giovedì 7 maggio 2015

Una trascurabile ricorrenza

Fra qualche giorno sarà il mio compleanno. Quanti ne compirò? Bah, se ne può discutere. Se il tempo è relativo, gli anni sono elastici e se il calendario è una convenzione, ci sono molti modi per calcolare lo scorrere dei giorni. Potrei orientarmi come gli Indiani d’America e contare le Lune che passano. Se dessi retta agli antichi Maya avrei l’opzione tra il calendario “sacro” di 260 giorni o quello comune dei soliti 365. Forse potrei dare retta agli Ebrei che distinguono gli anni tra “comuni” e “embolismici”, con durate differenti, e fanno iniziare il giorno al tramonto del sole, ovvero convenzionalmente alle 18. Per me andrebbe benissimo visto che io prediligo vivere di notte e alla mattina mordo chi incontro prima delle nove. Volendo essere sofisticato, avrei l’imbarazzo della scelta tra il copto, l’etiopico, il cinese, l’iraniano e così via. Ma diciamo che, ligio ai dettami di Santa Madre Chiesa, dò retta a quanto codificato da Papa Gregorio e prendo per buono il banalissimo almanacco stilato dal Santo Padre ed al quale si sono tutti conformati. Però anche così non posso rispondere alla domanda iniziale di sapere quanti anni ho. Dipende a che ora mi viene posta la questione. Alle otto, quando mi alzo dal letto risvegliandomi con un assortimento vario di dolori e malesseri, che vanno dalla botta della strega all’emicrania, direi che ho 85 anni. Dopo, al lavoro, riscendo verso la cinquantina con la necessaria dose di energia e concentrazione. Nella pausa post prandiale, quando voluttuosamente mi abbandono ad una sana pennichella, mi accartoccio sotto al plaid e mi sento come un neonato nella culla. Salvo che non vada a giocare a tennis. In tal caso mi succede di essere schizofrenico, con due identità. Quella nascosta e velleitaria che mi dice che farò una prestazione da trentenne, l’altra, vera ed evidente a tutti, che mi accomuna ai residenti di Villa Arzilla. Il pomeriggio direi che oscillo tra i quaranta ed i cinquantacinque, dipende dalle grane lavorative. La sera: il riscatto. Come immerso nella vasca di Cocoon, assorbo l’energia dell’universo e mi scrollo di dosso gli anni come un grosso cagnolone rientrando da una passeggiata sotto la pioggia. Fosse per me, e fosse un’attività un po’ meglio retribuita, farei il guardiano notturno, girando per la città a mettere bigliettini nelle saracinesche pensando e divertendomi fino all’alba. In quelle ore sono disposto a sfidare un venticinquenne su chi è pronto per un ultimo bicchiere in compagnia o per andare a prendere un cornetto caldo, appena sfornato. La cosa brutta è che torna la mattina e, come sopra descritto, mi tornano indietro tutti i lustri vissuti maggiorati di una quantità direttamente proporzionale al bagordo notturno. Quindi, quale momento prendere come riferimento per sapere quanti anni ho? In realtà non mi voglio rispondere per non rischiare di avvicinarmi a quella cifra che sta scritta sulla carta d’identità. E maledette le candeline sulla torta! 

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