venerdì 18 febbraio 2022

L’ETICA DEL MARPIONE, OVVERO: QUANDO UN OSSIMORO FA LA DIFFERENZA.

 

Qualche tempo fa, in treno, stavo andando a Milano per lavoro. Dopo aver occupato il posto a me assegnato, mi guardai distrattamente intorno. C’era poca gente sul vagone, ma il mio occhio insofferente alla cacofonia cromatica venne subitaneamente attirato da una sciarpa patchwork in confronto alla quale qualunque abbigliamento sfoggiato da uno zingaro in vena di eccentricità sarebbe risultato sobrio. Grande come un lenzuolo matrimoniale, più colorata del cappottino di Dolly Parton bambina, di un materiale simil-seta lucido e viscido come la pelle di un mamba africano, era annodata ad un intuibile collo di un rubizzo passeggero seduto a ore 2 rispetto alla mia postazione. L’uomo sembrava sulla mezza età; l’addome strabordante da una cintura ai limiti della resistenza ed una delicata filigrana di capillari purpurei ad ornamento del naso, testimoniavano con certezza che il verbo “continenza” si coniugava raramente nel suo lessico familiare. Anche lui mi notò e con inquietudine mi accorsi che stava dando il via ad una complessa manovra di disincagliamento dal sedile per appropinquarsi a me.

-Buonasera. – Disse con un mal addomesticato accento dal quale trapelava un retrogusto di nduja e aglio odoroso.

-Buongiorno. – Precisai, volendo sottolineare come il saluto fosse inappropriato in presenza di invadenti lame di luce fendenti dai finestrini a palese testimonianza del sole allo zenit.

-Scusate il disturbo, siete salito a Roma, nevvero? – Continuò – Mi stavo chiedendo se, per caso, voi conosciate qualcuno al Ministero dei Lavori Pubblici. – La consecutio era quantomeno labile, assumendo che l’essere partito da Termini fosse requisito sufficiente per appartenere al sottobosco della parastatalità. Come disse Totò in una famosa macchietta spacciandosi per il Pasquale che non era, “chissà questo dove vuole arrivare?” sogghignai tra me decidendo di assecondarlo.

-Beh, fra noi a Roma ci si conosce un po’ tutti. – Gli dissi per incoraggiarlo, celando la mia misantropia patologica.

-Bene. Permettete che mi presenti. – Fece il tizio coniugando il nome proprio di un patrono dal sangue ballerino con un cognome frutto della Ruota degli Innocenti. E si sedette di fronte a me.

-Molto lieto, - risposi- Mario Rossi. – In quel momento ritenni che fosse utile dire una piccola bugia da usare come preservativo nei confronti di un’eventuale contaminazione di confidenza. – Come posso esserle utile?

-Lasciate che ve lo spieghi. – Si mise comodo, per quanto il sedile gli concedesse, e prima di cominciare tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un secondo lenzuolo king size, stavolta tutto bianco, o quasi. Tirò un respiro che avrebbe potuto competere con l’inalazione di Maiorca prima di buttarsi in apnea, e poi soffiò attraverso le narici con un impegno degno di migliore causa. La sirena del Titanic sarebbe risultata più discreta in confronto al barrito provocato, e non stetti ad indagare sulla corrispondente produzione. Poi, liberato, e felice del suo exploit, continuò. – Dovete sapere che io vengo da un paese bellissimo, vicino al mare e con tanta terra coltivata tutt’intorno. La mia occupazione è fare favori, mi piace. La gente mi vuole bene e quando qualcosa preoccupa un mio concittadino o magari ci sta qualche problema economico, io intervengo cercando di risolvere per il meglio.

-Meritorio. – Commentai “tranchant”.

-Già. – Si concesse una pausa socchiudendo gli occhi come compiacendosi per la propria munificenza forse sprecata per i villani di quel paese. – Allora, dicevo, possiedo una certa disponibilità di denaro, non molto mi dovete credere, ma abbastanza per fare del bene. Eh, intendiamoci, non sono un santo. Una piccola carezza, un leggero guadagno, me ne deve venire, altrimenti andrei presto a zappare la terra e se qualcuno mi prega di togliergli un fastidio, poi chiederò un favore, mi sembra giusto. Così come qualche soldo anticipato mi deve tornare più grasso. – Il tizio proruppe alle sue stesse parole in una risata tanto sgradevole quanto inquietante.

-Interessante, - intervenni – ma non vedo…

-Oheeee! Avete fretta? Tanto qui dovete stare, no? Allora, faciteme o’ piacere, statemi a sentire.

-Certamente, caro.

-Okkei. – Accortosi di avermi un po’ spaventato, il tizio sfoderò un sorriso da trentadue denti. O meglio, trentadue sarebbero stati se ci fossero stati, in realtà ne apparvero una quindicina ben distanziati e sui toni dell’ocra/terra di Siena. – Scusate, ma se perdo il filo… E quindi…fra le tante mie attività io sono anche un costruttore. Ho edificato una serie di palazzi da quindici piani proprio sulla costa, in prossimità del mare, che sono una bellezza! Per la verità, qualche Pretore senza gusto estetico e contrario alla modernità, provò a obiettare qualcosa, ma poi dopo che malauguratamente ebbe trovato sul proprio letto le spoglie del suo precocemente defunto animale domestico, si rese conto che nella vita ci sono cose più importanti di qualche colata di cemento qua e là.

