quello che lui
diceva essere un carattere libero e indipendente. Avere poi intrattenuto per
lungo tempo una relazione segreta, a tutti nota, con una donna sposata di un
paese vicino, gli dava quel tocco trasgressivo e cosmopolita che, in un borgo
di poche anime, lo rivestiva di un “glamour” altrove ingiustificato. Si era
messo in pensione più o meno a quarant’anni quando una modesta eredità gli
aveva permesso, con il massimo sollievo, di tirare in barca ogni possibile remo.
Da allora la sua principale occupazione era stata di impicciarsi dei fatti
altrui, con grande divertimento suo e di coloro che, a turno, non ne erano il
bersaglio. Dalla sua esclusiva postazione presso il Bar dello Sport nella piazza
principale del paese, il vecchio signore osservava, chiosava e commentava ogni
avvenimento partendo dalla vita della piccola comunità fino a spaziare nei
massimi sistemi del governo nazionale o della politica estera. Nessuno, da
Trump alla vecchina in chiesa, si salvava dai suoi giudizi caustici ed
impietosi, ma spesso arguti e perciò molto ascoltati. Gibbo ci sapeva fare e la
sua finta bonomia induceva spesso qualche sprovveduto a metterlo a parte di
confidenze personali a condizione che rimanessero segrete. Lui spergiurava di
essere una tomba, ma poi girava le notizie sottobanco al momento giusto, non
tanto per malizia quanto per il puro divertimento di agitare le acque chete di
un paese che, affermava, gli andava troppo stretto.
-Perché
hanno sempre quell’aria funerea? – Chiese l’amico “Aperol con scorzetta”.
-Non conoscete
la storia? – Disse Gibbo accomodandosi bene in vista del racconto. –Se
promettete di tenerla per voi, ve la racconto e capirete.
-Vai avanti.
- Lo incitò “vin santo e due
cantuccini”.
-Bene. Le
Gibellini, lo sapete, vivono da sempre in maniera molto modesta, hanno poche
disponibilità economiche e si arrabattano come possono. Però, qualche tempo
addietro, capitò loro quella che sembrava una fortuna insperata. Una vecchia
zia, molto bigotta, rimase vedova entrando in possesso di una vera e propria
fortuna fatta di contanti, immobili e titoli di stato. Loro due, le Gibellini
intendo, sono le uniche future eredi della signora, salvo un altro cugino che
vive lontano. Quindi erano tutte eccitate nella prospettiva, un domani la zia
fosse passata a miglior vita, di scrollarsi di dosso un’esistenza fatta di
stenti e concedersi finalmente qualche lusso. Avevano fatto i loro calcoli.
L’ammontare del patrimonio diviso fra loro due sarebbe stato veramente una
manna dalla quale attingere senza più patemi d’animo. In realtà avrebbero
dovuto dividere per tre, ma spartire quello che il destino aveva loro
riconosciuto a compenso di tanto sacrificio, sembrava quasi una bestemmia.
-Ho capito.
– Intervenne “caffè corretto” - Però la
legge è legge. Il cugino aveva tanto diritto quanto loro. O no?
-Certamente.
– Riprese Gibbo. – Ma dopo tanta fame la voglia di saziarsi è senza limiti.
Comunque le sorelle pensarono come potessero fare per dirottare dall’asse
ereditario il cugino sgradito e, dopo lungo arrovellamento, ad una venne l’idea
geniale.
-Ma và? –
“Un gelatino solo frutta” che fino a quel momento era stato zitto, dette il
segno della sua presenza subito ripreso da “caffè corretto” che era sempre il
più nervoso di tutti:
-Vuoi
tacere? Sempre a dire la sua col gelatino in mano. Statte zitto! Continua
Gibbo.
