lunedì 21 dicembre 2015

Il gatto del Cheshire.

Ah, quanto l’amava! Se l’amore fosse stato granaglie, ne avrebbe riempito cento silos; se fosse stato buon vino, mille barriques; se fosse stato sabbia, tutto l’arenile che va da Ladispoli a Santa Marinella. Ma era anche un amore disperato. Non perché non fosse ricambiato, forse con qualche silos, botticella e spiaggetta in meno, ma comunque era corrisposto, bensì perché non aveva futuro. Rodrigo era il giovane uomo in preda all’infatuazione mentre l’oggetto di tanto ardore si chiamava Margherita e mai nome fu così azzeccato per indicare una ragazza che poteva competere in bellezza ed armonia con il più innocente dei fiori. Lui era un tipo di gradevole presenza e tante speranze che, per il momento, non si erano ancora concretizzate in un conto in banca adeguato. Alla bella età di ventott’anni, dopo aver tentato mille strade, aveva deciso di investire il suo fisico prestante e l’innata curiosità in un lavoro adeguato ed, insieme con un amico, aveva aperto un’agenzia investigativa che si fregiava dell’inquietante insegna de: “L’Occhio che Scruta – Dove voi non riuscite a vedere, arriviamo noi.” Diciamo che tale occhio, al momento, veniva esercitato soprattutto per avvistare eventuali clienti, ma il giovanotto era convinto delle sue capacità e non disperava che, qualora fosse capitata una moglie gelosa o un padre in pena, avrebbe potuto accontentarli scoprendo, a pagamento, ogni recondito altarino. Ma Rodrigo non era tanto preoccupato per l’esito della sua start up. Si sa: i soldi vanno e vengono, anche se hanno più la tendenza a scappare che a correrti in braccio, e tutti i ricchi hanno sempre detto che il denaro non fa la felicità, sebbene loro abbiano la riprovevole abitudine di tenerselo stretto. Il suo cuore, insieme agli altri organi vitali, stava soffrendo, oh come soffriva, per l’impossibilità di coronare il suo sogno d’amore con colei che, ai suoi occhi, era la più bella, brava ed intelligente creatura che mai fosse nata su questa Terra. Lei sarebbe anche stata disposta e disponibile ma, tra le tante sue innumerevoli virtù, annoverava un fermo ed irresoluto rispetto per le tradizioni che le impediva di accettare pretendenti senza l’imprimatur paterno. Margherita era la figlia unica e prediletta della “Pasticceria Moriconi”, ovvero del signor Spartaco Moriconi self made man, se mai uno ce n’è. Questo splendido esempio di successo imprenditoriale, in gioventù aveva sfogato la propria aggressività nella nobile arte del pugilato e poi aveva applicato la sua grinta tra torte dolci e pizzette facendo fruttare gli spuntini come fossero pozzi di petrolio. In tal modo aveva costruito una fortuna solida e concreta fatta di tanti mattoni a formare edifici, così come i bignè panna/cioccolato si combinano nei classici profitterol sciorinati sul bancone del suo negozio. Il suo carattere possessivo si estendeva, oltre che alle cose materiali, anche agli affetti, con scatti di gelosia incontrollabili quando anche un solo sguardo aveva l’ardire di posarsi sul piccolo ed indifeso fiore nato dal suo matrimonio con la sora Pina. Rodrigo era stato presentato dalla fidanzata al padre, ma accompagnato da un ruggito degno di Simba nella sua migliore performance, era stato rimandato al mittente come oggetto indesiderato e non degno di attenzione. Il giovane non si era scoraggiato, o forse solo un tantinello, e si era ripromesso di farsi ancora avanti, magari armato della seggiola e del frustino di ordinanza nei circhi. Potrebbe essere una ripetizione affermare ancora che il suo cuore piangeva, ma ci serve tale assunto per giustificare la disperazione che spinse il ragazzo verso un passo tanto coraggioso che perfino Sandokan, Giovanni Soldini o Reinhold Messner avrebbero considerato avventato, se solo ne fossero stati a conoscenza. Rodrigo era convinto di doversi ripresentare