domenica 28 giugno 2015

Assassinio a villa "La Mandragola"

I

“Si, signora contessa…va bene, signora contessa…con piacere, signora contessa…d’accordo, signora contessa…senz’altro, signora contessa…non mancherò, signora contessa…riverisco, signora contessa.” “Oh Kathia, scommetto che era la signora contessa!” “Ma quanto sei grulla, ma grulla tanto!” Lo scambio di battute avveniva in un pomeriggio d’estate, in mezzo alla settimana, tra la Kathia, parrucchiera pour dame che aveva appena messo giù il telefono, e l’Antonella, sua aiutante, spesso per la discesa, come diceva scherzando, ma non troppo, la padrona. “Lo sai che ogni quindici giorni, puntuale come solo possono essere le persone anziane, mi chiama per andare a farle i capelli in villa. Pora vecchia.” “Porella ‘na sega! – rispose l’apprendista cinica e sfrontata come tutte le tutte le sue coetanee – Vorrei essere io povera come lei e cieca d’un occhio. Vive in quella casona con almeno cinque persone di servizio, senza contare chi le mantiene il podere.” “Ma come sei gretta…, gretta, volgare e perfida. Vorresti scambiare i tuoi vent’anni con i settanta e passa della nobildonna, acciacchi e solitudine compresi, a fronte di euri? In realtà di uno stonfo di euri, ma è la stessa cosa?”” Un se pole fare ‘na via di mezzo? Trentacinque anni e mezzo stonfo di soldi: accetterei subito.”” Ehhh…ma che ne sai tu. Via, basta con le ciance, finisci la messa in piega che stai facendo.” Già, perché il dialogo avveniva al di sopra delle teste di due signore che seguivano l’andamento della conversazione subendo colpi di pettine e sforbiciate, vigorosi o delicati in relazione all’enfasi dei discorsi. Le clienti, a costo di qualche sgraziata grattata o tiratina di capelli, si godevano in silenzio il siparietto, attente a cogliere qualche eventuale pettegolezzo da riferire alle amiche.
La contessa Camilla Bitto de Censis, quando compì cinquant’anni, decise che aveva visto abbastanza del mondo e, dopo aver chiuso Palazzo in via Tornabuoni, come ai tempi aviti, organizzò una carovana di camion e autovetture stipate con gli oggetti a lei più cari, e si trasferì definitivamente alla “Mandragola”. La grande villa era stata casino di caccia per i suoi antenati ed il luogo della sua infanzia, dove aveva vissuto fino all’età scolare per poi tornarci almeno un mese ogni estate. Al momento di eleggerla come sua stabile e definitiva dimora, aveva convocato il sindaco di Pescia Fiorentina, comune nel quale era compresa la proprietà, e gli aveva comunicato che avrebbe versato, sua sponte, ogni anno una ingente somma nelle casse comunali da sempre asfittiche. In cambio voleva due cose: che la Scuola Elementare del paese fosse intitolata al padre, don Melchiorre Ildebrando Bitto de Censis di Torrerotta, e che fosse deviata la strada comunale che passava vicina alle sue terre per evitare qualsiasi transito di gente da lei indesiderata. Il pubblico amministratore convocò il Consiglio Comunale che, dopo accesissimi dibattiti tra la parte pragmatica e quella idealista dei consiglieri, accettò le condizioni imposte e mise mano al frontone dell’istituto scolastico sostituendo un obsoleto “Nino Bixio” con l’illustre nome del nobile benefattore. Si racconta che un certo Vanni fece un “sit in” di protesta per molti mesi di fronte al Municipio. Con manifesti scritti a mano ed un megafono contestava l’opportunità di porre il defunto nobiluomo come esempio per i bambini che entravano a scuola. La motivazione era ben espressa sul cartellone più grande: “L’unico merito del Bitto è stato quello di aver trombato come un riccio! Protestiamo! Basta con la prepotenza dei Bitti!”. Si dice che il contestatore avesse il dente avvelenato in quanto figlio illegittimo e mai riconosciuto del conte padre. Ovviamente il Vanni non ottenne altro risultato che quello di essere preso in giro dai compaesani mentre, come sempre, la forza del denaro vinse ogni resistenza ai voleri della contessa.
