-Vieni caro,
ti racconto una favola.
-Bene,
nonno.
-C’era una
volta, - cominciò a raccontare il nonno – un bambino che doveva attraversare un
bosco. Il sentiero che stava percorrendo era invaso dalle foglie cadute e
spazzato dal vento così che, ben presto, il ragazzo perse l’orientamento e si
mise a piangere.
-Ma nonno, quel
bambino non aveva un cellulare 4G con localizzatore, Google Map e Waze?
-No,
figliolo… cominciamo da capo. – Il vecchio, visto l’inizio impervio, pensò di prendere
un’altra strada. - C’era, sempre una volta, un soldatino di piombo…
-Soldatino?
Intendi un Trasformer Grimlock o Megatron? – Questa volta fu il nonno a non comprendere.
Guardò il nipotino come se fosse un piccolo alieno con il quale risultava difficile
interagire.
-La vuoi sentire
‘sta cavolo di favola, oppure no? Beh, allora taci! Ricomincio. – Il piccolo
sfogo aveva accigliato l’anziano parente ma, partendo di nuovo verso il regno
della fantasia, ridistese i tratti del volto sforzandosi di apparire sereno ed
affettuoso. – C’era…ok, no. Diciamo che la storia si svolge ai giorni nostri.
In realtà sono più tuoi che miei questi giorni, ma lasciamo andare. – Il
bambino non aveva voglia di dormire e qualsiasi scusa era la benvenuta per perdere
tempo, anche dare spago al nonno. Gli voleva bene, ma a volte non lo capiva.
Era troppo severo, specialmente a tavola mentre si mangiava, o fin troppo buono
quando lo giustificava sempre. Al piccolo sembrava di trattare con un dinosauro
vissuto nel pleisto… quello, insomma.
– Gabriele,
un bambino più o meno della tua età, ricevette un messaggio sul palmare.
-Ohh così va
bene, nonno. Vai avanti. – Cambiare la prospettiva delle sue favole era
un’ardua sfida per il vecchio ma, imperterrito, proseguì.
-Sullo
schermo c’era scritto: “Raggiungimi in Finlandia, vicino al Polo Nord. E’ una
cosa molto importante. Bella, zio!” In questo caso il “bella” non era inteso
come aggettivo qualificativo di genere femminile, mentre lo “zio” non faceva
riferimento ad alcun grado di parentela, come ben sai.
-Certo, zio!
- Non mi
confondere. Dicevo: la comunicazione arrivava da Gianni, un suo compagno di
scuola che da qualche giorno era assente dalle lezioni. Ma per Gabriele, che viveva
a Roma con i genitori, sparire per andare a migliaia di chilometri di distanza
era praticamente una “mission impossible”.
-Come il
film?
-Esatto. Ma il
nostro protagonista non si dette per vinto e, dopo averci pensato su tra un
Oreo al cioccolato ed uno classico alla vaniglia, finalmente prese una
decisione. Ficcò nello zainetto un pile e i calzettoni da montagna, si mise in
tasca tutti i soldi che aveva da parte e, con il telefonino, chiamo un taxi. “All’aeroporto,
presto” disse al conducente. Arrivato al desk della Finnair…
-Che è:
Finnair? E c’era un teschio?
-Macché
teschio, desk: biglietteria. Finnair: linee aeree finlandesi. Mettiti giù,
chiudi gli occhi e taci. – Proseguì. - Gabriele doveva comprare un passaggio
per il Polo, ma non aveva i soldi a sufficienza. Compose il numero della madre:
“Mammina…” “Dimmi, caro.” Rispose subito la genitrice. “Senti, mammina cara,
devo comprare dei libri per la scuola. Mi dai il numero della tua carta di
credito, il CVV e la scadenza?” “Certamente, figlio mio, te li mando subito per
whatsapp.” L’ingenua brava donna dette tutte le credenziali al figlio senza
badare al SMS di conferma per l’avvenuto pagamento che le giunse poco dopo.
-Furbo!
-Sì, furbo,
ma non si fa. Intesi?
-Certo,
nonnino.
-Ambè! Procedo.
Saltiamo il viaggio, il trasferimento a Rovaniemi e di come quella carta di
credito esaurì il suo plafond in pochissimo tempo, per ritrovare Gabriele
vicino ad una casa di legno in mezzo ad una distesa di neve tanto bianca che
sembrava fatta di zucchero filato.
-Stai
correndo troppo, nonno. Rova…che?
-Ah, ah, ah!
Rovaniemi: è un paesino in Lapponia dove c’è la casa di Babbo Natale.
-Ohhh! Figo!
E poi? – Il nipotino si stava appassionando.
