domenica 15 febbraio 2015

Viva la Rivoluzione!

Alcuni dicono che si trovi nel Dorset, altri che occupi una vasta area nelle Highlands, qualcuno afferma addirittura che sia installato su tutta un’isola delle Shetland. Una cosa è certa: il grande orecchio ci ascolta. I più informati lo chiamano Echolon e sono sicuri che, dalla fine della seconda guerra mondiale, tiene sotto controllo tutte le comunicazioni prima via radio ed oggi anche tramite il web. Sembra che nulla sfugga agli attenti analisti che, usando sofisticatissimi algoritmi, colgono parole o conversazioni cercando indizi di attività sovversive o sospetti di terrorismo. Certamente deve essere un’installazione mastodontica, modernissima e costosissima, anche se potrebbe essere giustificato qualche dubbio sulla sua efficienza visto che, negli anni, si sono purtroppo ripetute azioni criminali di ogni genere cogliendo alla sprovvista i servizi di sicurezza delle varie nazioni. Ma Pietro non si fidava. E’ vero che tante volte non c’era stata prevenzione, ma come si fa invece a sapere quanto era stato sventato grazie al lavoro di intercettazione? E poi, anche se qualche pesce era sfuggito dalle maglie, chissà quanti altri, gradi o piccoli, vi erano rimasti impigliati senza neanche rendersene conto. Cosa nascondeva il giornalista in pensione? Pietro Sandulli era stato per quarant’anni editorialista de “L’Unità”, con un impegno direttamente proporzionale all’ortodossia marxista della testata. Quanto più il foglio si allontanava dal solco gramsciano, tanto più lui si disamorava. Negli ultimi tempi prima di andarsene si era ridotto a buttare giù articoletti che non avrebbero sfigurato su “L’Avvenire” o su “Famiglia Cristiana”. Adesso, finalmente giunto alla pensione, occupava il suo tempo nel curare, con gran soddisfazione, il piccolo campo intorno alla cascina in Toscana dove si era ritirato a vivere. Nel grande annesso aveva anche ricavato un garage attrezzatissimo dove faceva rinascere vecchie automobili e motociclette che, comprate per pochi soldi, tirava a lucido per usarle ogni tanto o rivendeva agli amici. Ma il suo impegno principale consisteva nello scrivere un libro/denuncia nel quale rimediare a quella che riteneva una scandalosa mancanza ed una pagina oscura nelle vicende italiane del XX secolo: rivelare la “Vera Storia Del P.C.I.” Era pronto a dare la sua testimonianza sulle vicende del Partito viste dall’interno, togliendosi qualche sassolino dalle scarpe, ma soprattutto dicendo, finalmente in maniera esplicita, quello che per decenni si era dovuto tacere. L’opera si presentava impegnativa. Aveva cominciato dal ’21 e da quando Nenni…, per poi denunciare apertamente chi tradì Gramsci facendolo sbattere in galera. Ancora, nella scaletta, c’era l’Internazionale e tutto, o buona parte, del faldone chiuso a Botteghe Oscure sotto l’etichetta “PCUS e PCI / dare – avere”. Insomma, roba che scottava, anche se Pietro temeva sarebbe caduta nella qualunquistica indifferenza dei nostri tempi; però lui lo doveva alla Storia (con la “S” maiuscola). Non era solo in questa impresa. Era rimasto in contatto con vecchi compagni, all’epoca quadri del partito o semplici attivisti ormai tutti oltre i settant’anni, che seppure lontani geograficamente, si incontravano regolarmente. Le conversazioni riguardavano antichi ricordi o considerazioni politiche sull’attualità, ma qualche spirito più acceso non aveva rinunciato alla vecchia idea dell’insurrezione per il trionfo della dittatura del proletariato, anche se questa tesi, propugnata tra un sibilo di dentiera e l’altro, perdeva un po’ di credibilità. Erano loro che aiutavano Pietro nella ricostruzione degli avvenimenti passati facendo, senza alcuna remora o prudenza, nomi e cognomi anche di personaggi ancora sulla scena politica, addirittura in posti di massima responsabilità. Il modo più semplice per riunirsi era in video conferenza tramite Skype, che un ex impiegato al Centralino del Ministero degli Interni, spacciandosi per esperto informatico, aveva spiegato e fatto installare a tutti gli amici. Ed ecco che incombe Echolon. I compagni sapevano che non potevano parlare tranquillamente a causa dell’” orecchione” in ascolto, e per questo avevano installato password, firewalls e criptature varie nell’illusione di confonderlo. Inoltre, per mantenere l’anonimato, avevano deciso di darsi dei soprannomi che nascondessero l’identità mantenendo un clima di cospirazione bolscevica.