-Eh, la libertà d’impresa viene ostacolata! – Simpatizzai con l’imprenditore.

-Esattamente! Comunque, qualche tempo fa ho ricevuto una donazione da parte di un paesano a seguito di un debito non onorato. Si tratta di un lotto di terreno di circa mille metri quadri e vorrei costruirci sopra un altro edificio sullo stile degli altri. Il vecchio proprietario ha firmato il passaggio di proprietà volentieri, anzi volentierissimo. Avreste dovuto vedere com’era contento di sbarazzarsi di quel pezzo di terra pur di allontanare la fastidiosa sensazione di freddo che avvertiva sulla tempia causata dallo strumento di lavoro di un mio socio.

-Capisco. – Ribattei io, già estremamente pentito per aver derogato dalla regola aurea che recita: “solitudo sola beatitudo”, ma incapace di svincolarmi.

-Lo vedete che mi capite? In fondo siamo tutti e due sulla stessa barca, no?

-Abbia la compiacenza, di quale barca stiamo parlando?

-Eh, caro il mio signore di Roma, voi siete un furbacchione! – Ammiccava, sogghignava e sottecchiava come un allibratore con la soffiata vincente nei confronti di uno scommettitore indeciso. – Noi uomini di mondo siamo! Comunque, torniamo al mio piccolo “bussinnesse”. A me serve qualcuno ai Lavori Pubblici che porti una strada dalla statale al mio terreno, altrimenti sarebbe difficile vendere gli appartamenti di un palazzo quasi irraggiungibile.

-Capisco, ma forse potrebbe pensare lei stesso a fare una via d’accesso. Non credo che si sia mai fatto tanti scrupoli in merito ai permessi. O sbaglio?

-Sissignore, io sono uomo di sostanza non di scartoffie. Se c’è da fare faccio e poi le cose si aggiustano.

-E allora a che le serve una concessione dal Ministero?

-Mi piacete, voi siete…un figlio ‘e ‘ntrocchia comm’amme. Avete colto il punto. Questa volta voglio fare le cose per bene perché non ci sono di mezzo solo i miei interessi. – Fui quasi stupito da questa dichiarazione di correttezza da parte di quell’uomo che fino ad allora mi era apparso così disinvolto. Forse rischiava di entrare in conflitto con qualche boss locale e aveva paura di scatenare ritorsioni o faide generazionali?

-Può spiegarsi meglio? – Sentendo le mie parole, e ricordandosi il motivo della sua titubanza, all’uomo si riempirono gli occhi di lacrime. Di conseguenza, mise la mano in tasca per riesumare il fazzolettone. Mi aspettavo di nuovo un concerto per trombone e spruzzi, ma per fortuna all’ultimo ci ripensò accontentandosi di un rapido passaggio del naso sulla manica della giacca.

-Quei poveri orfanelli! – Oggesù, pensai, vuole fare una strage! Poi continuò. – La strada dovrebbe passare attraverso la proprietà di un collegio per bambini abbandonati e io non voglio che loro subiscano un danno. Se faccio a modo mio, l’orfanotrofio perderebbe una parte del suo terreno senza avere niente in cambio, invece se interviene il Ministero con un esproprio dovrebbe risarcire quanto sottratto. In questa maniera saremmo tutti felici: io con la mia strada e gli orfanelli con un po’ di soldi.

Il ragionamento filava, ma c’era qualcosa che non mi tornava. Con la spavalderia e sprezzo del pericolo che mi sono propri, azzardai la domanda.

-Mi perdoni l’ardire, – esordii – come mai lei ha tanti scrupoli nei confronti di quei bambini quando taluno potrebbe patire la propria condizione forse a causa del suo stesso intervento?

-Non ho capito. – Disse. Presi il coraggio a due mani.

-Intendevo: perché ha tanto a cuore quelle creature quando, probabilmente, a rendere orfano qualcuno di loro può essere stato proprio lei? – L’uomo ristette serio e compunto, poi, dopo un’energica grattata sub ascellare, mi rispose.

-Io, caro signore, posso essere il peggiore degli uomini, ma non sarei un uomo se facessi del male ai piccerilli. E’ chiaro, o no?

Era un’etica di vita un po’ contorta, ma chi ero io per giudicare?

-Giustissimo. Quando torno a Roma vedrò cosa posso fare, non dubiti.

-Ehh, così mi piacete. E poi state sicuro che qualche picciolo rimarrà attaccato alle vostre dita. – In quel momento il “train manager”, ovvero il vecchio capotreno trasferito su Italo, annunciò: “Prossima fermata: Rogoredo”.

Colsi l’occasione al volo e mi scusai col mio interlocutore dicendo che ero arrivato, anche se non era vero. Scesi, ma prima di avviarmi verso un taxi, mi recai alla toilette per lavarmi le mani. Mi sentivo le dita appiccicose.