Qualche tempo fa, in treno, stavo andando a Milano per
lavoro. Dopo aver occupato il posto a me assegnato, mi guardai distrattamente
intorno. C’era poca gente sul vagone, ma il mio occhio insofferente alla
cacofonia cromatica venne subitaneamente attirato da una sciarpa patchwork in
confronto alla quale qualunque abbigliamento sfoggiato da uno zingaro in vena
di eccentricità sarebbe risultato sobrio. Grande come un lenzuolo matrimoniale,
più colorata del cappottino di Dolly Parton bambina, di un materiale simil-seta
lucido e viscido come la pelle di un mamba africano, era annodata ad un intuibile
collo di un rubizzo passeggero seduto a ore 2 rispetto alla mia postazione.
L’uomo sembrava sulla mezza età; l’addome strabordante da una cintura ai limiti
della resistenza ed una delicata filigrana di capillari purpurei ad ornamento
del naso, testimoniavano con certezza che il verbo “continenza” si coniugava
raramente nel suo lessico familiare. Anche lui mi notò e con inquietudine mi
accorsi che stava dando il via ad una complessa manovra di disincagliamento dal
sedile per appropinquarsi a me.
-Buonasera. – Disse con un mal addomesticato accento dal
quale trapelava un retrogusto di nduja e aglio odoroso.
-Buongiorno. – Precisai, volendo sottolineare come il saluto
fosse inappropriato in presenza di invadenti lame di luce fendenti dai
finestrini a palese testimonianza del sole allo zenit.
-Scusate il disturbo, siete salito a Roma, nevvero? – Continuò
– Mi stavo chiedendo se, per caso, voi conosciate qualcuno al Ministero dei
Lavori Pubblici. – La consecutio era quantomeno labile, assumendo che l’essere
partito da Termini fosse requisito sufficiente per appartenere al sottobosco
della parastatalità. Come disse Totò in una famosa macchietta spacciandosi per
il Pasquale che non era, “chissà questo dove vuole arrivare?” sogghignai tra me
decidendo di assecondarlo.
-Beh, fra noi a Roma ci si conosce un po’ tutti. – Gli dissi
per incoraggiarlo, celando la mia misantropia patologica.
-Bene. Permettete che mi presenti. – Fece il tizio
coniugando il nome proprio di un patrono dal sangue ballerino con un cognome frutto
della Ruota degli Innocenti. E si sedette di fronte a me.
-Molto lieto, - risposi- Mario Rossi. – In quel momento
ritenni che fosse utile dire una piccola bugia da usare come preservativo nei
confronti di un’eventuale contaminazione di confidenza. – Come posso esserle
utile?
-Lasciate che ve lo spieghi. – Si mise comodo, per quanto il
sedile gli concedesse, e prima di cominciare tirò fuori dalla tasca dei
pantaloni un secondo lenzuolo king size, stavolta tutto bianco, o quasi. Tirò
un respiro che avrebbe potuto competere con l’inalazione di Maiorca prima di
buttarsi in apnea, e poi soffiò attraverso le narici con un impegno degno di
migliore causa. La sirena del Titanic sarebbe risultata più discreta in
confronto al barrito provocato, e non stetti ad indagare sulla corrispondente
produzione. Poi, liberato, e felice del suo exploit, continuò. – Dovete sapere
che io vengo da un paese bellissimo, vicino al mare e con tanta terra coltivata
tutt’intorno. La mia occupazione è fare favori, mi piace. La gente mi vuole
bene e quando qualcosa preoccupa un mio concittadino o magari ci sta qualche
problema economico, io intervengo cercando di risolvere per il meglio.
-Meritorio. – Commentai “tranchant”.
-Già. – Si concesse una pausa socchiudendo gli occhi come
compiacendosi per la propria munificenza forse sprecata per i villani di quel
paese. – Allora, dicevo, possiedo una certa disponibilità di denaro, non molto mi
dovete credere, ma abbastanza per fare del bene. Eh, intendiamoci, non sono un
santo. Una piccola carezza, un leggero guadagno, me ne deve venire, altrimenti
andrei presto a zappare la terra e se qualcuno mi prega di togliergli un
fastidio, poi chiederò un favore, mi sembra giusto. Così come qualche soldo
anticipato mi deve tornare più grasso. – Il tizio proruppe alle sue stesse
parole in una risata tanto sgradevole quanto inquietante.
-Interessante, - intervenni – ma non vedo…
-Oheeee! Avete fretta? Tanto qui dovete stare, no? Allora,
faciteme o’ piacere, statemi a sentire.
-Certamente, caro.
-Okkei. – Accortosi di avermi un po’ spaventato, il tizio
sfoderò un sorriso da trentadue denti. O meglio, trentadue sarebbero stati se
ci fossero stati, in realtà ne apparvero una quindicina ben distanziati e sui
toni dell’ocra/terra di Siena. – Scusate, ma se perdo il filo… E quindi…fra le
tante mie attività io sono anche un costruttore. Ho edificato una serie di
palazzi da quindici piani proprio sulla costa, in prossimità del mare, che sono
una bellezza! Per la verità, qualche Pretore senza gusto estetico e contrario
alla modernità, provò a obiettare qualcosa, ma poi dopo che malauguratamente
ebbe trovato sul proprio letto le spoglie del suo precocemente defunto animale
domestico, si rese conto che nella vita ci sono cose più importanti di qualche
colata di cemento qua e là.
