sabato 5 dicembre 2020

Zapping

 

Questa sera, in televisione, hanno trasmesso un lungo concerto dei Pooh in memoria di Stefano D’Orazio. Stavo vedendo un altro canale, ma in corrispondenza della pubblicità ho fatto zapping e mi sono ritrovato su RAI1 proprio mentre attaccava “Piccola Kathy”. In quel momento anche la mia memoria ha fatto zapping ed ho capito perché mi ha colpito tanto la morte del batterista di un gruppo musicale del quale non ho mai comprato neanche un disco. Improvvisamente: Fregene, agosto 1969, io in groppa alla mia gloriosa Vespa 50 color giallo senape spinta al limite di suoi settanta orari (confesso, avevo fatto sostituire il “tromboncino” del carburatore). Quell’estate dissi a mia madre di non preoccuparsi, mi avrebbe potuto tranquillamente lasciare da solo a soggiornare nell’Hotel Villa dei Pini in quanto i proprietari erano nostri buoni amici di famiglia e, in fondo, era un po’ come se fossi a casa mia sotto gli occhi di parenti. Era una boutade alla quale non credevo neanche io e che ero sicuro sarebbe stata rifiutata, ma invece, dopo qualche titubanza, fui accontentato. Ottime persone quegli albergatori, ne ho un ricordo vivo e affettuosissimo, ma certamente non potevano controllare un ragazzo loro ospite mentre avevano un gran daffare a mandare avanti l’albergo più bello della riviera romana. Perciò, tranne qualche sporadico convenevole, i miei incontri con loro erano occasionali e perlopiù all’ora di pranzo o di cena. Per farmi sentire più a mio agio, mi dettero una bella stanza a Villa Schipa e, siccome non c’era un servizio di portineria continuo, mi fornirono della chiave con libertà di movimento in qualsiasi ora. Sono sempre stato un “giovine” avveduto e non ho mai fatto niente che un buon parroco non avrebbe assolto con qualche decina di pater/ave/gloria, ma eravamo in piena beat generation, non sentivo le briglie sul collo e pertanto ci sarebbe voluto uno molto, ma molto, più tonto di me per non approfittarne un po’. Posso dire solamente che quando mamma mi veniva a trovare, non riusciva a spiegarsi il motivo per il quale, nonostante fossi al mare da tanti giorni, non ero abbronzato quasi per niente. Un uccellino (fetente e spione) avrebbe potuto spiegarle che da Toni ci andavo solo nel pomeriggio, spesso tardo, per una partita a pallavolo e che il mio orologio biologico si era inspiegabilmente spostato sul fuso orario di Anchorage dove il loro giorno corrisponde alla nostra notte e viceversa. A quel tempo Fregene rivaleggiava con Forte dei Marmi e dintorni come località più alla moda dove trascorrere le vacanze, ed i cantanti che andavano per la maggiore facevano prima tappa alla Bussola di Focette per poi continuare il tour alla Nave, l’Oasi o il Tirreno. Si parla di Mina, degli Aphrodite’s Childs, degli Showmen (ok, prima di storcere la bocca, senti:  https://www.youtube.com/watch?v=cy8crYdtrPQ&list=OLAK5uy_mJe2RrFeD7B0-dT2DYYpHZ5kliMFByEbs&index=13 ). Noi ragazzi, fra tutte le location, preferivamo il Tirreno per la semplice ragione che c’era una recinzione dal lato del parcheggio, ma solo una rada e bucatissima incannucciata dalla parte del mare. Quindi, attenti agli sguardi dei camerieri, non erano poche le volte che con gli amici ci imbucavamo sedendoci subito tra le altre persone con l’espressione più innocente e vaga, come fossimo appena tornati dal bagno. E lì vennero anche i Pooh con ancora Riccardo Fogli ed un look da “scappati di casa” che era esattamente lo specchio dei tempi. Verso la fine del concerto, forse all’una di notte, cantarono piccola Kathy e poi si congedarono da un pubblico che li salutò con un tiepido applauso. Forse fu l’effetto del bicchiere di whisky spillato dalla bottiglia che ci eravamo portati da fuori dividendo la spesa e le sorsate, sarà stata la dolcezza di una notte d’estate che sembrava promettere qualsiasi cosa, fatto sta che uscii dal locale euforico e pieno di un’energia incontenibile. Saltai sopra la vespetta come se fosse l’Harley di easy rider e aprii a manetta su Viale Viareggio. Mentre la velocità mi scompigliava i capelli e mi faceva lacrimare, cantai a squarciagola: “Ohh, Ohh Piccola Katy…Ohh, Ohh Piccola Katy …”. Una falena, od altro insetto nottambulo di notevole dimensione, vide la mia bocca spalancata scambiandola per il garage di casa sua e ci si infilò dentro, senza alcuna esitazione. Sbandai pericolosamente, sputacchiai come un lama incazzato ed assaggiai la mia prima, ed ultima, tartare di lepidottero. Come dimenticare? Ecco perché Stefano d’Orazio rimarrà sempre nei miei ricordi e, andando via, ha portato con se una briciola della mia giovinezza.

