Il rumore rimbalzava tra le pareti di lamiera come nel ventre
di un enorme tamburo lanciato a cento chilometri all’ora verso una meta indefinita.
Il vento penetrava da mille spifferi tra le porte scorrevoli e nel soffitto di
quel carro fatto per trasportare bestiame e non di certo esseri umani. Avvolto
da una coperta di mille colori, in un angolo era rannicchiato qualcuno che
stava scappando. Poteva essere un uomo con i lunghi ed incolti capelli di un
vagabondo, oppure una donna che ormai aveva perso la sua femminilità,
certamente era un’anima persa in una corsa che era divenuta la sua padrona. Il
mondo sfilava sui fianchi del treno mescolando paesaggi e città in una striata
melma che niente lasciava distinguere se non la solitudine. Non importa da cosa
fuggisse, solo il Signore era stato suo compagno nelle cento, poi le duecento,
poi le trecento, poi le quattrocento ed ora le cinquecento miglia che ormai
separavano quel vagabondo da casa sua. Un giorno aveva detto: “Vado via.” e la
strada l’aveva chiamato affascinandolo con la prospettiva di mille occasioni e
di grandi libertà. Poi quella stessa infida amica l’aveva fatto inciampare in
incontri sbagliati, in illusori miraggi ed in tante piccole e grandi buche che
avevano sfiancato i suoi sogni al punto di spengere anche la speranza. Fino a
che non si ritrovò, forse per l’ultima volta, prima di perdersi
definitivamente. In quel momento udì un fischio in lontananza ed a quello si
aggrappò saltando sul vagone buio di luce che, tra scintille e rombi, tagliava
la pianura ferendo la natura con la violenza del suo passaggio. Lo mordeva la
fame e la disperazione mentre, col capo chino, non trovava più neanche una
lacrima a consolare un muto pianto. L’ultima sua amica, ormai inutile e vuota
di spirito come lui, era rotolata in un angolo unendo il sordo tintinnio del
suo vetro con lo sferragliare delle rotaie. “Perché?” si chiedeva per
l’ennesima volta e “Se solo…” si rispondeva ancora, per dividere con il destino
la colpa che sentiva solo sua. La gioventù l’aveva lasciata tra le braccia di
tante sirene con le quali aveva cantato noncurante degli avvertimenti, la
maturità non aveva mai saputo cosa fosse per finire poi sull’ultimo tratto
della vita senza nessun giaciglio che potesse accogliere la sua stanchezza. Ma
il treno non sentiva il peso di tanta pena ed ancora, miglia su miglia,
proseguì la sua corsa incurante, come le stelle.
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