Peter
Camenzind aveva viaggiato molto durante gli anni della sua formazione. Aveva
studiato prima a Dresda e poi a Lipsia sfiancando la sua salute sui libri per
passare dalle materie del “trivium”, grammatica, retorica e filosofia, a quelle
del “quadrivium”, più prettamente scientifiche, tra cui la geometria,
l’astronomia e la musica. Tanta fatica era stata premiata ed adesso, a
ventinove anni, finalmente aveva conquistato una cattedra che gli assicurava
prestigio e sicurezza economica. Ma appena gli impegni glielo consentivano tornava
sempre al paese natio, ed ogni volta non mancava di fare lunghe passeggiate
sullo stesso sentiero della sua infanzia. La natura d’intorno non cambiava mai,
se non col trascorrere delle stagioni, e questa immutabilità era fonte di
serenità e pace. Era come un punto fermo nel caos del mondo flagellato, in quei
primi anni del novecento, da venti di rivoluzione e di guerra tanto violenti ed
incontrollabili quanto sanguinosi e pieni d’incognite. Anche in quel giorno di fine estate Peter percorreva
di buona lena lo sterrato mentre, con lo stecco di bambù dal pomo d’argento,
scostava piccoli ciottoli dal suo cammino e, con l’altra mano sprofondata in
tasca, faceva risuonare qualche pfennig di rame. Seguendo gli insegnamenti del
buddha, di cui era diventato recente discepolo, cercava di fare il vuoto nella
mente per librarsi in una saggia meditazione ma, quasi fosse un riflesso
involontario, gli rimbombava in testa quel: zumpa, zumpa, zumpa,pà, che
l’accompagnava da bambino, facendolo sentire felice e stupido. Il fine
settembre nella foresta era come la festa di fine corso delle matricole quando
stanno per lasciare una vita spensierata per affrontare il mondo, un passaggio
necessario ma spaventoso che si deve esorcizzare con l’allegria. Le foglie
allora si tingono dei colori più belli e gli arbusti più sfrontati si ammantano
di un rosso acceso, come le meretrici che indossano quel colore per attirare
gli sguardi prima che il tempo avvizzisca la loro bellezza. Era un tripudio
presago dell’inverno e per questo allegro e triste nel contempo.
All'improvviso
il suo incedere solitario fu distratto da un canto melodioso proveniente da
dietro la curva innanzi a lui. Peter riconobbe le parole di una vecchia canzone
che i contadini cantavano nelle aie durante le notti d’estate, e si rallegrò
nell’udire quella voce conosciuta e cara. Dopo poco, vide venirgli incontro
Maria, con lo stesso passo ed i biondi capelli della bambina di tanti anni
prima. Non indossava più il vestito a fiorellini, ma era diventata una giovane
signora che in grembo portava il bambino concepito dal loro amore.
-Peter! – Lo
chiamò agitando una mano. – Sempre da solo e con la testa tra le nuvole. –
L’uomo accettò il bonario rimprovero come da lei accettava quasi tutto perché
porto con il cuore.
-Eccomi!
Quindi mi hai inseguito fino a qui? Non si può stare senza gente intorno
neanche mezza giornata. Cosa vuoi? – Il sorriso negli occhi di Peter smentiva
le parole uscite dalla bocca e Maria non si offese per il tono brusco della
voce.
-In realtà,
niente. Mi ero stancata di aspettarti in casa e sapevo dove trovarti. Non
credere che sia facile portare appresso questo pancione con dentro un piccolo
Camenzind che scalcia e si agita come il padre.
-Non
dovresti affaticarti nelle tue condizioni. – Maria assentì, ma in quel momento
il viso le si contrasse in una smorfia e la donna si piegò in avanti con le
mani premute sul ventre.
-Cosa c’è? –
La domanda era un grido di paura.
-Non so, una
fitta. – Il bel viso di Maria si era fatto pallido e madido di piccole stille
di sudore. In quel momento, da lontano, dietro le montagne, un rombo di tuono
rotolò nella valle ed una folata di vento gelido si infilò violenta ed
inaspettata sollevando mulinelli di polvere e foglie morte. Nel cielo
arrivarono al galoppo nuvole nere e basse, mentre la luce calava come un
sipario sulla rappresentazione di una commedia ormai alla fine.
Peter prese
sottobraccio la moglie e la sostenne sulla strada del ritorno verso casa. Molte
volte ancora, nel corso della vita, si sarebbero aiutati a vicenda incuranti
della tormenta.
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