 

 

 

 

mercoledì 2 dicembre 2020

Un Natale diverso

 

-Vieni caro, ti racconto una favola.

-Bene, nonno.

-C’era una volta, - cominciò a raccontare il nonno – un bambino che doveva attraversare un bosco. Il sentiero che stava percorrendo era invaso dalle foglie cadute e spazzato dal vento così che, ben presto, il ragazzo perse l’orientamento e si mise a piangere.

-Ma nonno, quel bambino non aveva un cellulare 4G con localizzatore, Google Map e Waze?

-No, figliolo… cominciamo da capo. – Il vecchio, visto l’inizio impervio, pensò di prendere un’altra strada. - C’era, sempre una volta, un soldatino di piombo…

-Soldatino? Intendi un Trasformer Grimlock o Megatron? – Questa volta fu il nonno a non comprendere. Guardò il nipotino come se fosse un piccolo alieno con il quale risultava difficile interagire.

-La vuoi sentire ‘sta cavolo di favola, oppure no? Beh, allora taci! Ricomincio. – Il piccolo sfogo aveva accigliato l’anziano parente ma, partendo di nuovo verso il regno della fantasia, ridistese i tratti del volto sforzandosi di apparire sereno ed affettuoso. – C’era…ok, no. Diciamo che la storia si svolge ai giorni nostri. In realtà sono più tuoi che miei questi giorni, ma lasciamo andare. – Il bambino non aveva voglia di dormire e qualsiasi scusa era la benvenuta per perdere tempo, anche dare spago al nonno. Gli voleva bene, ma a volte non lo capiva. Era troppo severo, specialmente a tavola mentre si mangiava, o fin troppo buono quando lo giustificava sempre. Al piccolo sembrava di trattare con un dinosauro vissuto nel pleisto… quello, insomma.

– Gabriele, un bambino più o meno della tua età, ricevette un messaggio sul palmare.

-Ohh così va bene, nonno. Vai avanti. – Cambiare la prospettiva delle sue favole era un’ardua sfida per il vecchio ma, imperterrito, proseguì.

-Sullo schermo c’era scritto: “Raggiungimi in Finlandia, vicino al Polo Nord. E’ una cosa molto importante. Bella, zio!” In questo caso il “bella” non era inteso come aggettivo qualificativo di genere femminile, mentre lo “zio” non faceva riferimento ad alcun grado di parentela, come ben sai.

-Certo, zio!

- Non mi confondere. Dicevo: la comunicazione arrivava da Gianni, un suo compagno di scuola che da qualche giorno era assente dalle lezioni. Ma per Gabriele, che viveva a Roma con i genitori, sparire per andare a migliaia di chilometri di distanza era praticamente una “mission impossible”.

-Come il film?

-Esatto. Ma il nostro protagonista non si dette per vinto e, dopo averci pensato su tra un Oreo al cioccolato ed uno classico alla vaniglia, finalmente prese una decisione. Ficcò nello zainetto un pile e i calzettoni da montagna, si mise in tasca tutti i soldi che aveva da parte e, con il telefonino, chiamo un taxi. “All’aeroporto, presto” disse al conducente. Arrivato al desk della Finnair…

-Che è: Finnair? E c’era un teschio?

-Macché teschio, desk: biglietteria. Finnair: linee aeree finlandesi. Mettiti giù, chiudi gli occhi e taci. – Proseguì. - Gabriele doveva comprare un passaggio per il Polo, ma non aveva i soldi a sufficienza. Compose il numero della madre: “Mammina…” “Dimmi, caro.” Rispose subito la genitrice. “Senti, mammina cara, devo comprare dei libri per la scuola. Mi dai il numero della tua carta di credito, il CVV e la scadenza?” “Certamente, figlio mio, te li mando subito per whatsapp.” L’ingenua brava donna dette tutte le credenziali al figlio senza badare al SMS di conferma per l’avvenuto pagamento che le giunse poco dopo.

-Furbo!

-Sì, furbo, ma non si fa. Intesi?

-Certo, nonnino.

-Ambè! Procedo. Saltiamo il viaggio, il trasferimento a Rovaniemi e di come quella carta di credito esaurì il suo plafond in pochissimo tempo, per ritrovare Gabriele vicino ad una casa di legno in mezzo ad una distesa di neve tanto bianca che sembrava fatta di zucchero filato.

-Stai correndo troppo, nonno. Rova…che?

-Ah, ah, ah! Rovaniemi: è un paesino in Lapponia dove c’è la casa di Babbo Natale.