In venticinque anni di vita agreste, la contessa Camilla aveva mantenuto saldi alcuni fondamentali principi ai quali aveva sempre ispirato la sua esistenza. Il primo, e più importante, recitava che l’apparenza “fa’” il monaco e che, cadute le convenzioni della buona educazione e della consapevolezza del ruolo sociale di ogni individuo, a valanga sarebbero crollati tutti gli altri capisaldi della civile convivenza. Era quindi convintamente seguace di una meticolosa cura personale e delle tradizioni che formavano quasi una specie di corazza nei confronti dalla tanta volgarità portata dai tempi moderni. Uno degli inevitabili appuntamenti nella sua agenda, era la seduta con la “coiffeuse” convocata alla Mandragola con regolarità per sistemarle l’acconciatura che, ispirandosi ad Her Majesty, lontana cugina, voleva fosse sempre esattamente la stessa.
“Signora contessa, la trovo bene. Come va’?” I veri nobili disprezzano il Primo Stato (il Clero) ed il Secondo Stato (l’Aristocrazia non imparentata con loro) mentre sono spesso vicini al Terzo Stato (il Popolo) che, ritenuto di tutt’altra razza, è trattato con condiscendente e paternale simpatia. Anche Camilla pensava che la Kathia, sebbene molto rozza, fosse una brava persona, e poi la conosceva da quando era ragazzina e, nel suo particolarissimo modo, le era sinceramente affezionata. “Non vorrai, cara, che ti elenchi i miei acciacchi, vero? Certamente no. Diciamo che, a parte il 95 per cento della mia persona che soffre di un insieme di malanni, il restante 5 per cento sta discretamente bene.” La parrucchiera rimase un istante con la spazzola a mezz’aria cercando di afferrare il senso di quell’ambigua risposta. “Ti prego – riprese la nobildonna – di tenerti libera nella prossime due settimane…diciamo a giorni alterni. Dovrai venire a sistemarmi per essere sempre presentabile nei confronti delle persone che ho invitato in villa. “Signora contessa, vedrò di accontentarla spostando gli appuntamenti a bottega. E’ qualche ricorrenza particolare?” “No, cara, non si deve festeggiare niente, o meglio devo capire alcune cose per preparare un evento che sarà festeggiato in un futuro che mi auguro non imminente.” “???” “Ti vedo perplessa. Bene, se vuoi, ti spiegherò.” Questa era una dote che la Kathia aveva innata. Non si era mai riuscita a spiegare il motivo per il quale, anche persone con le quali aveva una scarsa confidenza, alla prima occasione, si aprissero con lei raccontandole i loro problemi. “Quanti anni pensi che abbia, cara?” Ahi: domanda imbarazzante e pericolosa! La parrucchiera doveva decidere in fretta se rispondere con un’affermazione compiacente rischiando di sembrare poco sincera, oppure dire quello che pensava con la possibilità di offendere la nobildonna sparando un età esagerata. “Non saprei...una settantina ottimamente portati?” “Ah, ah, ah. Magari, e ti ringrazio per il complimento. In realtà, nel prossimo agosto, toccherò il poco invidiabile traguardo degli ottanta. Per questo ho deciso che, prima di allora, devo sistemare tutto quello che riguarda la mia successione. Vedi, il conte mio padre, come tutti gli avi prima di lui, non hanno mai fatto testamento, fidando nelle leggi e negli usi nobiliari per tramandare titoli e proprietà. Anch’io avevo ritenuto di seguire questo comportamento, ma avvenimenti relativi ai miei figli e notizie sul loro stile di vita, mi hanno indotto a riflettere su quanto avverrà dopo di me.” “Sono certa che i suoi discendenti saranno degni del loro nome, signora contessa.” “Beata te, cara. Io non ne sono affatto sicura, quindi per chiarirmi le idee ed evitare che l’illustre nome dei Bitto de Censis sia, un domani, portato indegnamente, ho fatto venire in villa i miei tre figli. Forse saprai che vivono da molti anni lontano da me. Guglielmo non lo vedo dal Natale del 2011, e Norberto vive a Londra ormai da dieci anni. Solo Eleonora, specialmente d’estate, passa qui qualche giorno, ma anche con lei mi sento più una lontana zia che la madre.  Quindi, per essere sicura che il blasone e la terra ricadano sulle giuste spalle, voglio fare un’ultima verifica. Dopodiché rilascerò al Notaio Clarinetti le mie disposizioni testamentarie.” “Saggia decisione, signora contessa. Sono certa che i suoi figli non la deluderanno e che lei sceglierà per il meglio.” “Te l’ho già detto: sei troppo “certa”, invece io non lo sono per niente.”