al cospetto dell’orco-padre, sperando che, come nel cuore del sergente O’Hara dei film western, nel profondo dell’animo del sig./cav./dott. Moriconi, fosse nascosta una scintilla di pietà ancora non soffocata dalla ruvida scorza che l’imprenditore mostrava al mondo. Immaginava che, dopo un abbondante razione di Scotch o altro etilico e corroborante balsamo, avrebbe bussato alla porta dell’ufficio sopra al laboratorio della pasticceria e, una volta fatto entrare (anche se questo non era per niente dato per certo), avrebbe esordito: “Ebbene, ecco! < Come incipit, non c’è male: secco e deciso.> Voi, caro il mio pasticcere, non potete tarpare le ali di Margherita. Lei ama me ed io amo lei, insomma ci amiamo. E così stanno le cose. <Frasi brevi ed incisive, a dimostrazione di una ferrea volontà e di una forza indomita: bene.> Se anche non foste d’accordo, io sono deciso a farne la mia sposa e voi, in breve tempo, diventerete nonno di tanti bei pasticcini, no volevo dire: nipotini. Sia che ciò vi aggradi oppure no…per favore, per piacere, cortesemente, per pietà. <Rovinato l’effetto con la sbragata finale, ma non diciamoglielo.> “Cara, - telefonò Rodrigo alla sua amata – quando pensi che potrò andare a disturbare papino? Consigliami un giorno nel quale non ci siano pagamenti in azienda, la crema non sia impazzita e la panna sia stata montata a neve come neanche a Courmayeur, insomma quando il tuo sanguigno ascendente possa essere di umore meno tetro del solito.” “Uccellino, - rispose lei che in tal modo l’appellava anche in pubblico – sai bene che babbino non è cattivo. Deve solo combattere con la sua ulcera che gli fa sembrare il mondo ostile, ma in fondo, in fondo (in fondo, in fondo, in fondo) è “un succhero”, come dice lui. Abbi fede, fiducia e speranza e presentati al suo cospetto anche domani, tanto che vuoi che possa mai succedere?  Al massimo dopo andrai a fare compagnia al mio precedente fidanzato nel centro riabilitazione grandi traumatolesi di Frascati. Mi dicono che servono un vinello con delle ciambelline niente male.” Così come Lancillotto quando ebbe il via libera da Ginevra partì in sella al suo bianco destriero impavido e resoluto, anche il nostro eroe prese lo scooterone e si diresse a sfidare il drago. Anche se, in realtà, quel giorno non si sentiva al massimo della forma. Infatti alla mattina si era alzato con un forte torcicollo dovuto ad una botta d’aria presa la sera prima tornando a casa con la moto. Non solo, il fastidio si era propagato ai muscoli facciali provocando una sorta di contrattura degli ingranaggi nei pressi della bocca ed adesso Rodrigo si presentava con uno strano ed involontario sorriso stampato in faccia che, nonostante tutti gli sforzi, non riusciva a cancellare. Lui era consapevole di quel ghigno che gli conferiva un’aria tra il sardonico ed il losco, ma il dado era ormai tratto ed il Rubicone aspettava solo di essere guadato. Giunto che fu laddove si sarebbe compiuto il suo destino, con spirito simile all’anima di un defunto al cospetto di San Pietro quando deve giudicare se inviare la nuova venuta a rosolarsi negli eterni calderoni od a zampettare nei prati tra pecorelle ed apine, si fece annunciare da una segretaria precocemente invecchiata a causa dei quotidiani strali del suo titolare. “Attenda!” fu la risposta tuonata dall’interfono, e così fece Rodrigo rimpiangendo di non essere nella sala s’aspetto del dentista dove la prospettiva del prossimo incontro sarebbe stata sicuramente meno dolorosa dell’attuale. In signor Spartaco, chiuso nel suo ufficio, stava proprio in quel momento rimettendo ordine tra le carte della contabilità “in nero” che teneva nascosta in uno scomparto della scrivania noto a lui solo. Gli era sembrato sempre altamente immorale che le mani estranee del Fisco si protendessero avide a carpire parte dei suoi sudati averi e, pertanto, fin