-Eh, la libertà d’impresa viene ostacolata! – Simpatizzai
con l’imprenditore.
-Esattamente! Comunque, qualche tempo fa ho ricevuto una
donazione da parte di un paesano a seguito di un debito non onorato. Si tratta
di un lotto di terreno di circa mille metri quadri e vorrei costruirci sopra un
altro edificio sullo stile degli altri. Il vecchio proprietario ha firmato il
passaggio di proprietà volentieri, anzi volentierissimo. Avreste dovuto vedere
com’era contento di sbarazzarsi di quel pezzo di terra pur di allontanare la
fastidiosa sensazione di freddo che avvertiva sulla tempia causata dallo
strumento di lavoro di un mio socio.
-Capisco. – Ribattei io, già estremamente pentito per aver
derogato dalla regola aurea che recita: “solitudo sola beatitudo”, ma incapace
di svincolarmi.
-Lo vedete che mi capite? In fondo siamo tutti e due sulla stessa
barca, no?
-Abbia la compiacenza, di quale barca stiamo parlando?
-Eh, caro il mio signore di Roma, voi siete un furbacchione!
– Ammiccava, sogghignava e sottecchiava come un allibratore con la soffiata
vincente nei confronti di uno scommettitore indeciso. – Noi uomini di mondo
siamo! Comunque, torniamo al mio piccolo “bussinnesse”. A me serve qualcuno ai
Lavori Pubblici che porti una strada dalla statale al mio terreno, altrimenti
sarebbe difficile vendere gli appartamenti di un palazzo quasi irraggiungibile.
-Capisco, ma forse potrebbe pensare lei stesso a fare una
via d’accesso. Non credo che si sia mai fatto tanti scrupoli in merito ai
permessi. O sbaglio?
-Sissignore, io sono uomo di sostanza non di scartoffie. Se
c’è da fare faccio e poi le cose si aggiustano.
-E allora a che le serve una concessione dal Ministero?
-Mi piacete, voi siete…un figlio ‘e ‘ntrocchia comm’amme.
Avete colto il punto. Questa volta voglio fare le cose per bene perché non ci
sono di mezzo solo i miei interessi. – Fui quasi stupito da questa
dichiarazione di correttezza da parte di quell’uomo che fino ad allora mi era
apparso così disinvolto. Forse rischiava di entrare in conflitto con qualche
boss locale e aveva paura di scatenare ritorsioni o faide generazionali?
-Può spiegarsi meglio? – Sentendo le mie parole, e
ricordandosi il motivo della sua titubanza, all’uomo si riempirono gli occhi di
lacrime. Di conseguenza, mise la mano in tasca per riesumare il fazzolettone.
Mi aspettavo di nuovo un concerto per trombone e spruzzi, ma per fortuna
all’ultimo ci ripensò accontentandosi di un rapido passaggio del naso sulla
manica della giacca.
-Quei poveri orfanelli! – Oggesù, pensai, vuole fare una
strage! Poi continuò. – La strada dovrebbe passare attraverso la proprietà di
un collegio per bambini abbandonati e io non voglio che loro subiscano un danno.
Se faccio a modo mio, l’orfanotrofio perderebbe una parte del suo terreno senza
avere niente in cambio, invece se interviene il Ministero con un esproprio
dovrebbe risarcire quanto sottratto. In questa maniera saremmo tutti felici: io
con la mia strada e gli orfanelli con un po’ di soldi.
Il ragionamento filava, ma c’era qualcosa che non mi
tornava. Con la spavalderia e sprezzo del pericolo che mi sono propri, azzardai
la domanda.
-Mi perdoni l’ardire, – esordii – come mai lei ha tanti
scrupoli nei confronti di quei bambini quando taluno potrebbe patire la propria
condizione forse a causa del suo stesso intervento?
-Non ho capito. – Disse. Presi il coraggio a due mani.
-Intendevo: perché ha tanto a cuore quelle creature quando,
probabilmente, a rendere orfano qualcuno di loro può essere stato proprio lei?
– L’uomo ristette serio e compunto, poi, dopo un’energica grattata sub
ascellare, mi rispose.
-Io, caro signore, posso essere il peggiore degli uomini, ma
non sarei un uomo se facessi del male ai piccerilli. E’ chiaro, o no?
Era un’etica di vita un po’ contorta, ma chi ero io per
giudicare?
-Giustissimo. Quando torno a Roma vedrò cosa posso fare, non
dubiti.
-Ehh, così mi piacete. E poi state sicuro che qualche
picciolo rimarrà attaccato alle vostre dita. – In quel momento il “train
manager”, ovvero il vecchio capotreno trasferito su Italo, annunciò: “Prossima
fermata: Rogoredo”.
Colsi l’occasione al volo e mi scusai col mio interlocutore
dicendo che ero arrivato, anche se non era vero. Scesi, ma prima di avviarmi
verso un taxi, mi recai alla toilette per lavarmi le mani. Mi sentivo le dita
appiccicose.