II

Una persona “normale”, al giorno d’oggi, sicuramente non vorrebbe essere proprietaria di un edificio come la Mandragola. Quanto mai può costare solo di IMU un villone di venti stanze da letto, sei bagni padronali, quattro saloni di rappresentanza, oltre ai locali destinati alla servitù, le cucine e gli annessi? La Kathia avrebbe risposto: uno stonfo! E poi il riscaldamento, la manutenzione e via dicendo. Più che una proprietà, sembrava essere un aspirapolvere di risorse pressoché senza limiti. Il patrimonio della contessa era cospicuo, ma qualsiasi pozzo ha un fondo e, per cercare di raggiungerlo il più tardi possibile, bisognava essere degli amministratori oculatissimi. Oppure fregarsene e mangiarsi tutto. Era proprio questa seconda ipotesi che Donna Camilla cercava di evitare. Ma se, dopo i primi cinque secoli, la casata avesse voluto sopravvivere almeno per altre cinque generazioni, i capofamiglia si sarebbero dovuti mostrare all’altezza del gravoso compito.
Guglielmo, il primogenito, sentiva su di sé tutto il peso delle palle nobiliari e, nei discorsi a ruota libera di fronte allo specchio del bagno, spesso rimpiangeva di non essere nato almeno un secolo prima, quando il Signore era padrone nel vero senso della parola ed ancora sussisteva la deferente sottomissione delle classi inferiori. Certamente si rendeva conto che meritori istituti come lo “jus primae noctis” non sarebbero stati accolti con favore dagli abitanti del contado, ma era convinto che il diritto di nascita lo ponesse al di sopra dei cafoni, anche se ormai civilizzati. Il naso aquilino che, fiero, caratterizzava il suo profilo, era sfortunatamente dotato di una sensibilità molto accentuata e qualsiasi tipo di polline irritava le abbondanti froge provocando starnuti a ripetizione ed una costante, quanto antiestetica, gocciolina di muco. Per questo motivo il nobiluomo non gradiva recarsi in campagna ed, anzi, era per lui una vera e propria tortura mettersi alla mercé di allergeni ed inflorescenze varie. L’ultima volta era stato alla Mandragola in pieno inverno, proprio per evitare l’entusiasmo della natura, ma anche la semplice polvere che si annidava tra i mille e più tomi dell’antica libreria l’aveva fatto piangere e grattare senza nessuna considerazione per la dignità del suo ruolo. Si era quindi scusato con la madre, dicendole che per il futuro si sarebbero sentiti o scritti, ma non intendeva rimettere piede in Maremma. Adesso era stato convocato con un telegramma nel quale si diceva testualmente: “Vieni immediatamente per importanti motivi che riguardano la successione nel titolo. Ti aspetto. Tua madre.” Non poteva mancare all’appello della genitrice, sia per obbedienza che per interesse.
“Si potrà dire di tutto su come viene tenuta questa casa, ma bisogna riconoscere al nostro vecchio Oreste che rifornisce il bar con grande sapienza e gusto” Il maggiordomo, ai giorni nostri anche autista, cameriere, giardiniere, elettricista, guardiano ed altro, compiaciuto dalle parole del signorino Guglielmo ne rabboccò il bicchiere con una generosa dose di bourbon Balton’s riserva speciale. “Mi fa piacere trovare riunita la famiglia.” Da uno dei divani che arredavano la grande living room, si levò una nuvoletta di fumo azzurrino molto, in maniera sospetta, aromatico. “Non dire cazzate. Non ci vediamo quasi mai e se fossi morta in Nepal non lo avresti neanche saputo.” L’affermazione, dal tono sarcastico e divertito, veniva da una ragazza di circa trent’anni vestita come una hippy anni ’60 e con una massa di capelli rossi e crespi che ben si accordavano con il verde intenso di due grandi e ironici occhi verdi. Eleonora aveva lasciato casa da quando aveva sedici anni. Lei raccontava che era scappata, ma non era vero. Aveva semplicemente detto alla madre che voleva rendersi indipendente aspettandosi che la genitrice andasse in escandescenze negandole la libertà. In questo modo lei avrebbe potuto contestare, protestare, ribellarsi e quindi fuggire via, con la massima soddisfazione. Invece Donna Camilla le aveva augurato buona fortuna dandole, come viatico, una carta American Express Black con plafond illimitato che, disse, sarebbe stata per lei il migliore accompagnatore. La ragazza ne fu quasi risentita e prese la capitalistica tessera con una smorfia schifata e solo per non discutere con la madre. Voleva buttarla appena uscita, ma non era stupida e, con un po’ di ribrezzo, la mise nel portafoglio tra una bustina di erba e un biglietto del tram mai usato, per poi tirarla fuori periodicamente, ma sempre con manifesta insofferenza. Per i primi cinque, sei anni non perdonò alla madre di averla offesa non riconoscendo il suo spirito libero e anticapitalista, poi con la maturità si rese conto di quante volte quel tesserino le avesse risolto tanti problemi e rivalutò l’intelligenza della genitrice che non frenandola e