-Ohhh! Figo! E poi? – Il nipotino si stava appassionando.

-Faceva freddo, lassù vicino al Polo. La natura sembrava ferma, addormentata, in attesa di un risveglio promesso ma ancora lontano. La notte regnava silente, mentre l’oscurità si stemperava in mille riflessi d’argento. Il cielo di velluto blu era trapunto di una miriade di sfaccettati diamanti dal nome di stella che brillavano di una luce tremula e soffusa. La luna, grande come il viso di una persona amata, specchiava un sole nascosto rimbalzando raggi scremati dal calore e filtrati con la poesia. Le ombre di qualche sparsa roccia o di solitari abeti si allungavano come inquiete presenze su di un palcoscenico d’indaco e seta. La neve riluceva di scintille baluginanti, come se una mano fatata l’avesse seminata con infinitesimali frammenti di un cristallo più puro e prezioso di quanto qualsiasi manifattura di Boemia abbia mai creato. L’aria era tersa e limpida, contaminata solo dal vapore di un respiro subitamente disperso da un refolo di vento, senza odore o consistenza. Il silenzio era rotto solamente dallo sgocciolio di precarie calaverne dall’aspetto di trina in incerto appiglio su scheletrici rami, mentre una solitudine priva d’angoscia infondeva la pace predisponendo gli animi alla preghiera. In quel mondo in equilibrio era l’uomo ad essere l’intruso, un punto di confusione in un insieme perfetto ed immutabile.

-Non ho capito. – Disse il nipotino.

-Scusa, mi sono lasciato andare. Volevo dire che era tutto molto bello, ma proseguiamo. Gabriele aveva appuntamento con l’amico proprio lì e, dopo un po’ che l’aspettava, si sentì battere sulla spalla. “Bella Gabriè! Finalmente sei arrivato. Vieni sediamoci su quel tronco che c’ho una notizia bomba” I due amici si appoggiarono su un albero caduto a terra. “Allora, dimmi, che è successo?” Gianni, con gli occhi brillanti per l’eccitazione, radunò le idee e cominciò. “Vedi quella casa laggiù? Lì abita Babbo Natale, ma quest’anno, la sera del ventiquattro dicembre, non uscirà e non porterà nessun regalo in giro per il mondo.” Era quello che i giornalisti chiamano uno scoop: una rivelazione tanto clamorosa quanto inaspettata. “E perché mai?” Incalzò Gabriele. “Perché Babbo Natale…ha il covid e sta in quarantena! Intendiamoci, non si sente proprio male male, ma alla sua età deve stare riguardato e curarsi. Anche perché se andasse in giro rischierebbe di contagiare ‘na marea di persone. Siccome è vecchio ma responsabile, pare abbia annullato il giro della consegna dei doni.”

-Era malato anche lui? – Chiese il nipotino.

-Eggià, piccolo caro. Questo virus maledetto non guarda in faccia a nessuno.

-E Gianni come l’aveva saputo?

-E’ esattamente la domanda che Gabriele fece all’amico, e lui gli rispose: “Tramite facebook. Mi è arrivata la richiesta di amicizia da parte di un elfo. In un primo momento pensavo fosse un nik, ma poi, chattando e postando, ho capito che era uno vero. Qualche giorno fa se n’è uscito con questa rivelazione pregandomi di tenere il segreto. Però io non potevo far finta di niente, così ho pensato di venire qua per accertarmi dell’accaduto e ti ho chiamato per darmi una mano.” “Hai fatto benissimo.” Rispose Gabriele. “Ma adesso come ci muoviamo?” “Facciamo la cosa più semplice – rispose Gianni – suoniamo al campanello della casa e chiediamo come sta Babbo Natale. Dopodiché decideremo come comportarci.” “Sei sicuro?” “Abbastanza” Ribatté Gianni, ma si vedeva che era intimorito.

