Il mio nome è Baba Bakuzie e sono uno Gnomo. Siamo rimasti
soli, io ed il mio amico Okina Bobim, dopo che gli altri componenti del nostro
clan hanno migrato verso la Terra del Nord. L’Assemblea degli Anziani decise di
andare via quando, per due inverni di seguito, l’innalzamento della temperatura
non consentì al lago di ghiacciarsi ed alla neve di coprire le radici degli
alberi. Siccome noi, come popolo, siamo abituati al freddo, convennero tutti
che bisognava trasferirsi laddove il clima fosse stato più adatto al nostro
modo di vivere. Io e Okina rifiutammo perché eravamo stufi di spazzolarci
sempre le barbe per togliere i ghiaccioli e soffiarci in continuazione il naso afflitto
da un perenne raffreddore. Qualche grado in più non ci dispiaceva. E poi qui
abbiamo il nostro rifugio e la coltivazione di mirtilli e ribes. L’attività è
stata avviata da pochi anni e già riusciamo a raccogliere tanti frutti da fare
marmellate e succhi in quantità e, quindi, lasciare tutto ci dispiaceva troppo.
In fondo siamo giovani, io ho appena compiuto centoventisei anni ed il mio
amico centocinquantasette e abbiamo ancora tanta forza per sopportare qualche
disagio e molti anni davanti a noi per estendere le coltivazioni. Abitiamo insieme
tra le radici della Grande Quercia dove abbiamo scavato un’apertura di tre
palmi di altezza che introduce in un vasto spazio pieno di ogni comodità. Anche
se noi siamo più alti della media degli Gnomi, sfiorando entrambi i venti
centimetri, sotto le accoglienti e sicure propaggini dell’albero, viviamo felicemente
e non ci manca niente. C’è da dire anche che siamo molto curiosi. Questa è una
caratteristica comune della nostra razza, ma noi, forse, lo siamo un po’ di più
degli altri. Quando, appena fuori dal bosco un umano costruì una fattoria,
l’interesse per questa novità ci convinse ancora maggiormente a rimanere.
Infatti un nostro sogno ed un progetto del quale discutevamo spesso, era quello
di andare a vedere cosa succedesse nella abitazione di quel contadino e della sua
famiglia. Come vivono gli uomini così alti e strani? Cosa mangiano che manda,
dal camino della loro cucina, un odore tanto forte e repellente? Perché le donne
gridano sempre e i maschi vanno a lavorare sbuffando e imprecando, come se
fosse una pena, e non cantando come facciamo noi? E poi, gli uomini si tagliano
la barba. Che senso ha se poi ricresce? Le umane, come le Gnome, fanno le torte
che poi mettono a freddare sulla finestra, ma perché danno schiaffi ai loro
piccoli se cercano di prenderne un pezzetto? Insomma le domande erano tante e
più osservavamo i loro comportamenti, più quesiti ci ponevamo.
“Baba – mi disse un giorno Okina – oggi ho fatto una follia.”
“Dimmi” risposi all’amico “sono andato fino alla fattoria e mi sono avvicinato
sotto alla finestra.” “Sei pazzo?” feci io spaventato da tanto ardire. “Ho
guardato bene intorno – proseguì lui- e, non vedendo nessuno, mi sono
arrampicato sui rami dell’edera, che sale sulla parete esterna, e ho spiato attraverso
i vetri” “Uahhoo! E che hai visto?” “Una cosa incredibile. Hanno tagliato un
albero della foresta e, invece di farne legna per il camino, lo hanno piantato
in mezzo alla stanza” “Maddai? E perché avrebbero fatto una cosa simile?” “Non
lo so, ma aspetta: non è tutto.” Okina aveva ancora gli occhi sbarrati per lo
stupore come se stesse rivedendo quello che gli era apparso. “Non ci crederai –
continuò – ma ai rami dell’abete hanno appeso mele, pupazzetti e candeline
accese e, sotto le fronde, ci sono alcuni fagotti come se fossero delle offerte
fatte all’albero.”” Straaano!” dissi io ripetendo l’aggettivo più comune per
descrivere i nostri vicini.
Si stava avvicinando il solstizio d’inverno quando la notte
è la più lunga dell’anno e tutto si ferma incantato ad aspettare il sorgere del
sole che, come sempre, vincendo sulle tenebre, riporterà luce e vita. Noi
Gnomi, in questa occasione, facciamo una bellissima festa. Ci raduniamo intorno
ad un fuoco e cantiamo le vecchie canzoni bevendo grandi boccali di idromele.
