Lettere e cartoline si ammucchiavano su ogni tavolo del grande
capannone sperduto in una lontana valle nelle vicinanze del Circolo Polare
Artico. Il variopinto e disordinato paesaggio di monti e colline formato dalle
missive provenienti da ogni parte del mondo avrebbe scoraggiato chiunque dal
provare a leggerne anche soltanto una parte, ma il piccolo, vecchio
Pottaskefill si districava in quell’immensità di carte pescando sicuro un
messaggio dietro l’altro come sapesse già cosa avrebbe letto. Le richieste
erano le più disparate e variavano di anno in anno, anche se i giochi preferiti
rimanevano le costruzioni di mattoncini per i maschietti e le bambole per le
femminucce, magari un po’ cambiati per adeguarsi ai tempi. Per il resto dalla A
di automobilina, fino alla Z di zainetto, nella fornitura per il 24 dicembre si
trovava rappresentata pressoché ogni categoria merceologica.
Babbo Natale si fidava ciecamente del suo collaboratore al
quale aveva delegato tutta la parte burocratica del lavoro, riservando per sé
il ruolo di “front man” che interpretava con molto entusiasmo ed un pizzico di
inconfessato esibizionismo. L’elfo non poteva chiedere di meglio e, più
coscienzioso del più pignolo dei ragionieri, organizzava tutto per bene fino
all’ultimo atto del caricamento sulla slitta. Da lì in poi stava al principale
andare in giro e consegnare la merce in un tripudio di “Oh, oh, oh!!” e
scampanellii vari che il solerte Pottaskefill riteneva un po’ troppo appariscenti,
al limite del cafone. Ma si sa, Santa Claus, come lo chiamavano negli USA, era
stato per molti anni testimonial pubblicitario di una nota bevanda e gli era
rimasto qualche atteggiamento americaneggiante che, alle latitudini del Polo
Nord, molti trovavano eccessivo. Comunque, come in qualsiasi grande azienda,
ognuno svolgeva il proprio compito e tutto filava liscio. Nel regolamento
interno del laboratorio era scritto chiaramente che per qualsiasi problema
bisognava riferire in ordine gerarchico e pertanto, quando capitò un intoppo,
l’elfo, agitando nervosamente le orecchie a punta, si presentò al cospetto del CEO.
-Capo. – Disse Pottaskefill. – Abbiamo un problema.
-Dimmi, caro. - Rispose con voce baritonale il placido pancione
sollevando gli occhi da un catalogo di slitte ultimo modello sul quale stava
facendo un pensierino. Era tentato di dare indietro la sua di legno in cambio
di un’altra in fibra di carbonio con al tiro un paio di cavalli mustang dalle
froge sbuffanti. Troppo figo! In realtà sapeva benissimo che si trattava
solamente di un sogno. Non avrebbe mai potuto rinunciare a Rudolph ed alle
altre renne alle quali era affezionatissimo.
-E’ arrivata una lettera da un certo…Edo, di sette anni, che
non chiede nessun regalo. – Proseguì il folletto.
-E allora, per quale motivo ci ha scritto?
-Ecco, lui dice che quest’anno non vuole Playmobil o Lego,
ma gli piacerebbe: ics, ipsilon, zeta.
-Ehh?
L’elfo si tirò gli occhiali sulla punta del naso guardando
Babbo Natale da sotto in su. –Esattamente: non si decifra. Chiede qualcosa, ma
non capisco cosa. – Il vecchio si dette una grattatina alla barba bianca.
-Dammi qua. – Prese il foglio e l’avvicinò al viso.
Nonostante l’età, il vegliardo non voleva ammettere un’incipiente presbiopia e
cominciò a manovrare stendendo e ritraendo il braccio per mettere a fuoco la
missiva. Dopo un po’ si arrese, inforcò gli occhiali e studiò gli scarabocchi.
-Non afferro neanche io, ma comunque, con tutta evidenza, si
tratta di un desiderio. Non possiamo ignorarlo.
-Ok. – Ribatté l’aiutante preoccupato. - Ma che facciamo,
cosa gli spediamo?
-Uhm, non so. Credo che ci sia bisogno di un
approfondimento.
Era l’unica cosa da fare: qualcuno sarebbe dovuto andare a
Roma, dove abitava il bambino, ed indagare. Babbo Natale aveva girato tutto il
mondo per lavoro, ma sempre di gran corsa e durante la notte e quindi non
poteva certamente affermare di conoscere bene i posti in cui si era fermato. Di
slancio prese la sua decisione:
-Vado io a trovare il piccolo e mi farò dire quello che
vuole. – Sfruttando l’occasione voleva concedersi un piccolo lusso che pensava
di meritarsi: si sarebbe ritagliato una vacanza di qualche giorno per visitare
finalmente la Città Eterna. Gli avevano raccontato che era una delle città più
belle del mondo, ricca d’arte, di storia e con gli abitanti dalla battuta
pronta e pieni di spirito. Voleva togliersi la curiosità.
