sabato 10 marzo 2018

Peter Camenzind ②




Peter Camenzind aveva viaggiato molto durante gli anni della sua formazione. Aveva studiato prima a Dresda e poi a Lipsia sfiancando la sua salute sui libri per passare dalle materie del “trivium”, grammatica, retorica e filosofia, a quelle del “quadrivium”, più prettamente scientifiche, tra cui la geometria, l’astronomia e la musica. Tanta fatica era stata premiata ed adesso, a ventinove anni, finalmente aveva conquistato una cattedra che gli assicurava prestigio e sicurezza economica. Ma appena gli impegni glielo consentivano tornava sempre al paese natio, ed ogni volta non mancava di fare lunghe passeggiate sullo stesso sentiero della sua infanzia. La natura d’intorno non cambiava mai, se non col trascorrere delle stagioni, e questa immutabilità era fonte di serenità e pace. Era come un punto fermo nel caos del mondo flagellato, in quei primi anni del novecento, da venti di rivoluzione e di guerra tanto violenti ed incontrollabili quanto sanguinosi e pieni d’incognite.  Anche in quel giorno di fine estate Peter percorreva di buona lena lo sterrato mentre, con lo stecco di bambù dal pomo d’argento, scostava piccoli ciottoli dal suo cammino e, con l’altra mano sprofondata in tasca, faceva risuonare qualche pfennig di rame. Seguendo gli insegnamenti del buddha, di cui era diventato recente discepolo, cercava di fare il vuoto nella mente per librarsi in una saggia meditazione ma, quasi fosse un riflesso involontario, gli rimbombava in testa quel: zumpa, zumpa, zumpa,pà, che l’accompagnava da bambino, facendolo sentire felice e stupido. Il fine settembre nella foresta era come la festa di fine corso delle matricole quando stanno per lasciare una vita spensierata per affrontare il mondo, un passaggio necessario ma spaventoso che si deve esorcizzare con l’allegria. Le foglie allora si tingono dei colori più belli e gli arbusti più sfrontati si ammantano di un rosso acceso, come le meretrici che indossano quel colore per attirare gli sguardi prima che il tempo avvizzisca la loro bellezza. Era un tripudio presago dell’inverno e per questo allegro e triste nel contempo.  
All'improvviso il suo incedere solitario fu distratto da un canto melodioso proveniente da dietro la curva innanzi a lui. Peter riconobbe le parole di una vecchia canzone che i contadini cantavano nelle aie durante le notti d’estate, e si rallegrò nell’udire quella voce conosciuta e cara. Dopo poco, vide venirgli incontro Maria, con lo stesso passo ed i biondi capelli della bambina di tanti anni prima. Non indossava più il vestito a fiorellini, ma era diventata una giovane signora che in grembo portava il bambino concepito dal loro amore.
-Peter! – Lo chiamò agitando una mano. – Sempre da solo e con la testa tra le nuvole. – L’uomo accettò il bonario rimprovero come da lei accettava quasi tutto perché porto con il cuore.
-Eccomi! Quindi mi hai inseguito fino a qui? Non si può stare senza gente intorno neanche mezza giornata. Cosa vuoi? – Il sorriso negli occhi di Peter smentiva le parole uscite dalla bocca e Maria non si offese per il tono brusco della voce.
-In realtà, niente. Mi ero stancata di aspettarti in casa e sapevo dove trovarti. Non credere che sia facile portare appresso questo pancione con dentro un piccolo Camenzind che scalcia e si agita come il padre.
-Non dovresti affaticarti nelle tue condizioni. – Maria assentì, ma in quel momento il viso le si contrasse in una smorfia e la donna si piegò in avanti con le mani premute sul ventre.
-Cosa c’è? – La domanda era un grido di paura.
-Non so, una fitta. – Il bel viso di Maria si era fatto pallido e madido di piccole stille di sudore. In quel momento, da lontano, dietro le montagne, un rombo di tuono rotolò nella valle ed una folata di vento gelido si infilò violenta ed inaspettata sollevando mulinelli di polvere e foglie morte. Nel cielo arrivarono al galoppo nuvole nere e basse, mentre la luce calava come un sipario sulla rappresentazione di una commedia ormai alla fine.
Peter prese sottobraccio la moglie e la sostenne sulla strada del ritorno verso casa. Molte volte ancora, nel corso della vita, si sarebbero aiutati a vicenda incuranti della tormenta.


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