Mangiamo a crepapelle i funghi ripieni con muschio e bacche, le verdure stufate
con l’aceto e le grandi torte di farina di castagne. Insomma tutto quello che è
tradizione ed anche le leccornie che troviamo nel sottobosco o che abbiamo
conservato dall’estate. Poi ci prendiamo per mano e, con la testa leggera per
effetto della bevanda alcolica, balliamo in tondo intorno alle braci fino a
crollare a terra sfiniti. Quell’anno pensare alle celebrazioni ci metteva un
po’ di tristezza per il rimpianto degli amici lontani. “Non ci badiamo. – dissi
– Facciamo lo stesso tutti i preparativi e poi balleremo e berremo insieme io e
te.”” Come vuoi” rispose Okina, ma vedevo che stava rimuginando qualcosa. I
giorni passavano, la festa si avvicinava e notavo, sempre più spesso, il mio
amico accigliato e pensoso. Alla fine sbottai: “Dimmi: che c’è? Che ti frulla
nel cervello?” “Senti Baba, sai quanto ti voglio bene, ma il pensiero di passare
la Lunga Notte soli noi due, vicino al fuoco, mi incupisce. Mi ricordo delle
altre veglie e di quanti sono andati via.” “E allora?” chiesi. “Dobbiamo fare
qualcosa di eccezionale che non ci faccia pensare al passato e che sia
veramente importante.” Capendo che Okina aveva in mente un piano, non vedevo
l’ora di conoscerlo. “Vai avanti!” lo spronai “Ebbene – se ne uscì lui
guardandomi fisso negli occhi con un’espressione eccitata ed impaurita nello
stesso tempo – quella sera, invece di stare qui, realizzeremo il nostro vecchio
progetto ed entreremo nella casa dell’uomo. Finalmente lo vedremo da vicino
insieme a tutti i suoi familiari.”” Ti sei scolato tutta l’idromele? Sei
impazzito? Vuoi che quel bestione ci trovi e ci schiacci come due noci tra le
sue manone? Gli Gnomi, fin dai tempi dei primi germogli, non hanno mai avuto
contatti con gli umani e se, qualche volta, un uomo ci ha visto è stato preso
per pazzo e deriso dai suoi simili.” “Ma noi staremo nascosti senza farci
vedere. Finalmente avremo una risposta alle tante domande che ci siamo fatti e,
magari, potremo anche scoprire qualche segreto che ci potrebbe essere utile.””
Mai!” Affermai categorico e, come spesso mi accade, immediatamente ci ripensai.
L’avventura era pericolosa al limite della pazzia, ma la curiosità è come una
febbre che, salendo, ti fa delirare e compiere gesti imprevedibili. “Va bene.”
Mi contradissi e, per non darla del tutto vinta a Okina, aggiunsi: “Però
dobbiamo preparaci bene e con prudenza.”
Passammo diverse sere programmando e discutendo finché non
arrivò la fatidica data.
Il sole era tramontato da un pezzo e noi, approfittando
delle tenebre, lasciammo il sicuro riparo degli alberi del bosco e ci
avvicinammo alla casa. Già da lontano si vedeva che tutte le luci, all’interno,
erano accese e anche all’esterno c’erano fiaccole e tralci di abete che
ornavano la facciata. Si capiva, dai rumori e dagli odori che arrivavano fino a
noi, che in cucina la donna stava preparando e cuocendo qualcosa. Ci avvicinammo,
di soppiatto, correndo da un cumulo di neve all’altro per non farci vedere. Gli
ultimi metri, prima di arrivare alla fattoria, erano i più pericolosi poiché
non offrivano ripari. Ci buttammo pancia a terra e, scivolando sul ghiaccio,
finalmente arrivammo vicino all’uscio della casa. Eravamo bagnati dalla neve,
affannati e col fiato corto sia per la fatica del percorso sia, soprattutto,
per l’ansia e la paura. La porta era chiusa e, quindi, ci addossammo al muro e,
con la massima cautela, raggiungemmo i rami dell’edera. Come già aveva fatto Okina,
scalammo il rampicante e giungemmo alla finestra. “Baba, – mi sussurrò il mio
amico – appoggiamoci all’intelaiatura e, attenti a non farci scoprire,
cerchiamo di capire che sta succedendo là dentro.” La finestra dava su una camera che doveva
essere il salotto e sala da pranzo. Vedevamo, oltre all’albero che aveva
descritto Okina, una grande tavola imbandita con piatti, bicchieri, cesti di
frutta e di pane e brocche colme di un liquido ambrato. Non c’erano persone ma,