Risolse facilmente il problema di come incontrare il bambino
per chiedergli spiegazioni. Prese il posto di un suo sosia in un centro
commerciale ed aspettò che Edo si avvicinasse a lui durante una giornata di
shopping con i genitori. Quando lo vide gli fece un cenno con la mano guantata
di bianco, poi lo prese sulle ginocchia e, sottovoce, l’interrogò in merito
alle sue aspettative per la magica notte. Babbo Natale si chiarì le idee, segnò
la richiesta su un taccuino con la copertina rossa e oro, fece una carezza al
bambino e, tra lo stupore dei presenti, si alzò dal trono avviandosi verso
l’uscita. Prima d’imboccare la porta si fermò nel camerino di uno dei negozi,
si tolse velocemente il vestito rosso ed indossò un anonimo giubbotto per non
farsi riconoscere. Quindi, finalmente, iniziò la vacanza. Emozionato come da
tempo non gli succedeva, si avventurò pieno di entusiasmo e curiosità per le
strade ed i vicoli di Roma.
Dopo qualche giorno tornò a Rovaniemi, casa sua.
-Allora com’è andata? Cosa ne pensi della capitale? – Domandò
Pottaskefill al capo porgendogli una tazza fumante con un infuso di bacche e
licheni. Il vecchio sembrava stanco. Sprofondato nella sua poltrona, appariva pensieroso,
quasi triste.
-Ti dirò, caro, tante cose mi hanno meravigliato. La fauna,
ad esempio. Io pensavo che i gabbiani vivessero solamente nei pressi del mare,
invece ne ho visti tanti appollaiati su grandi scatoloni verdi stracolmi di
sacchetti maleodoranti. Poi cinghiali che attraversano la strada, pappagalli
esotici sugli alberi, topi, cani e gatti randagi, insomma una giungla
incontrollata.
-Davvero?
-Già, ma non è finita. Per le strade sembra di passeggiare sulla
Luna: tutti a schivare crateri più o meno grandi col rischio di inciampare e
farsi male. Per non parlare del traffico automobilistico. Strade intasate da
fiumi di lamiera, clacson e smog, parcheggi abusivi ovunque ed, ogni tanto, un
autobus che prende fuoco. Le belle ville comunali e i viali alberati vengono
lasciati senza manutenzione e sono pieni di rifiuti, rami caduti o pericolanti
e segni di vandalismo ovunque. Ai semafori, ma un po’ dappertutto, un esercito
di vagabondi e senza dimora che cercano di rimediare qualche soldo combattendo
una guerra tra poveri per accaparrarsi il posto migliore per l’accattonaggio.
Zingari che pescano nei cassonetti e poi si rifugiano in baraccopoli da terzo
mondo dove non esiste legalità o decenza. Nei caffè si parla solo di come si
vive male in città e di quanto ogni cosa sembra andare verso un degrado
ineluttabile, senza speranza.
L’elfo era stupito e lo incalzò:
-Allora mi sembra che la Città Eterna non sia poi così bella,
giusto?
-Non volevo dire questo. Anzi, è esattamente il contrario,
ma è difficile definire la bellezza e la maestosità di Roma. Non saprei
descriverti quello che si prova passeggiando per il centro storico o nei
quartieri costruiti quando ancora il cemento era al servizio delle persone, e
non il contrario. Ti stupisci per ogni marmo scolpito, guardando una delle
piccole edicole con l’immagine di una Madonna dipinta, fermandoti sotto ad una
fronda di platano che fa da cornice al Tevere. Quando un raggio di sole
colpisce la palla del cupolone sembra che dalla sommità della chiesa più grande
del mondo partano dardi dorati per colpire il cuore dei turisti. Di sera un
vento leggero, il ponentino, asciuga la fronte spazzando via la fatica di chi
finalmente si riposa per finire nelle orecchie degli innamorati sussurrando
sospiri d’amore. Le tante monetine gettate nella vasca della Fontana di Trevi
testimoniano come ogni visitatore perdoni qualsiasi peccato alla Città Eterna
sicuro di non dimenticarla. In piedi vicino ad un tavolino di Trastevere, un
posteggiatore, fra ‘na fojetta e n’antra, intona uno stornello strappando un
sorriso e una lacrima mentre Ninetta bella scivola nel fiume boiaccia.
Insomma, ho avuto l’impressione che Roma ed i romani non si
meritino la situazione che stanno vivendo, ed è proprio per questo che sono
avvilito.
-E allora?
Babbo Natale ci pensò un po’ e poi rispose al suo aiutante.
-Io porto doni non faccio miracoli, però forse mi potrei far
sentire. – Prese carta e penna e scrisse: “Caro Sindaco di Roma, …”
Il buon vecchio aspettò a lungo, ma dal Campidoglio non
arrivò mai la risposta. Si consolò considerando che “ab urbe condita” erano
trascorsi millenni e che tante amministrazioni si erano succedute, ma Roma
aveva vinto sempre contro chi cercava di umiliarla o semplicemente non era in
grado di capirla.
Prese una di quelle bolle di vetro con dentro l’acqua e un
monumento in miniatura, la rovesciò e su San Pietro cadde la neve.
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