Nikita (Luigi da Ancona) - “Ciao Leonida come stai? – passo”
Leonida (Giuseppe da Sasso Marconi) - “Nikita, quante volte te lo devo dire che non c’è bisogno di dire passo: siamo in collegamento Skype.”
Nikita - “Scusa – p…- “
Intervenne Pietro (Lenin, come nome d’arte) cercando di fare una conta dei presenti on line.
Lenin – “Trotsky…Molotov…Stakanov…Josef…Yuri…Andropov…Gromyko…”
Dopo ogni nome, Lenin, ovvero Pietro, faceva una piccola pausa per ricevere un saluto dal nominato o per registrarne l’assenza.
Lenin – “Bene, compagni. Oggi parliamo di questo schifo di situazione politica che sta vivendo la classe operaia del nostro Paese. Che ne pensate, e come immaginate avrebbe reagito il Politburo dell’URSS allo sfascio delle nostre istituzioni? Molotov, cominciamo da te.”
Molotov – “Ci sarebbe un solo rimedio: buttare una bomba nel Parlamento e lasciare bruciare tutto, parlamentari compresi! Prendere quel...Fico e deportarlo in Siberia o, alla peggio a Canazei, comunque in un posto dove viva tra i ghiacci perenni. Poi acchiappare il primo metalmeccanico che passa e nominarlo Capo dello Stato, tanto peggio di questi non farebbe.”
Lenin – “A parte che né in Siberia né, tantomeno, a Canazei ci sono i ghiacci perenni, comunque mi sembra un’opzione un po’ radicale. Stakanov?”
Stakanov – “L’unica soluzione è lavorare tutti e di più. Giornate lavorative di diciotto ore per sette giorni la settimana, senza diritto di ferie. Vedreste voi come ripartirebbe il PIL!”
Lenin – “Non credo sarebbe una scelta molto popolare. Trotsky?”
Trotsky – “A parte il mal di testa che mi martella da stamattina, vorrei dire che sono contrario a tutte queste soluzioni.”
E via dicendo. Ognuno esprimeva la propria ricetta per i mali dell’Italia con sottintesa, o affermata esplicitamente, sempre la Rivoluzione ed il sovvertimento dello stato borghese plutocratico e massone. Se Echolon fosse stato in ascolto, avrebbe goduto. Finché, un giorno, arrivò a Pietro una raccomandata da Parte della Questura di Roma con l’avviso di una convocazione per la settimana successiva per “comunicazioni che la riguardano”. Il giornalista ebbe un attacco di tachicardia. “Ecco qua: lo sapevo. Dai a parlare su internet di bombe, sommosse popolari, bagni di sangue e quant’altro. E poi: il Capo dello Stato, Il presidente di qua, il generale di là, il funzionario e l’onorevole. C’hanno intercettato e adesso chissà cosa credono. Se a Valpreda hanno rovinato la vita, prima accusandolo e poi assolvendolo per la strage di piazza Fontana, solo perché era anarchico, noi che ci dichiariamo esplicitamente rivoluzionari, quanto meno…Guantanamo! Doveva avvisare i compagni.
Lenin – “Compagni, è successa una cosa grave. Mi ha convocato la Digos (?) per sottopormi ad interrogatorio. Ho paura che abbiano scoperto la nostra cellula.”
