<Rano!
Rano! Rano!> Il soprannome lo aveva perseguitato per tutte le prime classi
delle elementari, poi lui si irrobustì, distribuì qualche pugno ben assestato ai
più spiritosi e fu lasciato in pace. O meglio, continuarono a chiamarlo “Rano”,
ma con simpatia e rispetto, per non farlo arrabbiare. Era un ragazzo dotato di
un fisico prestante e di un’intelligenza vivace. Entrava facilmente in
simpatia, anche per le sue battute pronte che non risparmiavano nessuno tra i
compagni ed i professori, ma gli occhi un po’ sporgenti e la bocca larga lo
facevano somigliare ad un batrace, per il divertimento di chi l’incontrava.
Divertimento che durava poco, spento da una battuta salace e, ove non bastasse,
dalla minaccia di passare alle vie di fatto. Andava bene a scuola e,
specialmente nelle materie letterarie, era sempre tra i primi. Il professore lo
chiamava spesso vicino alla cattedra per declamare qualche poesia ed, in quei
momenti, sembrava che il Rano si trasfigurasse, tanto si immedesimava nei versi
che stava leggendo. Era così ispirato da riuscire, in qualche maniera, ad affascinare
anche i compagni che rimanevano in silenzio ad ascoltarlo, con grande gioia
dell’insegnante. La sua generosità nel passare sottobanco le versioni di latino
e nel suggerire sempre quando gli occhi imploranti di qualche disperato sotto
interrogazione lo fissavano come l’ultima speranza, gli avevano dato una
popolarità che spesso si confondeva con l’affetto. E poi, sapeva ascoltare. A
ricreazione i compagni maschi spesso dicevano a lui quello che non avrebbero
detto a nessun altro e se avevano qualche problema, o volevano soltanto
sfogarsi, erano sicuri di trovare una spalla sempre disponibile ed un vero
amico. Le femmine, se possibile, erano ancora più assillanti. Gli riconoscevano
una sincerità ed una lealtà rara tra i coetanei dell’altro sesso, e gli
confidavano “tutto” aspettando un consiglio che, venendo da un maschio, erano
certe non sarebbe stato influenzato da gelosie o invidie.
Ma era
brutto.
Le ragazze,
dopo averlo ascoltato, e magari ringraziato con un bacetto sulla guancia, si
allontanavano da lui per correre appresso ai bellocci della scuola, lasciandolo
solo e spesso malinconico. Al Rano mancava l’amore. Il suo cuore traboccava di
quel sentimento che sentiva così forte e disperato, ma se non provava mai
alcuna paura nell’affrontare qualunque prova la sua giovane vita gli sottoponesse,
non si sentiva in grado di proporsi a nessuna ragazza, tanto era certo di
venire rifiutato. Era conscio del suo aspetto ed era sicuro di rendere ridicola
qualsiasi parola dolce dovesse uscire dalla sua larga bocca e che uno sguardo
languido si sarebbe rivelato patetico riflesso nei sui occhi a palla.
In
particolare c’era lei: Rossana. Erano compagni dalle elementari, e lui l’amava
da allora. Può sembrare esagerato parlare d’amore per un bambino o poi per un
ragazzino e quindi per un giovane uomo, ma i sentimenti non hanno età e sono
tutti importanti ed intensi per chi li vive. Si erano conosciuti con il
grembiulino ed il Rano aveva sentito subito che se lei gli avesse chiesto la
merenda, o qualsiasi altra cosa, lui sarebbe stato pronto a sacrificarsi. Di Rossana
gli piacevano le prime trecce e dopo la frangetta, le fossette sulle guance e
come correva appresso alla palla. Piangeva con lei quando la rimproveravano e
gioiva per lei quando gli raccontava qualche storia bella. Erano da sempre
amici e lui, avendo il timore di perderla se si fosse spinto troppo in là, era stato
costantemente attento a rendersi disponibile, ma con un certo distacco per
mascherare la bufera che la vicinanza della ragazza gli scatenava dentro ogni
volta che s’incontravano.
Un giorno
Rossana gli si avvicinò dopo la scuola, nel tragitto per andare a casa.
Sembrava imbarazzata, ansiosa, preoccupata per qualcosa che gli doveva dire, ma
che forse non aveva il coraggio di affrontare.
-Senti Cì, è
da tanto che ci penso. Noi ci conosciamo da sempre e, tu lo sai, io ho sempre
tenuta cara la tua amicizia. Anzi, in tutto questo tempo credo che tra noi sia
nato qualcosa che è più grande di una semplice amicizia. Vero?
-Certamente.
– Rispose lui. – Tu sai che io per te farei qualsiasi cosa.