-Dicevo:
un’idea geniale. La zietta era tutta casa e chiesa, aborriva qualsiasi
debolezza della carne e resisteva ad ogni tentazione del demonio. Non era
indulgente con se stessa né tantomeno con gli altri dai quali pretendeva
moralità e decenza. La montagna di soldi dei quali disponeva rimaneva perlopiù
integra visto che per le proprie necessità bastavano pochi spicci subito
compensati dagli interessi sugli investimenti. Mentre, e qui casca l’asino, il
cugino era uno scapestrato di prim’ordine. In particolare uno scialacquatore da
primato, uno che amava giocare al Casinò dove era sempre accolto a braccia
aperte e saluto come un affezionato perdente. Come poteva una donna tanto
morigerata pensare di lasciare una parte dei suoi averi a qualcuno che li
avrebbe dilapidati senza alcuna remora ed in breve tempo?
-Remora? Ma
non è un pesce? – Gli interventi di “Cucciolone” erano sempre fuori luogo, ma
era rimasto un bambinone e veniva perdonato. Gibbo non se ne curò, continuando:
-Quindi,
pensarono, se la vecchia avesse visto da vicino come viveva il nipote, ne
sarebbe rimasta sconvolta escludendolo all’istante dalla propria successione.
Progettarono un piano. Avrebbero convinto l’anziana parente a fare un viaggio a
Saint Vincent con la scusa di andare a trovare la Superiora di un convento
nelle vicinanze che si diceva in odore di santità. Poi, sul posto, con qualche
inganno, avrebbero trascinato la zia al Casinò dove stazionava quasi
perennemente il cugino. Lei avrebbe visto l’abominio di un comportamento
scellerato ed irresponsabile e, sconvolta, avrebbe abbracciato le Gibellini
disconoscendo la demoniaca parentela.
-Sembra
perfetto. – Disse “prosecuccio”
-Anche a
loro sembrava perfetto e, vi dirò, non ebbero nemmeno tanta difficoltà a
mettere in atto i loro propositi. La zia, forse annoiata, si convinse subito e
tutte insieme partirono per la Valle. Una sera, non so con quale pretesto, le
tre pie donne entrarono nello sfavillante Casinò de la vallée. Non vi dico
l’impressione. Gli stucchi, la bella gente, le risate, il rumore dei bicchieri
e il richiamo dei croupier, tutto improvvisamente le aveva fatte precipitare in
un mondo fino ad allora ignoto e misterioso. Le sorelle, mentre cercavano con
lo sguardo il cugino rimanendo prudentemente in disparte dalla folla, si
accorsero di un fenomeno inaspettato e strabiliante. La vecchia zia sembrava
aver ripreso vigore. Gli occhi scintillanti, le guance rubizze, un fremito
d’eccitazione. “Voglio provare” disse e con fare incerto ma resoluto, si
avvicinò al tavolo della roulette. – Qui, solo per amore del “coupe de
theatre”, Gibbo si tacque aspettando qualche reazione da parte degli amici.
Dopo un momento di silenzio, una macedonia di gelato, aperol e caffè esplose
tutta insieme:
-Allora?
-Allora
accadde quello che le Gibellini non avevano previsto. La zia fu contagiata dal
vizio e si fermò nel paese valdostano per più di un mese andando tutte le sere
a giocare. Praticamente nacque una seconda volta. Scoprì che nella vita c’è
anche un lato giocoso e folle e che spesso è quello più divertente. Non solo,
capì che i soldi sono un mezzo, ma il fine è la felicità. – Per la prima volta prese la parola un
“bourbon con ghiaccio”:
-Concludi. –
Disse quasi imperiosamente.
-Lo vedete
da soli. Le Gibellini stanno sempre più avvilite rimproverandosi di aver creato
una macchina mangia soldi al posto di una zia sparagnina. L’avidità di non
voler spartire la futura eredità rischia di privarle di qualsiasi lascito dopo
che zia si sarà giocata anche la camicia. In definitiva: chi troppo vuole nulla
stringe. Non so neanche se mi fanno pena.
Il sole era
al tramonto sulla piazza del paese. Le attività commerciali, a mano a mano,
tiravano giù le saracinesche ed ai the con pasticcini si stavano sostituendo
gli spritz con patatine.