“Il mare
d’inverno è solo un film in bianco e nero visto alla tv” Queste parole, ritmate
secondo il corrispondente motivo musicale, si ripetevano nella testa di Vittorio
mentre, con lo scooterone, percorreva la strada di Chiarone in direzione
dell’Ultima Spiaggia. Era verso l’inizio di Novembre quando le giornate si accorciano
e la stagione non sa se virare verso l’inverno o rimanere aggrappata a
nostalgie d’autunno. Nelle prime ore del pomeriggio, in sella alla moto, l’aria
era fresca, mentre nel cielo grosse nuvole si rincorrevano lasciando scappare
sprazzi di sole subito nuovamente oscurati. In realtà non aveva nessun impegno
che lo portasse verso la costa, ma Vittorio doveva pensare. Ogni volta che gli
si presentava un problema lui cercava di isolarsi dal resto del mondo e, se
questo capitava fuori stagione, la cosa ideale era sedersi sulla spiaggia
guardando verso l’orizzonte. In quel momento gli si svuotava il cervello, e nel
nulla spesso gli appariva la risposta a quanto lo stava angustiando. Quando il
mare era agitato, con cavalloni grossi, rumorosi ed aggressivi, si sentiva
piccolo, inerme ed impotente nei confronti della maestosità della natura, in
balia di forze troppo più grandi di qualunque uomo. Questo sottrarre
responsabilità al proprio destino, riconoscere come, in fondo, tutti gli sforzi
siano vani se messi a confronto di un fenomeno semplice ma terribile, gli
infondeva un senso di serena rassegnazione che aveva il potere di consolarlo di
tutti gli affanni. Anzi, più il mare mugghiava in tempesta, il vento urlava
scatenandosi in raffiche e provocando mulinelli di sabbia e qualche scroscio di
pioggia riusciva a schiaffeggiarlo, maggiormente si lasciava andare, quasi come
fosse cullato tra le braccia di una grande madre burbera ma alla fine benevola.
Arrivato in prossimità dello
stabilimento balneare, abbandonato e chiuso con assi di legno, lasciò la moto
nel parcheggio avviandosi sulla passerella di legno che portava all’arenile. Lo
spettacolo che gli si parò innanzi dopo pochi passi era degno di un Dies Irae:
mare e cielo confusi in un grigio striato di schiume e nuvolaglie biancastre,
qualche lampo spettacolare e tutt’intorno la desolazione di non vedere anima
viva. Perfetto. Era proprio quello che ci voleva per riflettere sugli ultimi
avvenimenti di casa.
Veronica era
tornata dalla scuola in lacrime come raramente prima d’allora. “Che succede?”
Kathia, vedendo la figliola con gli occhi gonfi di pianto e singhiozzante, si
allarmò subito. “Ti è successo qualcosa? Dimmi!” “No a me niente, ma il mondo è
marcio e ingiusto!” Questo tranquillizzò la madre che però continuava a non
capire il motivo della tragedia. “Si, direi che sono d’accordo. Te ne sei
accorta adesso, ma tanto, prima o poi, la vita te l’avrebbe insegnato. Cos’è
che ti ha sconvolto tanto?” La ragazza era nella fase della prima pubertà,
quando i sentimenti ed i valori hanno tutti la lettera maiuscola: Amore,
Amicizia, Sincerità e gli avverbi di tempo sono sempre superlativi: per sempre,
mai più. Ogni bugia di un’amica era un Tradimento, qualsiasi promessa mancata
dai genitori una Delusione ed ogni canzone di Laura Pausini: Mitica. Con la
maturità avrebbe scoperto il relativismo e sarebbe diventata, come tutti, un
po’ più cinica. “No, non puoi capire. (Quasi tutti i discorsi rivolti al padre
o alla madre cominciavano così.) E’ successa una cosa tremenda.” “Parla,
cercherò di sforzarmi per comprendere” Kathia non voleva prendere in giro la
figlia, ma tante volte le rispostine gliele strappava. “Allora, sai quel
ragazzo di colore che sta nella mia classe? Beh, è stato sospeso. Sospeso,
capisci? E’ l’anticamera della bocciatura, se non peggio. I genitori vogliono
ritirarlo dalla scuola e portarlo via da qui.” “Perché, che ha fatto?” “NIENTE
ha fatto! E’ solo nero di pelle, extracomunitario e povero. Queste sono le sue
colpe. Non è giusto!” “Aspetta. Va bene il colore e tutto il resto, ma per
adottare un simile provvedimento ci devono essere gravi motivi.” Veronica fece
uno sbuffo ad indicare come fosse inutile quella conversazione con chi non era
in grado di immedesimarsi nel dramma. “Adesso ti spiego. Nel cortile di scuola,