Mentre
pronunciava queste parole, il cuore del ragazzo faceva le capriole come
impazzito. Forse lei si era finalmente accorta del suo sentimento e lo
ricambiava. Forse, dopo tanto tempo, la sua pazienza veniva premiata. Forse la
forza dell’amore si era sprigionata da lui e aveva travolto le difese della
ragazza. Forse lei aveva riconosciuto tutti i piccoli e grandi segnali che Rano
le aveva lanciato per farle capire quanto fosse importante per lui. Forse il
Dio dell’amore ricompensava in quel momento tutte le pene che aveva sofferto.
Forse anche per lui era venuto il tempo delle rose e del miele. Oh, Gesù,
forse, forse, forse.
-Lo so, Cì.
Anch’io, ed è per questo che ti volevo parlare. Sai Cì, ultimamente mi sta
succedendo qualcosa che non mi aspettavo. E’ come se mi sentissi pronta a
sbocciare. Fatti conto un fiore che ha vissuto per mesi sotto la neve e che con
i primi caldi apre la corolla per ricevere i raggi del sole. Quello di cui
parliamo sempre tra amiche, sta succedendo anche a me: provo una sensazione
nuova.
-Ti capisco.
– Disse Rano, ancora prudente, ma eccitato come non mai.
-Ecco Cì,
vedi, non so come dirlo.
-Dimmelo, o
non dirmelo, non importa. Lascia che il sentimento fluisca dalle tue labbra e
tutte le parole del mondo non avranno più significato di fronte allo splendore
di una scheggia d’emozione.
-Vedi Cì,
forse l’avrai già capito: sono innamorata.
“Oh, vita
meravigliosa! Che il mondo si fermi e s’inchini al miracolo! Io sono pronto ed
ho il cuore tra le mani pronto ad offrirlo a lei: Rossana. Oh, Rossana!” Così
pensava il Rano, mentre lei faceva una breve pausa per poi riprendere il
discorso.
-Sì Cì, finalmente
ho trovato l’amore, e tu, intelligente come sei, l’avrai senz’altro già capito.
-Forse,
cara. Ma, ti prego, parla. – Lui ormai era sicuro che la ragazza avrebbe
pronunciato il suo nome legandosi con una promessa. Sentiva che la sua amata
finalmente l’avrebbe ricambiato.
-Ecco Cì, tu
sei il mio più caro amico e te lo devo dire: mi sono innamorata di Cristiano. –
Il sole si spense ed il tempo, per il giovane, si fermò. Gli calò un velo sugli
occhi e la sua anima si ripiegò affranta in fondo, in fondo, sotto lo spesso strato
della delusione. Il Rano si era sbagliato, aveva equivocato, non era lui
l’oggetto del desiderio di Rossana. Ma d’altronde cosa si aspettava? Era
brutto, lo era sempre stato e lo sarebbe stato per sempre. Rossana era bella ed
era naturale che s’innamorasse di uno bello come Cristiano. Pazzo! Pazzo e
ridicolo a sperare qualcosa d’impossibile. Il suo ruolo era quello dell’amico e
si sarebbe dovuto accontentare.
-Ah, bene. E
quindi? – Disse lui con la voce strozzata, sperando che la ragazza non
s’accorgesse di niente.
-Ti volevo
chiedere un favore. – Disse lei. – Cristiano non si decide a dichiararsi, sai
che non è uno di molte parole. Vedi Cì, dovresti andare da lui e dirgli che
anche se è timido e non vuole parlarmi, almeno mi mandasse un sms o una mail
con delle parole carine e poi…da cosa nasce cosa. Non credi, Cì, che così si
potrebbe sbloccare la situazione? – Le parole di lei gli arrivarono come dal
fondo di una galleria, ovattate e rimbombanti, ma ne colse il senso.
-Certo Rossana,
andrò da Cristiano e glielo dirò.
-Grazie, Cì.
Sapevo di poter contare su di te. – Certo, tutti potevano contare su di lui, ma
i suoi conti non tornavano mai ed a nessuno importava.
Questo Cristiano
era un bellimbusto dalla risata facile e dagli scherzi grevi. Era il capitano
della squadra di pallacanestro della scuola e non c’era domenica in cui si
giocava una partita, che un manipolo di ragazzette non occupasse le gradinate
dei Palazzetti per incitarlo con il loro tifo adorante. Il “pavone” ovviamente
faceva la ruota collezionando amorazzi tanto numerosi quanto fugaci. Il Rano
non capiva come una ragazza intelligente e sensibile come la sua Rossana,
potesse aver perso la testa per un simile stolido manzo. Ma tant’era, ed avendo
preso con lei un preciso impegno, fece in modo di trovare un momento nel quale
Cristiano fosse solo per potergli parlare.
-Ciao bello!
-Oh Rano,
che vuoi?
