-Quando ne
saremo fuori, ti staccherò le orecchie a morsi.
-Chi? Tu a
me? Sarò io a farti pentire di essere nato!
Lo scambio
di gentilezze avveniva tra due uomini seduti su una specie di terrazzino
aggettante nel vuoto, un masso incastrato di traverso nel mezzo di un muro di
roccia a strapiombo sul nulla. Sopra di loro una parete pressoché liscia sulla
quale era impossibile arrampicarsi e sotto un volo di un centinaio di metri.
Per capire il motivo per il quale erano finiti in quella situazione bisogna
risalire ad una cinquantina d’anni addietro. Era dalla generazione precedente che
le loro famiglie si facevano la guerra disputandosi un appezzamento di terreno
al confine tra le rispettive proprietà. Si trattava di un paio d’ettari di
campi brulli ed orridi improvvisi senza alcun reale valore. Però, per qualche
imponderabile motivo, il barone De Ceglie, padre di uno dei due litiganti, era
deciso ad acquisirne il possesso con la stessa determinata e pervicace volontà
con la quale il marchese Castrovillari, padre dell’altro, era risoluto a non
vendere. La disputa andò avanti per qualche anno finché, improvvisamente, il
marchese non cedette firmando dal Notaio del paese un passaggio di proprietà
accompagnato da minacce e maledizioni. Fra i compaesani si disse che il
repentino cambiamento di idea era stato provocato dal ricatto del barone che
era venuto in possesso di alcune foto nelle quali…ma qui si scivola nel
pettegolezzo. Il Castrovillari ingoiò l’umiliazione, ma dette inizio ad una faida
fatta di vandalismi notturni, caccia di frodo e ripicche che traevano spunto da
qualsiasi pretesto anche banale. Non fosse mai detto che un De Ceglie subisse
delle angherie! E pertanto il barone rendeva ogni volta la pariglia con
altrettante azioni ostili, anzi si divertiva a provocare l’ira dell’altro. I
due vecchi biliosi morirono ed il testimone della disfida passò ai primogeniti
altrettanto boriosi e fumantini dei propri avi.
Quella notte
di prima estate il De Ceglie era convinto che il rivale avrebbe fatto
un’incursione nella terra di sua proprietà per recuperare della selvaggina intrappolata
nel campo proibito. Il mezzadro del barone aveva infatti trovato delle tagliole
con resti di animali dove non avrebbero dovuto essercene e, naturalmente, il colpevole
doveva essere per forza il Castrovillari o qualche suo scagnozzo. La sera era
fresca, la luna si levava alta nel cielo sereno e la campagna appariva come una
distesa d’erba argentata che il vento piegava come le onde di un mare agitato.
Di buon passo il barone s’incamminò verso la Collina del Diavolo, un montarozzo
alto una sessantina di metri con un lato a precipizio su di una gola profonda.
Un sentiero s’inerpicava di costa al rilievo fino alla sommità dove il barone intendeva
spaziare con lo sguardo per individuare il maledetto intruso. Arrivò sul
cucuzzolo, prese un binocolo notturno e cominciò a scrutare attentamente
tutt’intorno. Si sentivano solo i rumori della notte ed ogni cosa invitava alla
serenità, ma non per l’animo esacerbato del nobiluomo. Improvvisamente, vicino
a lui, sentì un movimento di fogliame. Si voltò di scatto e si trovò di fronte
il rivale che lo fissava con un ghigno ferino.
-T’ho
beccato, finalmente! – Esclamò il De Ceglie sollevando la doppietta che teneva distesa
lungo il fianco. A quel gesto, per impedirgli di usare il fucile, il
Castrovillari si gettò addosso all’altro tempestandolo di pugni e urlando come
un ossesso. Il barone, furibondo, abbrancò il nemico tirando manate, colpi di
testa e calci a casaccio. Sembravano due animali rabbiosi. Caddero a terra
abbracciati ed ansimanti continuando la lotta con una furia cieca, come se ne
andasse della loro stessa vita. Rotolarono da una parte all’altra del piccolo
spiazzo finché non si trovarono sul ciglio del burrone, ma non se ne avvidero.
Uno strattone più violento provocò una piccola slavina ed i due corpi
avvinghiati scivolarono giù per i pendio. Allora si resero conto di quanto
stava succedendo e con tutte le forze cercano di aggrapparsi alla parete, ma gli
appigli franavano con loro e niente sembrava poter frenare la caduta fatale. Precipitarono
per una ventina di metri e poi fu come se una mano angelica li acchiappasse per
la collottola. Il ruzzolone s’interruppe di colpo e i due uomini finirono
bocconi su uno strapuntino di roccia messo lì per miracolo. Ed è in questa
situazione che li ritroviamo.
-E’ colpa
tua se rischiamo di morire!
-Non ti
dimostrare più vile di quello che sei e ringrazia la buona sorte. I miei sanno
che sarei capitato da queste parti e, non vedendomi, verranno a cercarmi. Non
ti preoccupare, dobbiamo solo aspettare. – Il De Ceglie sembrava abbastanza
calmo, ma lo spavento era stato tanto anche per lui.
-Sai, -
disse il marchese – vedendoti così da vicino mi accorgo adesso di quanto sei
invecchiato.
-Caro mio, -
gli rispose l’altro – abbiamo la stessa età e possiamo dire di essere diventati
vecchi insieme. Anzi, adesso che ti guardo in faccia, mi viene quasi da ridere.
-Perché mai?
-Penso che
per tanto tempo abbiamo combattuto, fino al limite di giocarci la vita, per un
motivo del quale in fondo non importa quasi niente a nessuno. Non è forse così?
- Hai
assolutamente ragione. Abbiamo perso anni ed energie odiandoci mentre avremmo
potuto campare in santa pace e molto più sereni. Ti dirò di più: per quanto mi
riguarda la nostra disputa finisce qui. Tieniti pure la terra, ho capito che non
vale la pena dannarsi per orgoglio. – Il barone allungò la mano e strinse
quella che il nuovo amico gli porgeva.
-Da oggi in
poi saremo dei buoni vicini. Questo spavento ci ha insegnato a dare importanza
alle cose rilevanti ed a passare oltre alle stupide vanità di un’esistenza
sempre precaria. – Il marchese assentì con le lacrime agli occhi e avrebbe
abbracciato il compagno se solo lo spazio esiguo gliel’avesse permesso.
Finalmente la pace era tornata tra le due casate ed il futuro sarebbe stato
sicuramente migliore.
D’un tratto
si udì uno schiocco e poi una cascatella di pietrisco. Il piccolo terrazzino
sul quale erano seduti gli uomini cominciò a traballare. Un altro rumore di
pietra spezzata e il masso si sgretolò facendo precipitare i due in fondo al
dirupo in un fragore di urla e di valanga.
I paesani li
ritrovarono morti e misero sul posto una lapide nella quale si commemorano i due
rivali sfortunati. Però nessuno va mai a porre un fiore sotto quella targa perché,
quando ci si avvicina, dalle viscere della Collina del Diavolo si ode scaturire
un suono cupo che assomiglia tanto ad una risata.
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