sabato 30 maggio 2020

Uno scherzo


-Quando ne saremo fuori, ti staccherò le orecchie a morsi.
-Chi? Tu a me? Sarò io a farti pentire di essere nato!
Lo scambio di gentilezze avveniva tra due uomini seduti su una specie di terrazzino aggettante nel vuoto, un masso incastrato di traverso nel mezzo di un muro di roccia a strapiombo sul nulla. Sopra di loro una parete pressoché liscia sulla quale era impossibile arrampicarsi e sotto un volo di un centinaio di metri. Per capire il motivo per il quale erano finiti in quella situazione bisogna risalire ad una cinquantina d’anni addietro. Era dalla generazione precedente che le loro famiglie si facevano la guerra disputandosi un appezzamento di terreno al confine tra le rispettive proprietà. Si trattava di un paio d’ettari di campi brulli ed orridi improvvisi senza alcun reale valore. Però, per qualche imponderabile motivo, il barone De Ceglie, padre di uno dei due litiganti, era deciso ad acquisirne il possesso con la stessa determinata e pervicace volontà con la quale il marchese Castrovillari, padre dell’altro, era risoluto a non vendere. La disputa andò avanti per qualche anno finché, improvvisamente, il marchese non cedette firmando dal Notaio del paese un passaggio di proprietà accompagnato da minacce e maledizioni. Fra i compaesani si disse che il repentino cambiamento di idea era stato provocato dal ricatto del barone che era venuto in possesso di alcune foto nelle quali…ma qui si scivola nel pettegolezzo. Il Castrovillari ingoiò l’umiliazione, ma dette inizio ad una faida fatta di vandalismi notturni, caccia di frodo e ripicche che traevano spunto da qualsiasi pretesto anche banale. Non fosse mai detto che un De Ceglie subisse delle angherie! E pertanto il barone rendeva ogni volta la pariglia con altrettante azioni ostili, anzi si divertiva a provocare l’ira dell’altro. I due vecchi biliosi morirono ed il testimone della disfida passò ai primogeniti altrettanto boriosi e fumantini dei propri avi.
Quella notte di prima estate il De Ceglie era convinto che il rivale avrebbe fatto un’incursione nella terra di sua proprietà per recuperare della selvaggina intrappolata nel campo proibito. Il mezzadro del barone aveva infatti trovato delle tagliole con resti di animali dove non avrebbero dovuto essercene e, naturalmente, il colpevole doveva essere per forza il Castrovillari o qualche suo scagnozzo. La sera era fresca, la luna si levava alta nel cielo sereno e la campagna appariva come una distesa d’erba argentata che il vento piegava come le onde di un mare agitato. Di buon passo il barone s’incamminò verso la Collina del Diavolo, un montarozzo alto una sessantina di metri con un lato a precipizio su di una gola profonda. Un sentiero s’inerpicava di costa al rilievo fino alla sommità dove il barone intendeva spaziare con lo sguardo per individuare il maledetto intruso. Arrivò sul cucuzzolo, prese un binocolo notturno e cominciò a scrutare attentamente tutt’intorno. Si sentivano solo i rumori della notte ed ogni cosa invitava alla serenità, ma non per l’animo esacerbato del nobiluomo. Improvvisamente, vicino a lui, sentì un movimento di fogliame. Si voltò di scatto e si trovò di fronte il rivale che lo fissava con un ghigno ferino.    
-T’ho beccato, finalmente! – Esclamò il De Ceglie sollevando la doppietta che teneva distesa lungo il fianco. A quel gesto, per impedirgli di usare il fucile, il Castrovillari si gettò addosso all’altro tempestandolo di pugni e urlando come un ossesso. Il barone, furibondo, abbrancò il nemico tirando manate, colpi di testa e calci a casaccio. Sembravano due animali rabbiosi. Caddero a terra abbracciati ed ansimanti continuando la lotta con una furia cieca, come se ne andasse della loro stessa vita. Rotolarono da una parte all’altra del piccolo spiazzo finché non si trovarono sul ciglio del burrone, ma non se ne avvidero. Uno strattone più violento provocò una piccola slavina ed i due corpi avvinghiati scivolarono giù per i pendio. Allora si resero conto di quanto stava succedendo e con tutte le forze cercano di aggrapparsi alla parete, ma gli appigli franavano con loro e niente sembrava poter frenare la caduta fatale. Precipitarono per una ventina di metri e poi fu come se una mano angelica li acchiappasse per la collottola. Il ruzzolone s’interruppe di colpo e i due uomini finirono bocconi su uno strapuntino di roccia messo lì per miracolo. Ed è in questa situazione che li ritroviamo. 
-E’ colpa tua se rischiamo di morire!
-Non ti dimostrare più vile di quello che sei e ringrazia la buona sorte. I miei sanno che sarei capitato da queste parti e, non vedendomi, verranno a cercarmi. Non ti preoccupare, dobbiamo solo aspettare. – Il De Ceglie sembrava abbastanza calmo, ma lo spavento era stato tanto anche per lui.
-Sai, - disse il marchese – vedendoti così da vicino mi accorgo adesso di quanto sei invecchiato.
-Caro mio, - gli rispose l’altro – abbiamo la stessa età e possiamo dire di essere diventati vecchi insieme. Anzi, adesso che ti guardo in faccia, mi viene quasi da ridere.
-Perché mai?
-Penso che per tanto tempo abbiamo combattuto, fino al limite di giocarci la vita, per un motivo del quale in fondo non importa quasi niente a nessuno. Non è forse così?
- Hai assolutamente ragione. Abbiamo perso anni ed energie odiandoci mentre avremmo potuto campare in santa pace e molto più sereni. Ti dirò di più: per quanto mi riguarda la nostra disputa finisce qui. Tieniti pure la terra, ho capito che non vale la pena dannarsi per orgoglio. – Il barone allungò la mano e strinse quella che il nuovo amico gli porgeva.
-Da oggi in poi saremo dei buoni vicini. Questo spavento ci ha insegnato a dare importanza alle cose rilevanti ed a passare oltre alle stupide vanità di un’esistenza sempre precaria. – Il marchese assentì con le lacrime agli occhi e avrebbe abbracciato il compagno se solo lo spazio esiguo gliel’avesse permesso. Finalmente la pace era tornata tra le due casate ed il futuro sarebbe stato sicuramente migliore.
D’un tratto si udì uno schiocco e poi una cascatella di pietrisco. Il piccolo terrazzino sul quale erano seduti gli uomini cominciò a traballare. Un altro rumore di pietra spezzata e il masso si sgretolò facendo precipitare i due in fondo al dirupo in un fragore di urla e di valanga.
I paesani li ritrovarono morti e misero sul posto una lapide nella quale si commemorano i due rivali sfortunati. Però nessuno va mai a porre un fiore sotto quella targa perché, quando ci si avvicina, dalle viscere della Collina del Diavolo si ode scaturire un suono cupo che assomiglia tanto ad una risata.



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