-Ho
un’ambasciata per te.
-Un’ambasciata?
Che vuol dire?
-Vabbè, ti
devo dì ‘na cosa.
-Cosa?
-C’è una che
ti batte i pezzi e vorrebbe che ti facessi avanti.
-Ancoraaa?
Dille di mettersi in fila, alla pischella.
-No,
ascolta. Lei è una tipa speciale. Che ti costa? Mandale un messaggio o una mail
dicendo che l’hai notata e vorresti uscire con lei. Poi vedrai tu come
comportarti. – Cristiano ci pensò un po’ su, ma poi la vanità vinse la pigrizia
e disse:
-Uhmmm,
d’accordo. Posso mandare un sms con scritto: “Vediamoci.” – Al Rano ribolliva il
sangue: quel cerebroleso non era degno dell’attenzione di Rossana, e lei, se
era vero che si era innamorata, non meritava di essere trattata come una delle
tante. Ancora una volta decise di sacrificarsi per far felice la sua amata.
-Senti
Cristiano, se le scrivi così, certamente non la colpisci. Lei è una ragazza
romantica e vuole sentire parole che significhino qualcosa. Devi sforzarti un
po’ di più.
-Ahò, non mi
va’. E poi io non so scrivere, non sono capace.
-Non ti
preoccupare, - disse il Rano – per questo ti posso aiutare. Ti preparo il testo
di qualche mail che copierai sulla tua casella di posta per poi mandarle a Rossana,
così lei ti apprezzerà e tu la conquisterai definitivamente. D’accordo?
-Se lo dici
tu…
Per il Rano
era un compito facilissimo. Nelle mail riversò tutto il suo sentimento e la sua
sensibilità. S’immedesimò nell’oggetto dell’amore di Rossana e, con le parole,
la prese per mano facendola volare per i cieli dell’immaginazione dove
s’incontrano i destini degli amanti. Lui scrisse, e Cristiano firmò, quelle
missive elettroniche che vennero ricevute dalla ragazza come la prova che
l’amore puro e totalizzante del quale aveva letto nei romanzi rosa esisteva
veramente e che lei ne era finalmente la protagonista.
Andò avanti
per qualche tempo, finché i due giovani non si dettero un appuntamento. Il Rano
ne era al corrente ed il giorno dopo andò da Cristiano per sapere come fosse
andata.
-Male. –
Disse il ragazzo. – Ci siamo visti, Rossana ha cominciato a parlare ripetendomi
le frasi delle mail, io mi sono sentito in imbarazzo perché non sapevo cosa
dire e l’ho piantata lì. Me ne sono andato inventando una scusa.
-Non è
possibile! – Rispose l’altro. – Non la puoi trattare così. Adesso vado a casa ed,
a nome tuo, le scrivo subito un’altra mail per metterci una pezza. - Il Rano
era quasi offeso per interposta persona ed immaginava la delusione di Rossana.
Il suo amore per lei era tanto grande che soffriva nel pensarla amareggiata e
voleva almeno far uscire di scena Cristiano nella maniera più dignitosa.
Si precipitò
al suo computer e, dopo aver impostato l’indirizzo della ragazza, cominciò a
scrivere inventando una storia che, in qualche modo, potesse giustificare la
fuga di Cristiano. Come al solito l’avrebbe firmata col nome dell’amico sperando
così che lei non ci rimanesse troppo male. Era assorto nella creazione quando sentì
bussare alla porta della sua stanza.
-Tu? Cosa ci
fai qui? – Il Rano rimase stupefatto nel vedere Rossana che era andata a
trovarlo. Per la sorpresa alzò le dita dalla tastiera del pc senza pensare di
spengerlo.
-Cì, non sai
cosa è successo. Ero all’appuntamento con Cristiano quando… - In quel momento
Rossana notò il monitor del computer sul quale spiccava la mail indirizzata a
lei, e capì.
-Tu, sei
stato tu, Cì? Le hai scritte tutte tu quelle bellissime mail firmate da
quell’altro? Ma perché l’hai fatto?
-Non
capisci, Rossana? Per me è stato come parlarti per la prima volta a cuore
aperto. Ho potuto dirti che ti amavo senza la paura di essere ridicolo e senza crearti
l’imbarazzo di dovermi rifiutare.
-Cì, Rano,
ma io la tua dichiarazione l’aspettavo da tanto tempo. Anche la tresca con
Cristiano l’avevo montata per ingelosirti e darti coraggio. Finalmente ci sono
riuscita.
Cirano e
Rossana, contrariamente ai loro omonimi letterari, cominciarono la loro storia suggellando
il patto d’amore con un bacio che, come si sa, altro non è che una chiocciola
rosa tra le parole “amo@te.”
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