da qualche tempo, spariscono le biciclette. Sono legate con lucchetti e stanno
parcheggiate nelle ore di lezione, ma sono tante e incustodite. Lo spiazzo sta
nel retro dell’edificio ed un muro cieco è stato attrezzato con tubi di ferro
per dar modo di incastrare la ruota anteriore delle bici. Siccome quasi tutti
andiamo con quel mezzo, non ti dico che ce ne staranno centinaia, ma svariate
decine sicuramente.” Kathia interveniva con piccoli grugniti di comprensione ed
incitamento al racconto. “Ok, quindi?” “Da qualche tempo, al momento di tornare
a casa, qualcuno non ha più ritrovato il suo mezzo. Ma il fatto che ha
scatenato l’ira del preside è stato che pochi giorni fa hanno rubato anche la
sua Bianchi nera con filettini dorati che lui tanto amava e teneva come un
gioiello.” “Va bene, a quanto dici, tutto succedeva nelle ore di lezione, e
quindi il tuo compagno stava in classe. Non può essere stato lui.” “Brava
mamma! E’ esattamente quello che diciamo noi, ma il Consiglio d’Istituto
afferma che, pur non avendo prove certe, altrimenti sarebbe partita una
denuncia ai Carabinieri, sono convinti che Yussef sia coinvolto nei furti. Ai
ragazzi non vogliono dare spiegazioni dettagliate trincerandosi dietro la
motivazione della privacy e per non screditare ulteriormente il mio compagno,
ma così non vale!” “Non vale?” “No, che non vale. Non possono rovinare la vita
alla gente senza dirlo chiaramente. Ho parlato con lui a ricreazione e mi ha
confidato che il padre vuole mandarlo a lavorare. A fare il suo lavoro: il
vucumprà sulle spiagge.” Su quest’ultima affermazione Veronica non poté
trattenere un singhiozzo e riprese a versare calde lacrime buttandosi tra le
braccia della madre. “Su, su, dai. Facciamo così: diciamo a tuo padre di
parlare con il signor Alfonso, il suo amico che fa parte del Consiglio, e di
farsi spiegare il perché di quel provvedimento. In questa maniera avremo tutto
più chiaro e comprensibile.” Si vedeva che Veronica non era convinta. “Papà?
Sei sicura, mà? Quello con l’Alfonso si mettono a parlare di macchine e non
arriviamo a niente.” “Oh, bimbina, rispetto per tuo padre! Mica l’è un grullo.
Quando deve parlare di cose serie lo fa’.” “Va bene, mammina.” E sbattendo gli
occhioni umidi, con un’espressione tenerissima che di colpo l’aveva riportata a
quella bambina che in realtà era, Veronica scoccò un bacio sulla guancia della
madre. Poi corse verso camera sua dove, forse, avrebbe ripreso quel pianto che,
nella disperazione, le dava anche tanta soddisfazione.
“E’
semplice: vai dall’Alfonso e ti fai spiegare che c’hanno contro quel ragazzino.
Poi torni e riferisci. Và!” Nella maniera in cui un generale comanda un
sottoposto, così la Kathia istruì il marito con ordini precisi e perentori. A
Vittorio sarebbe venuto spontaneo un “sissignora”, magari accompagnato dallo
sbattimento dei tacchi, ma quando vedeva negli occhi della consorte il cipiglio
decisionista, capiva che non era il momento di scherzare. Era ancora indeciso
se rispondere con “obbedisco” o con “veni, vidi, vici” quando la moglie,
vedendolo titubante, lo incitò mellifluamente dolce: “Amore, c’è qualcosa che
non ti è chiaro?” Rotti gli indugi, Vittorio partorì uno stentoreo “OK!”.
Alfonso era
un giornalista che in quell’Istituto aveva due figli in due “plessi”
differenti. Scrivendo da casa in modalità “free lance”, ovvero precaria,
disponeva di molto tempo libero che, per loro disgrazia, occupava
interessandosi di ogni aspetto della vita dei ragazzi, ad iniziare dalla
scuola. Per essere ancora più addentro alle vicende scolastiche, aveva brigato
e fatto una vera e propria campagna elettorale per essere nominato a fianco dei
docenti come membro degli organi consultivi stabiliti dal Ministero della
Pubblica Istruzione. In quella posizione si sentiva un novello Mazzarino che,
con i suoi pareri, riusciva ad influire sul governo di quell’istituzione. Con
Vittorio si incontrarono per un aperitivo al bar di fonte alla Chiesa e, dopo i
doverosi commenti sull’ultima campagna acquisti della Fiorentina, finalmente
affrontarono la spinosa questione. Il colloquio si protrasse per più di un’ora.