-Faceva
freddo, lassù vicino al Polo. La natura sembrava ferma, addormentata, in attesa
di un risveglio promesso ma ancora lontano. La notte regnava silente, mentre l’oscurità
si stemperava in mille riflessi d’argento. Il cielo di velluto blu era trapunto
di una miriade di sfaccettati diamanti dal nome di stella che brillavano di una
luce tremula e soffusa. La luna, grande come il viso di una persona amata, specchiava
un sole nascosto rimbalzando raggi scremati dal calore e filtrati con la
poesia. Le ombre di qualche sparsa roccia o di solitari abeti si allungavano
come inquiete presenze su di un palcoscenico d’indaco e seta. La neve riluceva di
scintille baluginanti, come se una mano fatata l’avesse seminata con
infinitesimali frammenti di un cristallo più puro e prezioso di quanto
qualsiasi manifattura di Boemia abbia mai creato. L’aria era tersa e limpida,
contaminata solo dal vapore di un respiro subitamente disperso da un refolo di
vento, senza odore o consistenza. Il silenzio era rotto solamente dallo
sgocciolio di precarie calaverne dall’aspetto di trina in incerto appiglio su
scheletrici rami, mentre una solitudine priva d’angoscia infondeva la pace
predisponendo gli animi alla preghiera. In quel mondo in equilibrio era l’uomo
ad essere l’intruso, un punto di confusione in un insieme perfetto ed
immutabile.
-Non ho
capito. – Disse il nipotino.
-Scusa, mi
sono lasciato andare. Volevo dire che era tutto molto bello, ma proseguiamo.
Gabriele aveva appuntamento con l’amico proprio lì e, dopo un po’ che
l’aspettava, si sentì battere sulla spalla. “Bella Gabriè! Finalmente sei
arrivato. Vieni sediamoci su quel tronco che c’ho una notizia bomba” I due
amici si appoggiarono su un albero caduto a terra. “Allora, dimmi, che è
successo?” Gianni, con gli occhi brillanti per l’eccitazione, radunò le idee e cominciò.
“Vedi quella casa laggiù? Lì abita Babbo Natale, ma quest’anno, la sera del
ventiquattro dicembre, non uscirà e non porterà nessun regalo in giro per il
mondo.” Era quello che i giornalisti chiamano uno scoop: una rivelazione tanto
clamorosa quanto inaspettata. “E perché mai?” Incalzò Gabriele. “Perché Babbo
Natale…ha il covid e sta in quarantena! Intendiamoci, non si sente proprio male
male, ma alla sua età deve stare riguardato e curarsi. Anche perché se andasse
in giro rischierebbe di contagiare ‘na marea di persone. Siccome è vecchio ma
responsabile, pare abbia annullato il giro della consegna dei doni.”
-Era malato
anche lui? – Chiese il nipotino.
-Eggià, piccolo
caro. Questo virus maledetto non guarda in faccia a nessuno.
-E Gianni come
l’aveva saputo?
-E’
esattamente la domanda che Gabriele fece all’amico, e lui gli rispose: “Tramite
facebook. Mi è arrivata la richiesta di amicizia da parte di un elfo. In un
primo momento pensavo fosse un nik, ma poi, chattando e postando, ho capito che
era uno vero. Qualche giorno fa se n’è uscito con questa rivelazione pregandomi
di tenere il segreto. Però io non potevo far finta di niente, così ho pensato
di venire qua per accertarmi dell’accaduto e ti ho chiamato per darmi una
mano.” “Hai fatto benissimo.” Rispose Gabriele. “Ma adesso come ci muoviamo?” “Facciamo
la cosa più semplice – rispose Gianni – suoniamo al campanello della casa e
chiediamo come sta Babbo Natale. Dopodiché decideremo come comportarci.” “Sei
sicuro?” “Abbastanza” Ribatté Gianni, ma si vedeva che era intimorito.
