giovedì 19 marzo 2020

La nostra guerra

E così, anche la nostra generazione sta vivendo la sua guerra. Pensavamo, forse per la prima volta nella storia, di averla scampata, ma evidentemente è una punizione che spetta a tutti. Il problema è che non ne siamo preparati. L’attuale conflitto ha connotazioni esattamente opposte a quello delle altre guerre e dobbiamo combatterlo come mai in precedenza. Nelle guerre tradizionali sai chi è, vedi, il tuo nemico; adesso bisogna snidare un subdolo microorganismo invisibile ed onnipresente. Prima le vittime erano soprattutto i giovani ed i più forti, ora sono i vecchi ed i più deboli. C’era un fronte o quantomeno dei confini per le parti avverse; non ci sono più barriere che tengano per questo schifoso che s’insinua addirittura nelle nostre case. Le armi facevano rumore ed erano di pesante ferraglia; adesso si combatte in silenzio, con l’assenza, astenendosi dall’uscire, non facendo, rimanendo fermi. Sotto le bombe ci si riparava nei rifugi sotterranei; ora si esce sulle terrazze. Per consolarsi dalla paura si stava insieme, le famiglie si riunivano per sostenersi a vicenda e sotto il coprifuoco i bar erano pieni di amici che si sbronzavano esorcizzando la paura con una finta allegria; adesso si tengono lontani i propri cari per timore di essere fonte involontaria di contagio e si sta soli, in attesa. Si soffriva la fame; ci si abboffa. I medici stavano nelle retrovie per curare i feriti; i medici sono in prima linea e spesso sono loro gli eroi ed i caduti. Il bollettino di guerra parlava di morti e feriti tra i soldati; la Protezione Civile dà numeri che rappresentano persone qualunque, spesso innocue e miti come i vecchi. Le città erano bombardate dopo la sirena; le città si svuotano da sole impaurite dal silenzio. Il governo prometteva lacrime, sangue e la vittoria; i governi sbandano ed emettono provvedimenti giorno per giorno a seconda dell’umore del nemico. Gli scienziati studiavano armi per attaccare; ora lavorano per trovare un’arma che ci difenda. Si aspettava la fine della guerra per tornare alla normalità; c’è meno speranza nel futuro. Churchill, De Gasperi, Roosevelt; Boris Johnson, Conte, Trump.
Però, dopo le guerre, c’è sempre stata una rinascita. I sopravvissuti erano felici di essersela cavata e si rimboccarono le maniche per ricostruire, per assicurarsi un futuro migliore. Dopo l’ultimo conflitto mondiale l’Italia era in ginocchio, a distanza di poco più di un decennio la lira guadagnò l’Oscar per la valuta più forte del mondo. Le fabbriche erano al massimo della produzione, l’eccellenza italiana era riconosciuta ovunque e Roma celebrò le più belle Olimpiadi dell’era moderna.
Le condizioni per ripartire sono una massiccia dose di investimenti sia pubblici che privati e la libertà d’impresa. Nel quarantacinque ci fu per l’Italia il Piano Marshall, ora ci dovrebbe essere la BCE, e qui c’è un punto interrogativo grande come la nostra diffidenza. Ma se le istituzioni nazionali ed internazionali adotteranno la strategia del “whatever it takes”, ce la potremo fare.
Lo scorso anno a marzo faceva freddo; quest’anno sembra già primavera, prendiamolo come un incoraggiamento.