Alfonso mise al corrente l’amico sulla vicenda di Yussef, ma non solo. Gli
disse anche tutto quello che succedeva nella scuola, e specialmente tra i
ragazzi dell’età dei loro figli, senza tacere neanche di quello che il corpo
docente supponeva accadesse pur non avendone le prove certe. Fu quest’insieme
di rivelazioni che sconvolse Vittorio spingendolo a disertare il pranzo a casa
ed a scappare verso il mare. Sperava che, come spesso era successo, avrebbe
ritrovato la necessaria calma per tornare da Kathia e condividere con lei
quanto aveva saputo. Dopo un abbondante dose di iodio carpito all’aria
salmastra ed aver ritrovato una parvenza di serenità, verso le quattro del
pomeriggio, Vittorio si presentò alla porta del negozio di parrucchiere della
moglie. “Puoi uscire un momento?” disse alla Kathia affacciandosi alla porta.
“Cosa c’è?” Rispose la donna stupita nel vedere il marito a quell’ora e con la
faccia stravolta. Sembrava un mascherone di carnevale: gli occhi allucinati, i
capelli arruffati dal vento e incollati in ciocche, sbaffi grigiastri di sale
rappreso sulla pelle di un pallore innaturale. Se non lo avesse conosciuto così
bene avrebbe pensato che si fosse fatto qualche sostanza, ma lui non era il
tipo. “Dimmi è successo qualcosa?” “No,
niente. Però vieni fuori che ci fumiamo una sigaretta.” Una sigaretta? Ma il
marito aveva smesso di fumare da più di cinque anni e spesso la rimproverava
perché lei ancora indulgeva in quel vizio. Doveva trattarsi di qualcosa di
importante. Kathia posò le forbici con le quali stava lavorando, passando le
consegne all’Antonella, e raggiunse l’uomo già seduto sulla panchina antistante
la sua bottega. “Ho parlato con Alfonso.” “Ebbene?” “Poi ti dirò del ragazzino
e delle biciclette, ma sai che mi ha raccontato sulla scuola?” “Parla!” “Sembra
che nei bagni del piano dove sta la classe di Veronica, abbiano trovato residui
di spinelli! Non solo, mi ha detto che hanno distribuito tra gli studenti
dell’età di nostra figlia un questionario, al quale si poteva rispondere
anonimamente, per conoscerne le abitudini ed i problemi. Per fartela breve,
pare che sia risultato che i primi approcci sessuali le ragazze li abbiano già
intorno ai dodici anni e che il rapporto vero e proprio avvenga in media
all’età di quindici anni.” “Vai avanti.” “Come: vai avanti?” Vittorio era quasi
scioccato nel constatare come la moglie non fosse sconvolta quanto lui. “Non
capisci? Pare che i compagni di Veronica, intendo i suoi coetanei, si droghino
e facciano sesso! Alla loro età! Con mia figlia! La mia bambina! Non ci posso
credere. Quel disgraziato dell’Alfonso mi deve aver detto una marea di cazzate.
Bisogna fare qualcosa! Andare dal
Preside, da Provveditore, dal Ministro o dal Papa, non lo so, ma dobbiamo prendere
provvedimenti.” La Kathia non aveva mai visto il marito in quello stato. Si
rese conto che Vittorio aveva improvvisamente realizzato come la figlia non fosse
più una bambina, che stava affrontando la vita nella stessa maniera di tutti
gli altri ragazzi della sua età, e che forse si era trovata anche in situazioni
per lui inimmaginabili. “Stai calmo, per me non è una novità.” “Pure…” “Vedi, è
normale che una figlia si confidi più facilmente con la made che con il padre.