Il
portoncino si aprì di conseguenza al breve scampanellio che Gabriele osò dopo
aver preso il coraggio a due mani. Il ragazzo e l’amico rimasero sulla soglia
della casa con gli occhi spalancati e un “Oh” sulle labbra muto ma espressivo
come lo stupore dipinto sul loro volto. Da fuori, lo chalet di Babbo Natale appariva
grandicello ma niente di particolare, non più di una baita di montagna come
tante, ma dall’altra parte dell’uscio si apriva uno spettacolo del tutto
inaspettato. Uno stanzone grande come la sala d’aspetto di un aeroporto si
allargava per decine di metri mentre il fondo si intravedeva lontano almeno…tanto
lontano. La vasta area era suddivisa in corridoi, forse una ventina, e per ogni
corsia scorreva un nastro trasportatore carico dei giochi più inverosimili e
colorati. Si scorgevano scatole di costruzioni, automobili di ogni dimensione,
aeroplani telecomandati, bambole, pupazzi, antenne di aggeggi elettronici e
qualsiasi altro oggetto fosse stato sulla lista dei desideri dei bambini di
tutto il mondo. Un piccolo esercito di elfi si muoveva affaccendato come una
squadra di formiche ben addestrate, ciascuno compreso nel proprio compito in
una confusione ordinata che dimostrava un’esperienza di anni. In sottofondo
delle musiche natalizie si confondevano con il rumore tipico di una catena di
montaggio. Improvvisamente l’immancabile voce di Mariah Carey fu interrotta dall’annuncio
di un altoparlante: “L’aiuto elfo Gluggagaegir è pregato di accogliere i
visitatori.” Un piccolo gnomo col cappello a cono verde e le orecchie a punta apparve
come d’incanto sotto al naso dei ragazzi che sembravano delle statue
immobilizzate dalla sorpresa. “Allora –disse Glugg…chiamolo G.- che volete? Ci
mancavano due rompiscatole in questo momento! Siete morti? Rispondete!” Il
primo a riprendersi fu Gianni. “Uh, ecco, noi veramente…” “Cosa?” “Volevamo
sapere se è vero che Babbo Natale sta male e che quest’anno non poterà doni.” Questa
volta a stupirsi fu l’elfo. La notizia doveva rimanere segreta, non avrebbe
dovuto trapelare niente, ed invece quei due sapevano tutto. “Aspettate qui.”
Disse G. e corse via veloce come un lucertola impaurita. Non passò molto tempo
che da una porticina su di un lato del capannone uscì una piccola elfa (si
chiamano così le donne del popolo degli elfi? Boh!). Sarà stata alta poco più
del comò in camera da letto e forse altrettanto larga. Grassottella, ma dall’espressione
viva e simpatica, con due lunghe trecce bianche che indicavano come non fosse proprio
giovanissima. “Mi chiamo Sugarplum Mary e sono l’assistente della moglie del
principale. Come fate a sapere di Babbo Natale?” Gabriele parlò a sua volta: “Gentile
signora elfessa, dopo le spiegheremo, ma ci dica è vero?” Lei stette un momento
con gli occhi bassi facendo intuire tutta la sua preoccupazione e poi rispose. “Ebbene
sì, ragazzi. Siamo in produzione come al solito, ma quest’anno non ci sarà la
distribuzione, Metteremo tutto in magazzino in attesa di tempi migliori.” I due
amici si resero conto solo in quel momento che quanto avevano temuto era una
cruda realtà. Andava a monte il Natale, Gabriele non avrebbe potuto avere il Red
Dead Redemption della PS4 e Gianni si sarebbe sognato la Jump Force.
-Ma che
davvero? Nonno, ma davvero, davvero?
-Ehh, che ci
vuoi fare, nipote mio? Pare che le cose stessero proprio così. Però, sai, gli
elfi sono bassi di statura ma molto intelligenti. Sugarplum Mary improvvisamente
ebbe un’idea. “Aspettate qui.” Disse ai due amici e muovendo freneticamente le corte
gambette, corse via oltre quella porta da cui era sbucata poco prima. A
Gabriele e Gianni non importava attendere, erano assolutamente affascinati dallo
spettacolo intorno a loro che forse nessun altro bambino aveva mai visto prima.
Non trascorse molto tempo che la elfessa tornò. Mostrava un sorriso furbo negli
occhietti vivaci. “Venite con me.” Disse loro, e li condusse nei meandri della
fabbrica di Babbo Natale.
-Dove li
portò?
-Questo non
si è mai saputo, ma ti darò una buona notizia.
-Sputa!
-Prego? Il
sopracciglio del nonno s’inarcò in modo pericoloso.
-Scusa,
nonno. Volevo dire: vai avanti, qual era sta notizia?
-Beh, sai
quando nei western lo sceriffo appunta sul petto di due altri uomini una stella
di latta e li nomina suoi vice? Ebbene i ragazzi uscirono dall’ufficio di Babbo
Natale vestiti di rosso e con una piccola cometa sul bavero delle casacche. Il
Natale, nonostante il maledetto Covid, si tenne ugualmente con regali per tutti
i bambini del mondo. La sola differenza con gli altri fu che a bordo della slitta
trainata da Rudolph e dalle renne sue compagne c’erano due piccole figure
invece della solita col corpaccione. Furono tutti contenti: Babbo Natale perché
non aveva mancato il suo compito, anche se per interposta persona; Gabri e
Gianni per un’avventura insperata e magica; i bravi bambini per i pacchi sotto
l’albero ed anche le renne perché, per una volta, non fecero tanta fatica a
trasportare il loro panciuto padrone. Anche quella notte risuonò il solito ’”OH,
OH, OH!”, era soltanto gridato da un paio di voci diverse, ma nessuno ci fece
caso.
-Fine. Piaciuta?
-Me ne
racconti un’altra?
-No! A letto
e dormi! – Anche la pazienza di un nonno ha un limite!