Il portoncino si aprì di conseguenza al breve scampanellio che Gabriele osò dopo aver preso il coraggio a due mani. Il ragazzo e l’amico rimasero sulla soglia della casa con gli occhi spalancati e un “Oh” sulle labbra muto ma espressivo come lo stupore dipinto sul loro volto. Da fuori, lo chalet di Babbo Natale appariva grandicello ma niente di particolare, non più di una baita di montagna come tante, ma dall’altra parte dell’uscio si apriva uno spettacolo del tutto inaspettato. Uno stanzone grande come la sala d’aspetto di un aeroporto si allargava per decine di metri mentre il fondo si intravedeva lontano almeno…tanto lontano. La vasta area era suddivisa in corridoi, forse una ventina, e per ogni corsia scorreva un nastro trasportatore carico dei giochi più inverosimili e colorati. Si scorgevano scatole di costruzioni, automobili di ogni dimensione, aeroplani telecomandati, bambole, pupazzi, antenne di aggeggi elettronici e qualsiasi altro oggetto fosse stato sulla lista dei desideri dei bambini di tutto il mondo. Un piccolo esercito di elfi si muoveva affaccendato come una squadra di formiche ben addestrate, ciascuno compreso nel proprio compito in una confusione ordinata che dimostrava un’esperienza di anni. In sottofondo delle musiche natalizie si confondevano con il rumore tipico di una catena di montaggio. Improvvisamente l’immancabile voce di Mariah Carey fu interrotta dall’annuncio di un altoparlante: “L’aiuto elfo Gluggagaegir è pregato di accogliere i visitatori.” Un piccolo gnomo col cappello a cono verde e le orecchie a punta apparve come d’incanto sotto al naso dei ragazzi che sembravano delle statue immobilizzate dalla sorpresa. “Allora –disse Glugg…chiamolo G.- che volete? Ci mancavano due rompiscatole in questo momento! Siete morti? Rispondete!” Il primo a riprendersi fu Gianni. “Uh, ecco, noi veramente…” “Cosa?” “Volevamo sapere se è vero che Babbo Natale sta male e che quest’anno non poterà doni.” Questa volta a stupirsi fu l’elfo. La notizia doveva rimanere segreta, non avrebbe dovuto trapelare niente, ed invece quei due sapevano tutto. “Aspettate qui.” Disse G. e corse via veloce come un lucertola impaurita. Non passò molto tempo che da una porticina su di un lato del capannone uscì una piccola elfa (si chiamano così le donne del popolo degli elfi? Boh!). Sarà stata alta poco più del comò in camera da letto e forse altrettanto larga. Grassottella, ma dall’espressione viva e simpatica, con due lunghe trecce bianche che indicavano come non fosse proprio giovanissima. “Mi chiamo Sugarplum Mary e sono l’assistente della moglie del principale. Come fate a sapere di Babbo Natale?” Gabriele parlò a sua volta: “Gentile signora elfessa, dopo le spiegheremo, ma ci dica è vero?” Lei stette un momento con gli occhi bassi facendo intuire tutta la sua preoccupazione e poi rispose. “Ebbene sì, ragazzi. Siamo in produzione come al solito, ma quest’anno non ci sarà la distribuzione, Metteremo tutto in magazzino in attesa di tempi migliori.” I due amici si resero conto solo in quel momento che quanto avevano temuto era una cruda realtà. Andava a monte il Natale, Gabriele non avrebbe potuto avere il Red Dead Redemption della PS4 e Gianni si sarebbe sognato la Jump Force.

-Ma che davvero? Nonno, ma davvero, davvero?

-Ehh, che ci vuoi fare, nipote mio? Pare che le cose stessero proprio così. Però, sai, gli elfi sono bassi di statura ma molto intelligenti. Sugarplum Mary improvvisamente ebbe un’idea. “Aspettate qui.” Disse ai due amici e muovendo freneticamente le corte gambette, corse via oltre quella porta da cui era sbucata poco prima. A Gabriele e Gianni non importava attendere, erano assolutamente affascinati dallo spettacolo intorno a loro che forse nessun altro bambino aveva mai visto prima. Non trascorse molto tempo che la elfessa tornò. Mostrava un sorriso furbo negli occhietti vivaci. “Venite con me.” Disse loro, e li condusse nei meandri della fabbrica di Babbo Natale.

-Dove li portò?

-Questo non si è mai saputo, ma ti darò una buona notizia.

-Sputa!

-Prego? Il sopracciglio del nonno s’inarcò in modo pericoloso.

-Scusa, nonno. Volevo dire: vai avanti, qual era sta notizia?

-Beh, sai quando nei western lo sceriffo appunta sul petto di due altri uomini una stella di latta e li nomina suoi vice? Ebbene i ragazzi uscirono dall’ufficio di Babbo Natale vestiti di rosso e con una piccola cometa sul bavero delle casacche. Il Natale, nonostante il maledetto Covid, si tenne ugualmente con regali per tutti i bambini del mondo. La sola differenza con gli altri fu che a bordo della slitta trainata da Rudolph e dalle renne sue compagne c’erano due piccole figure invece della solita col corpaccione. Furono tutti contenti: Babbo Natale perché non aveva mancato il suo compito, anche se per interposta persona; Gabri e Gianni per un’avventura insperata e magica; i bravi bambini per i pacchi sotto l’albero ed anche le renne perché, per una volta, non fecero tanta fatica a trasportare il loro panciuto padrone. Anche quella notte risuonò il solito ’”OH, OH, OH!”, era soltanto gridato da un paio di voci diverse, ma nessuno ci fece caso.

-Fine. Piaciuta?

-Me ne racconti un’altra?

-No! A letto e dormi! – Anche la pazienza di un nonno ha un limite!