E finalmente
l’inverno. Peter Camenzind era stanco, le ossa gli dolevano ed ogni passo
portato avanti su quel sentiero voleva dire una piccola vittoria della volontà
sugli acciacchi degli anni. Quanti ne aveva? Più o meno ottanta, e li ricordava
tutti, forse un po’ confondendoli, con l’ondivaga memoria della vecchiaia che
si aggrappa ai rimasugli del passato per non perdere il contatto con la realtà.
Camminava ancora lungo lo stesso sterrato percorso innumerevoli volte dove, col
tempo, ogni albero era diventato un suo amico, ogni roccia il suo sostegno e ciascun
piccolo sasso il suo compagno di giochi. Da tempo si era ritirato
dall’insegnamento e di tutti gli anni passati a scuola, chino sui libri,
sembrava non gli fosse rimasto niente. Facendo un bilancio con schiettezza,
doveva ammettere di non essere diventato né più saggio né più sapiente di
quando era giovane, anzi gli sembrava di avere perso qualcosa di cui, in
partenza, era ricco. Lungo la strada aveva, poco per volta ma ineludibilmente,
smarrito l’entusiasmo, la curiosità e perfino la speranza. Era inquieto, da
giovane. Pensava che la ricerca interiore fosse altrettanto importante di
quella scientifica, che in quegli anni stupiva il mondo, e si vedeva come un
esploratore dell’anima tanto audace ed intrepido quanto Amundsen al Polo Nord. Non
aveva la necessità di andare lontano, ma si tuffava fiducioso ed avido nei
libri come un minatore dentro le grotte profonde ed oscure alla ricerca di
qualche pepita. Aveva letto fino a stancarsi gli occhi e la mente e poi aveva
cercato i sapienti per confrontarsi con loro e trovare, o quantomeno
approssimarsi, alle risposte che da sempre l’uomo si pone per giustificare la
propria esistenza. In qualche circostanza, accanto ad un asceta o godendo di
una poesia, gli era parso di trovarsi vicino alla verità, ma l’esperienza della
vita l’aveva ogni volta, bruscamente, dissuaso. Si sentiva deluso e vinto.
Deluso dalle troppe aspettative mal riposte, dalle vane promesse, dagli
orizzonti intravisti e mai raggiunti. Deluso dagli uomini che continuano a
ripetere, da sempre, gli stessi errori e non riescono ad accettare di essere
mortali, credendosi padroni del proprio destino mentre altro non sono che
marionette tirate dal fato. Deluso dall’avidità del niente che sono i beni
materiali, dalla gelosia del possesso, dalla cecità di fonte all’odio ed alle
guerre. Deluso dai sentimenti che regalano brevi momenti di felicità e si tirano
appresso un bagaglio sempre pieno di lacrime. Deluso da un Dio sordo, dai falsi
profeti di previsioni sballate, dagli imbonitori di un mondo oltre la morte che
vendono una merce che nemmeno loro hanno mai visto. Infine deluso da se stesso,
estraneo al giovane che ricordava percorrere quello stesso sentiero sicuro che
la vita fosse nelle sue mani e la felicità ad un tiro di schioppo pronta per
essere ghermita. E quindi, vinto. Con le armi deposte ai piedi di una
barzelletta, di uno scherzo nella mente di un Essere Superiore sadico e dispettoso
che si diverte in un gioco senza vincitori e senza scopo dove, come un moscone
nel bicchiere, bisogna volare senza stancarsi, col solo risultato di sbattere
in continuazione la testa. Forse prenderne coscienza è lo scotto da pagare dopo
una lunga vita che solo verso la fine si svela per quello che è, anch’essa
stanca di continuare l’eterno inganno. Ma come una vecchia tartaruga la sua
pelle si era inspessita ed ormai nessun dardo riusciva più a trafiggerlo.
Sebbene
quella mattina facesse freddo, Peter non aveva voluto rinunciare alla
quotidiana passeggiata. La foresta d’intorno non era che un intrico di rami
secchi ed adunchi dove il grigio del cielo si confondeva con il colore delle
cortecce e della terra spoglia. All’uomo sembrava di essere l’unica cosa viva,
e l’assurdità di questo pensiero lo faceva sorridere tra sé. Non si scorgeva
traccia di animali e solo qualche sporadico frullio d’ali tra le fronde
spezzava il silenzio di un paesaggio assopito ed immobile. Ancora davanti vide
la svolta dalla quale, tanto tempo addietro, aveva sentito provenire la voce di
Maria, e si fermò. Tese le orecchie e nel vecchio volto rugoso si riaffacciò il
viso del giovane che fu. Era sicuro che avrebbe udito il familiare: la, la, la di
una antica canzone cantata nelle aie dai contadini. Si aspettava che comparisse
la figura amata di una vita e che ancora lo rimproverasse per averla lasciata
da sola. Ma gli istanti passavano e non succedeva niente. Peter provò una fitta
di delusione nel suo cuore stanco e malandato e, come d’incanto, in quel
momento l’anima si librò leggera lasciando per terra un inutile sacco. Peter
Camenzind raggiunse la sua Maria ed insieme, per sempre, cantarono la loro
canzone.
F I N E
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