“Ciao, Cì!” mi salutò Massimo. Io non mi chiamo né Ciriaco,
né Cirillo né, tanto meno Ciccio, ma questo è il suo intercalare e, dopo tanto
tempo che lo conosco, ormai ci sono abituato. Ero andato a trovare l’amico
presso il suo ufficio perché, avendo un po’ di tempo libero nei miei giri per
la città, avevo pensato di prendere un caffè insieme e metterlo al corrente
delle ultime novità. Sono un Vice Questore Aggiunto distaccato, attualmente,
presso il Ministero dell’Interno al Viminale. Il lavoro mi piace molto ed oltre
ad essere di notevole responsabilità e rilevanza sociale, mi fornisce anche la
libertà di poter gestire i miei impegni. Nell’ambito delle mie competenze,
infatti, organizzo gli spostamenti miei e dei miei collaboratori non legandomi
alla scrivania ma, anzi, spaziando verso ogni direzione susciti il mio
interesse. Ultimamente al Ministro erano giunte segnalazioni dall’Interpol
relative a possibili ramificazioni di un caso internazionale che si supponeva
potesse avere sviluppi sul nostro territorio ed io ero stato incaricato delle
indagini. “Come stai, Cì? Andiamoci a prendere il caffè al bar qui vicino”
Massimo è una persona molto cordiale e lavorando in quell’ufficio da molti
anni, conosce tutto della zona ed è in confidenza con i vicini e gli esercenti
dei vari locali. Ci avvicinammo al bancone e lui passò l’ordinazione al
barista: “Mi fai, per favore, un caffè lungo, qualità arabica, miscela
d’importazione, tazza calda, schiumato con latte della Centrale a mezza scrematura,
possibilmente di giornata. Grazie” Il tipo, al di là del bancone, lo guardò da
sotto in su dicendo, visto che lo conosceva, “Va bene, come al solito.” In
realtà pensando: “Ahò, te dovrei chiedere cinque euri per tutte ste cose, mica
novanta centesimi!” “Per lei?” chiese rivolto a me. “Un macchiato caldo”: tre
parole per lo stesso concetto. “Allora, Cì, mi dovevi dire qualcosa?” mi chiese
Massimo sorseggiando la bevanda alla quale aveva aggiunto mezzo cucchiaino di
zucchero di canna girato cinque volte in senso antiorario. “Si – risposi – Oggi
mi ha chiamato il Ministro e…” “A Cì, aspetta, aspetta che ti devo raccontare
che m’è successo oggi con la moto.” Io, pensando fosse una cosa grave, accettai
l’interruzione e lo lasciai proseguire capendo come per lui potesse essere rilevante
che la sua amata Harley avesse avuto qualche inconveniente. Bisogna sapere che
Massimo è un fiero ed orgoglioso centauro. Descriverei il mio amico come una
persona di circa cinquant’anni ben portati. Snello, con una eleganza sportiva
che abbina foularini in tinta con giacche sfoderate e camperos, capelli
scompigliati ad arte e movenze agili. Potrei anche dire che, forse, non è
altissimo e questo si nota in particolare quando è in sella al suo mostro
meccanico. Qualcuno ricorderà il noto comico romano Renato Rascel quando, nella
macchietta che gli dette la notorietà, interpretava il corazziere. Anche lui
non era, diciamo, una stanga e, facendo la parte di uno di quei militari che
sono alti ameno un metro e novanta, si presentava in palcoscenico con un pastrano
che spolverava per terra, uno sciabolone che gli arrivava alla fronte ed uno
spropositato elmo con pennacchio. Attaccava cantando “Mamma ti ricordi quando
ero piccoletto…” Nei teatri di avanspettacolo anni ‘50, l’effetto comico era
assicurato. Sono sicuro che l’amico non si offenderà, ma quando Massimo inforca
l’Harley Davidson, si vede una gran “cazzerola” (pentola, in romanesco – casco
per translata immagine) su un insieme di cromature e rombo di motore che un
po’, me ne scuso, mi fa tornare in mente Rascel. Dopo che ho perso un’amicizia,
posso continuare nel racconto. La digressione serve per far intendere come
quando lui mi prospettò un problema, io gli cedetti la precedenza nella
conversazione. Non voglio annoiare il lettore riportando i sintomi di fasce dei
pistoni lente o simili, anche perché ad un certo punto mi persi anch’io nelle
sue lamentele. “Hai capito, Cì, che mi è successo? E mo’ che devo fa? Piuttosto
che mi stavi raccontando?” riprese il mio (ex?) amico. “Adesso tocca a me.”