Veronica mi aveva informato del questionario ed anche dei risultati che,
peraltro, erano stati discussi in un’assemblea tenuta a scuola. Il sesso e la
droga sono argomenti comuni tra gli adolescenti. L’importante è che i ragazzi
sappiano che non li devono affrontare come un gioco, che gli stupefacenti sono
un veleno pericoloso e che le prime esperienze possono essere bellissime o
traumatizzanti a seconda di come vengono vissute.” Vittorio avrebbe voluto non
essersi alzato quella mattina e che tutto quel giorno potesse essere cancellato
come un file venuto male in una play list di preoccupazioni. “Allora…” provò a
dire balbettando senza sapere neanche lui cosa volesse esprimere. “Allora –
riprese la Kathia – te ne devi fare una ragione. La bambina sta crescendo e sta
a noi, come genitori, starle vicino non nascondendo le brutture del mondo, ma
dandole gli strumenti per difendersi. Stai tranquillo: lei è una ragazza con la
testa sulle spalle.” Kathia accompagnò queste parole con una carezza
sull’ispida guancia di Vittorio, intenerita nel vedere quell’uomo tanto
spaventato e preoccupato. “Adesso veniamo all’altra parte della tua
conversazione con Alfonso.” Proseguì la parrucchiera per sviare la
conversazione e far tornare un po’ di serenità. “Si, certo, i furti.” Vittorio
si prese qualche secondo per riordinare le idee dopo quella tempesta. “Dicevo:
i furti. Ecco, in poche parole, hanno sospeso Yussef perché il Preside, un
giorno che il ragazzo si presentò in ritardo alle lezioni, lo trattenne nel suo
ufficio. E’ abitudine del dirigente chiedere agli scolari in punizione di
vuotare le tasche per vedere se hanno qualcosa di proibito. Spesso ha ottenuto
risultati soddisfacenti sequestrando sigarette “strane”, coltelli o altra roba
vietata. Quando Yussef mise sulla scrivania i suoi averi, insieme ad altra
paccottiglia, il Preside riconobbe il lucchetto della sua Bianchi. Pare fosse,
come la bici, un modello antico, bello ma facilissimo da aprire, assolutamente
originale e non confondibile con quelli moderni. C’era anche un foglietto
pubblicitario con la réclame di un rivenditore di biciclette nuove, usate e
pezzi di ricambio. I due elementi combinati convinsero il dirigente che il
ragazzo fosse coinvolto nel traffico illecito, e quindi decise il provvedimento
disciplinare.” “Beh, non aveva tutti i torti. – disse la Kathia – Certo non c’è
la prova che lo studente abbia rubato, ma che ne sia in qualche modo implicato,
mi sembra evidente. Mi piacerebbe parlare con lui e sentire le sue ragioni.” Così,
ognuno con i suoi pensieri, i coniugi si presero per mano e si avviarono
insieme verso la Panda 4X4 che li aspettava per riportarli a casa.
Yussef sentiva
tutto il peso del mondo gravare sulle sue gracili spalle di tredicenne. Aveva
la strana sensazione da una parte di essere messo ai margini della società e,
dall’altra, di venire tenuto sotto osservazione come un virus che potesse
diffondersi infettando gli organismi sani. Non si sentiva mai al posto giusto.
Da alcuni professori veniva interrogato troppo spesso come per vedere se si
impegnasse veramente, da altri era quasi ignorato con un senso di
sopportazione. Lui avrebbe voluto essere trattato come Rosselli o Manzotti o
chiunque altro perché era un ragazzo come loro, ma forse avrebbe potuto essere
così solo se tutti quelli intorno a lui fossero stati ciechi. Anche i compagni
di classe, a parte qualche bullo che aveva convinto usando le mani, non gli
erano ostili, ma neanche amici. Non era entrato in confidenza con nessuno e si
guadava bene da far capire che gli sarebbe piaciuto moltissimo ricevere un
invito per andare al cinema insieme o a prendere un gelato. Lo abbracciavano
solo quando segnava un gol da centravanti della squadra di calcio, ma si
rendeva conto che erano slanci di entusiasmo, non certo d’affetto. Adesso ci
mancava pure questo guaio delle bicilette. Si era fidato di qualcuno perché,
come ad un gatto randagio al quale si porge una ciotola di latte, lo aveva avvicinato
offrendogli quello che lui cercava: considerazione e amicizia. Ma, per la sua
ingenuità, lo avevano incastrato addossandogli colpe che non aveva. Ancora una
volta, forse, perché era comodo indicare il diverso come la mela marcia. Yussef
si sarebbe potuto discolpare facilmente, ma questo avrebbe significato tradire
il suo unico amico. Non l’avrebbe fatto mai.
“Vengo
vicino a te, devo ragionare a voce alta.” Disse la Kathia sedendosi sul divano
accanto al marito che stava guardando la televisione. “Ti disturbo?” “Stai
scherzando? Sto vedendo Fiorentina – Spartak Praga per i quarti di finale di
Coppa UEFA. Parla pure quanto vuoi.” La moglie non colse il leggero velo di
disperazione insito in quelle parole e, con gli occhi rivolti al soffitto,
incominciò ad elucubrare. “Riepilogando la dinamica dei furti delle biciclette,
possiamo escludere come colpevole Yussef perché era sempre presente in classe.