da una porta aperta in fondo alla stanza, vedevamo passare la donna e due
bambini che la seguivano e sembravano giocare intorno a lei. “C’è l’umana con i
piccoli.” Analizzai io a favore di Okina.” Ma i maschi dove sono?” Non dovemmo
aspettare molto e, dalla scala che portava al piano di sopra, vedemmo scendere
l’uomo con un altro bambino. Attraversarono la sala e raggiunsero gli altri in
quella che doveva essere la cucina. “Adesso. E’ il momento giusto! - esclamò
Okina - Spingiamo il vetro, cerchiamo di entrare e andiamo a nasconderci da
qualche parte.” Per nostra fortuna le ante non erano del tutto serrate e,
appoggiandoci e premendo con le spalle, cercammo di aprirle a sufficienza per
farci passare. “Ohhh, issa! Spingi! Ohhh, issa! Spingi! Ohhh, issa! Spingi!” Al
terzo tentativo la finestra si aprì di colpo e noi ruzzolammo sul pavimento
all’interno della casa. Allarmatissimi per il rumore che avevamo fatto, ci
rialzammo e, con tutta furia, corremmo a nasconderci sotto al tavolo da pranzo
dove la tovaglia, che arrivava fino a terra, offriva un rifugio abbastanza
sicuro. “Mamma mia, che spavento. Ci avranno sentito?” chiesi io. In quel
momento udimmo delle voci venire dalla cucina. “Ingrid, un rumore! Deve essere
caduto qualcosa in salotto. Vado a vedere. Tieni con te Billo, Grolla e Olaf che
in cucina fa’ più caldo.” “Va bene, Gunnar. Dimmi cosa si è rotto.” Avevamo
appreso come era composta la famiglia e i nomi dei suoi componenti. Alzammo un
pochino la tovaglia e vedemmo entrare in sala il padre, Gunnar, che si guardava
attorno cercando i danni. “Non è niente, Ingrid. Era soltanto la finestra che,
forse per un colpo di vento, si è aperta sbattendo.” “Va bene – rispose la
moglie – siediti a tavola che fra poco è pronto.” Il marito si accomodò e, poco
dopo fu raggiunto dai bambini che presero il loro posto. “Okina, – dissi a voce
bassa- siamo bloccati qui. Che facciamo?” “Tranquillo. - mi rispose lui – Guardiamoci
intorno.” Aguzzammo la vista nel buio sotto la tovaglia e, quasi in
corrispondenza del centro del tavolo, per terra, vedemmo un luccichio. “Guarda:
un anello!” Okina si avvicinò al gioiello e lo raccolse. “E’ bellissimo. Con
una pietra rossa e tutto d’oro!” Non avevo mai visto un oggetto tanto bello. In
quel momento, da fuori si sentì: “patatraaaakkk!!!” Uno schianto tanto forte da
far tremare il pavimento. Gunnar e Ingrid si alzarono insieme dirigendosi verso
la porta. Anche i bambini li seguirono curiosi di vedere cosa fosse successo.
Non so che mi prese, ma non pensando e sovraeccitato per la situazione,
affascinato dal monile, afferrai l’anello e corsi fuori da sotto il tavolo
verso l’angolo più lontano del salone, dietro una tenda. Okina non se lo
aspettava, ma mi vide e, senza perdere tempo, mi seguì. “Hai visto, Gunnar?
Sotto il peso della neve ha ceduto un grosso ramo dell’albero di fronte. E’
caduto sul sentiero, ma, per fortuna, non ha rotto la recinzione.” “Va bene, Ingrid.
Domani sistemerò tutto. Adesso mangiamo. Anzi, prima di iniziare, indossa, per
favore, l’anello che ti ho regalato che mi fa piacere vedertelo al dito.” Oh
caro, certamente. Lo vado a prendere.” La donna andò verso la cucina ma, poco
dopo, tornò quasi in lacrime. “Non trovo più l’anello! Cerchiamolo
dappertutto!” Gunnar, Billo, Grolla e Olaf si alzarono e si misero a frugare in
ogni luogo con sempre maggiore frenesia. Dopo una buona mezzora il capo
famiglia esclamò con voce roboante ed alterata dall’ira: “Basta! Ecco come
tratti i miei regali! Significa che non te ne importa niente! Tutti i miei
sforzi per mettere da parte il denaro e comprare l’anello non sono stati
apprezzati. Non ti donerò più niente e per me questo Natale finisce qui! Me ne
vado a letto!” Ingrid scoppiò a piangere: “Aspetta! Non roviniamo la Festa! Non
è colpa mia, forse l’avranno rubato!” “Chi vuoi che venga da queste parti? –
disse sempre più alterato Gunnar – sei tu che non ti curi dei mei regali e di
me!” Sbattè il tovagliolo sul tavolo e si diresse verso la scala.