dagli albori della attività aveva tenuto una rigorosa partita doppia non divisa tra “dare” ed “avere”, ma tra “ufficiale” e “ufficioso” e si era trovato sempre molto bene. Anche se lo stress di tanto segreto gli aveva fatto venire l’ulcera e la coscienza gli rimordeva sempre un po’. Quel giorno poi aveva appeno deciso che la fattura per una fornitura del valore corrispondente ad una cifra con un numero consolante di zeri non dovesse vedere la luce ed era particolarmente nervoso avendo contezza del rischio che stava correndo nei confronti del rapace Erario. Ci mancava solo quell’invertebrato cerebroleso del sedicente fidanzato di sua figlia a rompergli, diciamo, le scatole. A Moriconi non andava bene niente del pretendente, a cominciare dal lavoro di ficcanaso che si era scelto denotando un’indole impicciona e furtiva. Però un padre è disposto ad ogni sacrificio per la luce dei suoi occhi ed, anche come penitenza quotidiana, lasciò entrare il ragazzo al proprio cospetto. L’imprenditore stava ancora chino su un foglio siglando le ultime disposizioni per il laboratorio quando si aprì la porta, ed al rumore degli esitanti passi in avvicinamento alla sua scrivania, lentamente alzò gli occhi. Non si aspettava nient’altro che vedere l’illuso e così fu, ma il vigile ed allenato occhio dell’uomo d’affari si rese immediatamente conto di una spaventevole novità. Il pitocco sembrava trasformato: fisicamente era simile a sempre, ma sul volto gli compariva un’espressione nuova. Sembrava che lo stesse guardando con un sorriso strano, ambiguo, come a fargli intendere che lui aveva un arma puntata pronta a sparare. Improvvisamente Moriconi ricordò il lavoro di investigatore del giovane, e la sua pronta mente matematica non ebbe difficoltà a fare 2 + 2 con la sua attività clandestina. Ebbe la subitanea certezza che il “private eye” de noantri avesse, nell’ambito di qualche indagine svolta per il suo lavoro, trovato qualche documento o prova che si riferisse alle piccole manchevolezze contabili della sua amministrazione. Altrimenti non si sarebbe spiegata l’imprevista ed inaspettata spavalderia nell’espressione del ragazzo che tanto ricordava il muso di Felix, l’amato soriano domestico, quando si metteva acquattato all’imbocco della tana di qualche povero topino colpevole solo di non volersi far divorare dalle tasse. A Rodrigo, guardando il volto dell’ipotetico suocero, parve di essere spettatore di quel meraviglioso ed affascinante fenomeno che la natura mette in scena quando, dopo una burrasca, il cielo si apre, le nuvole scompaiono e torna a risplendere un benevolo sole. Così l’espressione del sig. Spartaco virò dal corrusco al giubilante nel giro di pochi secondi e brevi, interiori, considerazioni. “Vieni, amico caro, vieni. Accomodati sulla poltrona più comoda del mio ufficio. Tu qui non trovi l’imprenditore, ma un padre che ora ha una sola figlia, ma che spera di legare anche te con i vincoli della parentela. Naturalmente basta che togli quel sorrisino dalla faccia.” Il giovane non capiva la svolta a 180 gradi dell’interlocutore ma, adeguandosi alla richiesta, si fece un breve massaggio maxillo-facciale per sciogliere l’incordatura riacquistando un’espressione normale. “Cosa vuole dire, dottore? Che mi consente di frequentare sua figlia?” “Ah, ah, ah, ma che dottore e dottore, chiamami papà e corri a chiudere il tuo ufficio di investigazioni. Sono certo che, chiariti uno o due punti, saremo come la panna con la granita di caffè: assolutamente compatibili.” Accadde quindi un piccolo, inaspettato, miracolo del quale i due giovani non furono in grado di darsi mai una spiegazione razionale, ma che spianò loro la strada per mettere su una meravigliosa e dolce famiglia composta da un babà padre, una meringa madre e una serie di biscottini assortiti come figli.           

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