domenica 17 agosto 2014

Ruby Tuesday

Mick si deterse la fronte con l’asciugamano e si buttò, sfinito, sul divano del camerino. Al di là della porta si sentivano ancora le urla ed i battimani dei fan, mai sazi anche dopo un concerto durato più di due ore. “Com’è andata?” chiese a Keith. “Uhmmf!” Fu l’eloquente risposta dell’amico, accecato dal fumo della sigaretta penzolante all’angolo della bocca. La testa non girava mai molto bene dopo una esibizione in pubblico. Qualcosa preso prima per ispirarsi, e svariati bicchieri di whisky consumati sul palco, creavano quella nebbia che consentiva loro di immergersi completamente nella musica ignorando tutto il rutilante e caotico contorno. Tanto c’era sempre qualcuno che, dietro le quinte, dirigeva lo spettacolo senza che loro dovessero far altro che seguire la scaletta dei brani. Il cantante era ancora pieno di adrenalina e lanciò un urlo in direzione del batterista che, con la solita flemma, si era affacciato nella stanza per prendere da bere. “Charlie, cazzo, dimmelo tu! Li abbiamo ammazzati stasera?” Watts era abituato agli sbalzi d’umore dei compagni e sapeva bene che avrebbe potuto rispondere qualsiasi cosa, tanto in quel momento i neuroni dell’amico mandavano scintille in ogni dove, per resettarsi subito dopo, senza lasciare tracce nella memoria. Quindi, si allineò a Richards e fece un sonoro “Uhmmf!” pieno di significato. “Ahhhh!! Cazzo! Datemi quella fottuta bottiglia!” Mick si attaccò al collo dello scotch ingollando una lunga sorsata. “Non c’è nessuno che sia dotato del bene della parola in questa stanza?” Gli altri componenti della band non gli fecero neanche caso, ma quasi esaudendo il desiderio di Mick, in quel momento la porta del camerino, che in realtà doveva essere ben chiusa a chiave, si aprì lentamente. Un caschetto di capelli biondi si affacciò timidamente. “Posso, ragazzi?” Keith, Charlie e Bill, che nel frattempo si era unito agli altri, non alzarono neanche lo sguardo non sentendo, o facendo finta di non aver udito, le parole della ragazza. Il cantante, invece, fissò subito lo sguardo su quella giovane fan che aveva avuto l’ardire di entrare nella tana dei lupi. Avrà avuto sedici o diciott’anni, carina, con la minigonna d’ordinanza ed un golfino viola stretto e corto. A contrasto, indossava dei calzettoni a scacchi lunghi fin sotto al ginocchio e scarponcini a carrarmato con i lacci sciolti. Nella faccia di Mick si dischiuse il famoso diabolico sorriso predatore che faceva impazzire le sue fan promettendo e minacciando nello stesso tempo. Batté la mano sul cuscino del divano vicino a lui e, con l’altra, fece cenno alla ragazza di avvicinarsi. “Come ti chiami?” chiese alla grupie. “Shhhh! Lascia che ti asciughi il sudore.” Mick chiuse gli occhi. Lei passò delicatamente l’asciugamano sul viso, sul collo e poi sul petto del cantante. Senza altre parole, gli diede un bacio e lui si abbandonò completamente alla voluttà del momento.

Si svegliò quando la luce dell’alba penetrò nella stanza riflettendosi sui bicchieri vuoti, i posacenere traboccanti e le bottiglie sparse a terra. “Dove sei? Dove sei andata? Ehiiii!” Mick voleva richiamare la ragazza. “Stà un po’ zitto!” Finalmente Keith fu in grado di articolare una frase di senso compiuto. “Dov’è finita quella ragazza?” “Quale ragazza? Datti pace, qui non è entrata nessuna donna da ieri pomeriggio.” “Che stai dicendo? Ho passato la notte con una tipa che si è intrufolata qui ieri dopo il concerto.” “Forse la roba era troppo forte. Chiudiamo a chiave il camerino, dopo aver suonato, proprio per stare un po’ in pace. Non può essere entrato nessuno.” “Oh, mi stai prendendo per il culo! Avremo lasciato la porta aperta e lei è entrata. Guarda, adesso vado a controllare.” Mick si alzò e, barcollando leggermente, mise la mano sulla maniglia tirando verso di lui. La porta non si mosse. Era decisamente chiusa, e la chiave era infilata nella toppa dall’interno. L’artista abbassò lo sguardo rendendosi conto di aver vissuto un sogno o forse un’allucinazione, ma poteva ancora sentire il profumo dei capelli della ragazza e la dolcezza delle sue carezze. Volle fermare quelle sensazioni e, cautamente per non far svanire l’etereo fantasma, imbracciò la chitarra. 

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