Però, anche se il luogo è incustodito, è difficile possa essere stato qualche
ladro occasionale. Da mesi spariscono un paio di bici a settimana, con
regolarità, senza che mai nessuno abbia mai notato movimenti strani intorno al
parcheggio. Improbabile che un ladruncolo sia tanto fortunato da non incrociare
mai testimoni. E poi che senso ha questo stillicidio di pochi pezzi a volta? Se
un malvivente avesse voluto impossessarsi delle bici, forse sarebbe stato più
comodo e meno rischioso fare un bel colpo, magari caricandone una quantità su
un camion, tutto in una volta. Non credi?” “Eh? Si, si eh come no? Azz…e passa
quella palla!” “Mi stai ascoltando?” “Attentamente!” “Bene, e quindi diciamo
che, probabilmente, il colpevole deve essere interno alla scuola. Se così
fosse, conoscerebbe i momenti in cui le classi sono al lavoro e gli insegnanti
impegnati, quando c’è l’uscita o se qualcuno si deve assentare andandosi a riprendere
la sua bici. Il tipo, tenendo tutto sotto controllo, potrebbe regolarsi ed
agire con tranquillità. Inoltre il fatto stesso che rubi poco e spesso denota
una frequentazione ed una conoscenza approfondita del luogo. Giusto?” Vittorio
capì che un’altra volta si richiedeva il suo intervento e ribatté prontamente:
“Giusto!” anche se che cosa fosse giusto gli sfuggiva del tutto. “Vedi che mi
dai ragione anche tu? – riprese la Kathia- E allora andiamo per esclusione. Gli
alunni non sono stati, i professori li eliminiamo, non rimane che il personale
non docente. A questo punto dobbiamo chiamare Viglietti.” “Chi? Ah, sì: il
maresciallo. Chiamalo pure, ma non ti sembra un po’ tardi?” “La giustizia non
ha orari!” La donna prese il cellulare nel quale aveva memorizzato il numero
del militare ed inviò la chiamata. Il carabiniere, riconoscendo il mittente,
rispose prontamente. “Ciao Viglietti, - incominciò la Kathia – ti devo vedere
subito…..Non fare lo stupido, per lavoro…..Non da te, da me…..Si c’è…..No, non
posso…..Ma che ti sei messo in testa?......Insomma, vuoi venire o no?......Ti
aspetto.” Dopo poco il maresciallo arrivò a casa della parrucchiera e venne
messo al corrente della teoria di Kathia e pregato di svolgere delle indagini.
Se ne andò assicurando l’interessamento dell’Arma, ma un po’ deluso dalla
freddezza di quella “ciaccona sfruculiosa”, come aveva soprannominato l’amica
parlandone con gli amici.
Le indagini
durarono poco. Il maresciallo, che al di là della maschia esuberanza, conosceva
bene il suo mestiere, non ebbe difficoltà ad individuare nel bidello della
scuola l’autore dei furti che fu prontamente arrestato. Yussef aveva trovato in
lui un amico con il quale parlare durante le ore di ricreazione e che lo stava
a sentire quando aveva la necessità di sfogarsi con qualcuno. Nel tempo il loro
legame era diventato stretto e, solo per simpatia, il bidello aveva regalato
quel maledetto lucchetto al ragazzo come augurio per l’acquisto di una
bicicletta tutta sua. A questo proposito gli aveva dato anche il foglietto con
l’indirizzo di una negozio dove gli avrebbero fatto uno sconto. Certamente se
lo potevano permettere perché erano quelli ai quali il bidello portava le bici
rubate che rivendevano a prezzi stracciati o smontavano per i pezzi di ricambio.
Yussef fu
riammesso a scuola e scagionato da ogni sospetto. Anzi, agli occhi dei
compagni, divenne quasi un eroe. Si era opposto al “Potere” non tradendo un
amico. Divenne un fulgido esempio di lealtà e coraggio e, da quel momento, i
ragazzi lo vollero tra le loro cerchie e le femmine lo guardarono con occhi
diversi. La sua vita cambiò. Tutto questo, diciamolo, per merito della Kathia.
Quando tornò
a casa, sul letto, la Kathia trovò un bacio Perugina ed cartoncino rosa così
concepito: “Mamma, sei grande! T.V.T.B, tua figlia Veronica.” Sì, perché il
padre non aveva fatto niente? Vittorio, letto il biglietto, non se ne ebbe a
male, anche se si sentiva un po’ trascurato. Così è la vita, prese la Gazzetta
dello Sport, inforcò lo scooterone e si diresse verso il mare.
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