Molotov – “Bene! – sluscch…- scusate, la dentiera. Bene, dicevo, hanno capito la nostra pericolosità. Adesso tiriamo fuori le baionette ed andiamo all’assalto delle caserme al grido di “sangue e budella fanno la patria bella!!!” Embè!
Stackanov – “Dovessi stare in trincea ventiquattr’ore su ventiquattro, sono pronto a circondare Palazzo Chigi insieme a voi quattro!”
Gromyko – “Adesso che ci hanno preso sul serio, dobbiamo trattare diplomaticamente. Chissà se c’è ancora Kissinger da interpellare?”
La Banda dei Reduci dell’Armata Rossa era molto più lusingata che spaventata dall’idea di essere stata scoperta e già vedeva i volti dei componenti sulle copertine dell’Espresso o di Panorama, se non di Libération o di Le Monde, sotto titoli inneggianti all’ultima sacca di resistenza allo strapotere capitalista.
Gromyko – “Vai avanti, Lenin. Senza paura. E se poi ti dovessero fucilare nel cortile di San Vitale, vivresti per sempre in compagnia degli Eroi caduti a Stalingrado.”
Pietro non fu tanto incoraggiato dalle parole degli amici e la mattina della convocazione si avvicinò agli uffici di Polizia con un’ansia spropositata rispetto alla gravità delle sue azioni. Si aspettava di essere trattenuto a lungo, ma fu rimandato a casa dopo appena un’oretta trascorsa tra sala d’aspetto e colloquio con l’Ispettore. Appena tornato a casa convocò una video conferenza con i compagni per renderli edotti dell’esito dell’interrogatorio.
Lenin – “Ci siamo tutti?”
Molotov – “Si compagno. Cosa hai dovuto subire? Ti hanno fatto il terzo grado, il lavaggio del cervello…racconta!”
Lenin – “Veramente…
Trotsky – “Compagno, non essere reticente. Dillo chiaramente che ci hanno scoperto e che sta per scattare un’operazione su vasta scala per bloccare ogni nostra attività. “
Lenin – “In realtà…”
Gromyko – “Basta. E’ chiaro che diamo fastidio al Sistema e lo Stato borghese cerca di toglierci di mezzo. Ma non ci riusciranno!”
A questa esclamazione, tutti i compagni in collegamento esplosero in urla di guerra, esaltati e pronti al martirio. Pietro capì che il fatto di supporre che la Polizia si interessasse alla loro attività, era fonte di grande orgoglio per i vecchietti che, in tale maniera, riuscivano a sentirsi ancora vivi, tenuti in considerazione, e stimati, seppure in negativo. Non ebbe cuore di dire loro che era stato convocato dall’Ufficio Stranieri della Questura per informazioni riguardanti la sua colf di Capo Verde. Se l’avesse fatto, avrebbe tolto tutto il pathos dei loro collegamenti semiclandestini ed il divertimento nel sentirsi ancora dei ribelli che il sistema avrebbe dovuto temere. Se nessuno li prendeva in considerazione, tutti i loro discorsi sarebbero stati solo chiacchere tra anziani, e nient’altro. Così, Pietro assunse un’aria torva e provata, come fosse di ritorno dritto dritto da un interrogatorio con la CIA, il SISDE ed il MOSSAD messi insieme.
Lenin – “Compagni, amici, fratelli! Frangar non flectar. Echolon ci ha ascoltato, e con lui i capi dei servizi segreti della NATO. Hanno registrato le nostre analisi e, pur non condividendone le conclusioni, hanno apprezzato il nostro coraggio e la nostra onestà intellettuale. Saremo sempre avversari, ma la nostra cellula dovrà rimanere viva e combattiva come voce della coscienza critica del capitalismo. Mi hanno lasciato andare, affermando che, seppur nemici, ci stimano e rispettano. Ma, da oggi in poi, compagni, quando ci incontreremo, dovremo stare ancora più attenti, e magari provare qualche travestimento.”
Il gruppo si sciolse contento e soddisfatto, petto in fuori e al diavolo l'artrosi!






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