lunedì 17 novembre 2014

L'Albero di Natale

Non so perché, pur essendo di lontane origini napoletane, il presepe non lo facevamo mai. I miei genitori erano separati e, sotto Natale, ciascuno addobbava la casa al meglio per dare la sensazione della famiglia e non farci mancare il calore della festa. Il protagonista assoluto era l’albero. Papà dava l’incombenza dell’addobbo a mia sorella, fornendola di risorse pressoché illimitate per realizzare un abete il più festoso e tradizionale possibile. Parliamo, ovviamente, di alberi veri che, senza alcuna remora ecologista, visto che ancora si doveva persino inventare il neologismo, venivano presi in considerazione solo se alti dai due metri in su e con un diametro che doveva consentire il girotondo di una mezza dozzina di bambini. La ragazza, allora adolescente, sbuffava, e avrebbe avuto il desiderio di sottrarsi all’annuale incombenza, ma non poteva rifiutare il desiderio di un uomo che viveva solo, tra mille impegni quotidiani e che, perdippiù, avrebbe fatto trovare vicino alle radici del fronduto addobbo, una montagna di pacchetti, tanto più promettenti quanto più piccoli e con discreti incarti, sicuro indizio di provenienza dalle tradizionali gioiellerie romane.  Mamma, invece, era del segno della bilancia: ho detto tutto. Bella ed elegante come in un ritratto di Giovanni Boldini, con un gusto estetico che si manifestava anche nella cura della casa dove non mancavano mai fiori freschi e profumi. Il risultato ricordava un decadente boudoir dove io, paffuto prepubere, mi aggiravo attento a non fare come il proverbiale elefantino nel negozio di porcellane. Se un anno l’abete era stato abbellito con palle e decori rosa e argento, l’anno successivo doveva essere tutto bianco, per tornare poi al rosso con fiocchi dorati o al tutto oro e festoni con un effetto barocco e ridondante degno di una festa patrizia secentesca. Verso i primi di dicembre accompagnavo mia madre da Bocchi che, conoscendoci, ci consigliava l’abete bianco proveniente dall’Austria messo da parte appositamente per noi. Forse sembrerà strano a chi oggi compra le cimette ai bordi della strada, ma quel maestoso rappresentante delle foreste nordiche… profumava! Si sentiva il suo odore da lontano e bastava quello a far capire che il Natale era vicino. Poi ci si recava da Solfizi e, per rivestire l’ignudo silvano, si andava per multipli di dodici nelle tre misure delle sfere di vetro e relativi festoni. Brutto, ma indispensabile, il puntale finiva gli acquisti. Il giorno successivo compunti fattorini recapitavano il tutto a casa e, sotto la direzione artistica di mamma, procedevamo all’addobbo con matematica ed armonica precisione. Le palle erano di vetro soffiato e rifrangevano la luce con mille bagliori, le collane di perline sfaccettate bardavano mollemente i rami, l’angelo in cima si accompagnava con un mandolone per cantare l’avvento. Bastava la luce di un lume da tavolo, nel salone semibuio, per dare vita al simbolo del prossimo Natale ed io, sensibile, romantico, poeticamente rapito, commosso ed attonito, stupito e partecipe, gioioso e languido, melanconicamente allegro, capivo che era giunto il momento dell’anno più atteso. La considerazione conseguente era che se in salotto c’erano gli addobbi, in cucina ci dovevano stare panettone, torrone, zibibbo e nocchie che aspettavano di far parte della festa. Non mi sarei mai sentito di non fare la mia parte nel coro dei festeggiamenti e, solo per entrare maggiormente nello spirito del tempo, correvo a sbocconcellare un po’ di tutto  per poter esprimere un ponderato ed affidabile giudizio sulla bontà di quell’annata per Alemagna e Sperlari.

Sarà un segno di vecchiaia? Quest’anno ho fatto l’albero (sintetico, sigh!) in anticipo, per ritrovare la voglia e la magia di quella festa che tanto mi piaceva. Per avere la misura del mio rincoglionimento, già da adesso attendo che le mie pecorelle erranti, i miei figli all’estero, ritornino a casa e, per dar loro l’idea del Natale, ho speso una cifra non indifferente in decori, ovviamente made in China. Non solo, forse ho bisogno del geriatra, non vedo l’ora di travestirmi da Babbo Natale per stupire mio nipote la sera della vigilia. Vabbè!

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