“Baba hai sentito? E’ successo un macello! Non hanno trovato
il gioiello che hai preso tu e adesso sono tutti tristi ed arrabbiati. Gli
abbiamo rovinato la festa.” “Ma io non volevo. – risposi – Non so neanche
perché l’ho preso. Non avevo intenzione di fare del male a nessuno!” “Beh, il
risultato è questo. Adesso che facciamo?” “Senti Okina, non possiamo lasciare
che questa famiglia viva in tristezza la notte di Natale che è così importante
per tutti. Mi dispiace molto di quello che ho fatto e, adesso, per rimediare
alla mia colpa, dovrò restituire l’anello alla donna.” “E come pensi di fare?
Non sai che quando gli uomini ci vedono pensano che noi siamo malvagi e cercano
di eliminarci? Ti ricordi dei tanti racconti che ci facevano da piccoli dove un
uomo cattivo dava la caccia agli Gnomi? Se ci scoprono, come minimo, ci
schiacciano con una zoccolo!”” Non importa – ripesi io – tu, se vuoi, resta
nascosto, ma io devo rimediare al mio malfatto.” Avevo deciso: a rischio della
mia incolumità dovevo ridare il monile ad Ingrid per farla riappacificare con
il marito. Tremavo dalla testa ai piedi. Mai nessuno Gnomo aveva preso
l’iniziativa di farsi vedere e, addirittura, parlare con un uomo. Era
pericolosissimo, ma vedere quei bambini adesso silenziosi e con gli occhi malinconici
ed anche la mamma quasi disperata, non poteva lasciarmi indifferente. “Vado!”
dissi ad Okina e raccogliendo tutto il mio coraggio, presi l’anello, uscii dal
riparo della tenda e mi avviai verso il tavolo dove ancora stavano seduti i
commensali. “AHHHHH!! Un topo!!” gridò Ingrid vedendomi. Offeso, mi venne la
tentazione di voltarmi e scappare via. Invece, alzando il più possibile la voce
per farmi sentire, mi rivolsi alla donna: “Signora! Sono un componente della
gloriosa e nobile tribù degli Gnomi del Bosco della Terra di Mezzo. La prego di
ascoltarmi. Ho trovato io il suo anello. Lo prenda e faccia pace con suo
marito.” Ingrid strabuzzò gli occhi. I bambini si strinsero fra loro con un
“Ooohhhh…” di meraviglia e la bocca spalancata dallo stupore. “Piccolo amico –
disse la donna ripresasi dello spavento – ti ringrazio per il tuo gesto che riporta
la pace nella mia famiglia.” Allungò la grande mano ed io vi deposi il gioiello
evitando il contatto con la sua pelle. “Gunnar! – chiamò la donna rivolta verso
la camera dove si era chiuso il marito – Vieni, abbiamo ritrovato l’anello!”
L’uomo scese subito e notò gli Gnomi che, vicino al tavolo, aspettavano di
ricevere quello che la sorte aveva a loro riservato. “Questi chi sono?” chiese
stupito. “Sono due gentili Gnomi che hanno ritrovato il mio anello e con ciò ti
dimostro che non l’avevo smarrito, ma mi era solamente caduto e come io ci
tenga a te, al tuo amore ed alla nostra unione.” Gunnar capì di avere esagerato
e, vedendo quel piccolo essere, tremante ma fiero, che aveva salvato il Natale
della sua famiglia e, forse, il suo matrimonio, si intenerì e con un gran
sorriso abbracciò la moglie. I bambini scoppiarono a ridere e, nuovamente,
tornò l’atmosfera della festa. Io e Okina, vedendo che nessuno faceva più caso
a noi, quatti quatti, ci avviammo verso la porta per uscire dalla casa. “Fermi!
Dove andate?” Tuonò Gunnar. Sentendolo, un brivido mi percorse dalla base del
collo alla pianta dei piedi immobilizzandomi. Mentre aspettavo che l’uomo mi
ghermisse per infliggermi chissà quale punizione, lui continuò: “Vi devo
ringraziare. Siete stati coraggiosi a mostrarvi e, per merito vostro, passeremo
serenamente questa Santa Notte. Adesso, vi prego, accettate il nostro invito e festeggiamo
insieme. Venite a spartire con noi il pasto e le buone intenzioni. Conosciamoci
e sono sicuro che le nostre diversità non saranno di ostacolo alla nostra
amicizia ma, anzi, porteranno un reciproco arricchimento.”” Si, si. Gli Gnomi
restano a cena con noi. Evviva, evviva! Che meraviglioso Natale!” gridarono in
coro i bambini.
I qui presenti Baba Bakuzie e Okina Bobim si onorano di
essere stati i primi Gnomi a vivere, insieme con gli Uomini, il Natale e ad
abbattere la barriera di diffidenza tra i nostri due popoli. Speriamo di essere
di esempio per le tante discriminazioni che ancora ci sono nell’ambito della
stessa razza umana.
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