Pensai. “Ti dicevo che mi ha chiamato il Capo di Gabinetto e, insieme, siamo
andati dal Ministro che…” “Pronto, Alvaro?” mi interruppe Massimo prendendo il
cellulare che aveva cominciato ad emettere il suo fastidioso jingle. “Scusa,
Cì, ma stavo aspettando la chiamata.” “Fai, fai.” Risposi paziente. La
telefonata durò poco, ma, a quel punto, mi era passato l’entusiasmo di
raccontare le mie novità e, quando riattaccò cambiai discorso. “Che fai oggi?”
gli chiesi per conversazione. “Non me ne parlare. Sto incasinatissimo. Devo
andare da Maiorana a comprare gli astici per fare la catalana. Oh,
intendiamoci: quelli blu della Sardegna mica gli altri che vengono
dall’Atlantico. Lo so, costano 28 euro e cinquanta al chilo contro i 13 e
sessantacinque degli altri, ma con la cipolla di Tropea, la scorzetta di
arancio biologico ed un filo d’olio extravergine della Sabina occidentale, sono
un’altra cosa!” “E’ naturale.” Dissi io con un marcato aumento della
salivazione evocato dal piatto da lui descritto. “E poi – proseguì Massimo –
devo andare alla Toyota a ritirare la macchina a cui ho fatto fare il tagliando
e riportarla a casa.” Si era fatta ormai l’ora di pranzo e quindi gli proposi:
“Se vuoi, ti accompagno e poi ci mangiamo una cosa insieme.” “Dai, Cì, mi fa
piacere. Andiamo.” Chiuse l’ufficio, andammo a ritirare l’autovettura riparata
e, quindi, ci avviamo verso la sua villa appena fuori città.
Arrivati a casa, ci corse subito incontro Gina, la gatta,
che Massimo accolse con una tenerezza per me del tutto incomprensibile vista
anche l’allergia che il pelo dei subdoli felini mi provoca. “Vieni dento, Cì,
che ci facciamo preparare un’insalatina veloce con gherigli di noce Pecam,
germogli di spinacino e radicchio trevigiano colto a mano in una notte di luna
piena(?!?)” “Bon!” risposi, pensando che un sano spago “aglio e oglio” avrebbe
meglio sopito i giustificati lamenti del mio apparato digerente.
“Facciamo una sorpresa a Daniela che non mi aspettava a quest’ora.”
Mi disse l’amico avviandosi verso il suo studio dove si intravedeva la moglie
alla scrivania concentrata a digitare su una tastiera di pc. Le arrivammo alle
spalle senza che se ne avvedesse. “Ciao!” dissi io facendole fare un salto
sulla sedia del quale, se l’avesse vista, Gina sarebbe stata molto invidiosa. “Come
Stai? Che stai facendo? Un momento, ferma!” Esclamai rendendomi conto,
improvvisamente, che la signora non solo stava al computer, ma era circondata
da almeno tre monitor tutti accesi su differenti schermate. Una piccola
consolle teneva in carica due telefoni cellulari ed altri due stavano sul
tavolo. Vidi distintamente i siti con i quali era connessa e la mole di dati
che, su un display stava scaricando.
Tornando al mio nuovo incarico, che non avevo potuto
comunicare a Massimo, l’informativa che ci era pervenuta al Ministero parlava
di hackers che, dalla zona di Roma Nord, si insinuavano nei data base delle
multinazionali boicottando le comunicazioni limitando, in tal modo, la
possibilità del libero commercio. In particolare si erano introdotti,
interrompendoli, nei contatti tra la più grande Compagnia di Pesca alla Balena
giapponese e le sue unità navali causando l’interruzione della caccia al
cetaceo con una gravissima perdita economica. Avevo accettato l’incarico di
trovare il colpevole con qualche riserva mentale dettata dalla simpatia che
quell’anonimo disturbatore mi suscitava facendo sospendere, anche se solo
momentaneamente, un odioso sterminio che stava mettendo a rischio la
sopravvivenza del gigante dei mari.
Adesso, non volendo, avevo trovato il responsabile. “Dani,
che stai facendo?” Ripetei. “Senti, caro amico, - mi rispose – tutti, nel
nostro piccolo, dobbiamo contribuire alla salvezza del Pianeta ed alla
salvaguardia della Natura per noi e per i nostri figli. So che sei un
poliziotto. M’hai beccato. Fai quello che devi.” “A CI’I’I’I’…” Gridò Massimo
“Che vuoi fare?” Dentro il mio animo si scontrava il dovere con l’amicizia,
l’obbedienza con la coscienza civica, la limitata soddisfazione di aver portato
a termine il mio compito con la soddisfazione ben più grande di nuocere a
cinici speculatori. E, quindi, dopo un breve conflitto interiore, dissi:
“Spengi tutto. M’è calata improvvisamente la vista e non ho scorto niente su
quegli schermi. Non mi tornerà soltanto a patto che possa dare io le disposizioni
a Brigi per il pranzo.” “Fai pure” dissero, sollevati, Massimo e Daniela.
“Brigitta!” chiamai con la mia intonazione più stentorea la
collaboratrice di Massimo addetta alla cucina. “Quell’insalatina dalla a Gina, prepara
tre etti di linguine sciuè sciuè come sai fare tu e, con un bicchiere di
Vermentino, portiamoci i piatti nel patio a godere gli ultimi raggi del sole.
Partito in modo che ci si aspettava un finale con retate e sparatorie e finite in maniera altrettanto rumorosa, come soltantoil colpo di scena ben riuscito sa dare.
RispondiEliminaMi è piaciuto. Complimenti
Patricia Moll