fornendole un paracadute per gli inciampi della vita, le aveva dimostrato, forse, nella sua maniera, anche amore. “Se vuoi ti dico che fa piacere anche a me rivederti – continuò Eleonora – e alimentiamo così questa fiera dell’ipocrisia” “Adesso sì che mi sento a casa! -  L’esclamazione veniva dal nuovo arrivato nella stanza – Una manifestazione di amore fraterno è esattamente quello che mi aspettavo ritrovando i miei cari parenti.” Norberto Bitto de Censis, con queste parole, si fece avanti nel salone levando un immaginario pilucco dall’immacolata giacca da smoking abbinata con un paio di jeans dal taglio perfetto. Era di poco più giovane di Eleonora e, a dispetto delle apparenze da dandy, aveva studiato con ottimo profitto nelle migliori università americane riuscendo ad entrare nella ristretta élite dei rampanti financial manager a livello internazionale. Di bella presenza, e con una eleganza innata che era il miglior biglietto da visita per inserirlo nell’upper class, risiedeva già da anni a Londra lavorando come broker per conto proprio e per un ristretto e selezionatissimo portafoglio di danarosi clienti. Anche per lui le radici familiari erano importanti e si era preso qualche giorno di vacanza per tornare alla Mandragola. “Allora, cari fratelli – in qualità di primogenito Guglielmo si riteneva in dovere di prendere la guida della conversazione – siamo qui riuniti per volere di nostra madre. Qualcuno di voi conosce la ragione esatta di tanta urgenza?” “Io no di certo. – rispose Eleonora – Ho ricevuto una email, firmata da Oreste, che parlava di importanti questioni di famiglia. Vi dirò, che siccome è stata l’unica volta che mia madre, sia pure per interposta persona, mi ha chiesto di tornare, mi sono anche preoccupata. Ho pensato stesse male e ci volesse dare l’ultimo saluto. Ma ieri l’ho vista e mi è sembrata la solita vecchia roccia, non c’è da aver paura che abbia intenzione di lasciarci.” “Per ciò che mi riguarda, – disse Norberto – sempre da Oreste, ho ricevuto una telefonata. Col tono lugubre da becchino che lo contraddistingue, mi ha detto testualmente che la signora contessa aveva convocato tutti i suoi figli in villa e che quindi non potevo mancare. Gli chiesi il perché di tale invito, e il “Lurch” maremmano – ricordate, vero, il maggiordomo della famiglia Addams? - rispose che lui era solo al corrente della massima importanza che la padrona aveva detto di comunicarmi. Quindi sono curiosissimo.” Eleonora si fece avanti reclamando dal maggiordomo un’altra dose di whisky. “Versa, Oreste, che il soggiorno in villa promette di essere interessante. Anche se ritrovarmi in questa casona, perlopiù disabitata, mi mette molta ansia. Se fosse per me la venderei subito e con il ricavato aprirei un ashram per Yogi Sunito.”  “Se ti interessa io sarei d’accordo a vendere. – disse Norberto – Anzi, vi dirò che qualche tempo fa, a Londra, fui avvicinato da un mediatore immobiliare che evidentemente conosceva il mio nome e la proprietà. Mi disse che parlava per conto di un investitore che aveva intenzione di mettere su un agriturismo a cinque stelle in Toscana e che la Mandragola avrebbe fatto al caso suo. Per curiosità gli chiesi fino a che cifra sarebbe potuto arrivare per l’acquisto. Beh, non ve la riferisco altrimenti vi precipitate al telefono. Vi basti sapere che si trattava di milioni di euro, e non pochi. Non vi nascondo che, all’epoca, ne parlai con la mamma, ma lei mi rispose quasi offesa dicendo che la villa non si toccava. Peccato, ma cercherò di farle cambiare idea.” La collera di Guglielmo montava sentendo i discorsi di quei degeneri rampolli della sua nobile famiglia. “Ma come fate a parlare così del luogo che ha visto le gesta e la storia di generazioni di nostri avi fin dal diciassettesimo secolo? Non vi vergognate a cercare solo il danaro? Io sono assolutamente d’accordo con la contessa nostra madre. La Mandragola non è in vendita!”  “Non ti scaldare tanto, sono solo mattoni e terra. Comunque fintanto che ci abita mamma, la questione non si pone.” Norberto non aveva intenzione di litigare, almeno non in quel momento. “Bene, - concluse Guglielmo quasi redigendo a parole il verbale dell’incontro – riguardo al motivo di questa riunione di famiglia, siamo tutti all’oscuro. Non ci resta che aspettare, probabilmente stasera a cena, quando speriamo che la genitrice ci illumini.” I tre continuarono a parlare ancora per qualche tempo in maniera lieve e superficiale per non toccare altri argomenti che avrebbero potuto essere d’attrito. Oreste versò ancora un goccio per ognuno del profumato liquore e poi, chiedendo il permesso, si ritirò per prepararsi alla serata.

III

In occasione della specialissima riunione, Donna Camilla aveva comandato di preparare la cena nella sala da pranzo “cinese”. Questa era la terza, e più grande, stanza da ricevimento che aveva preso il nome dalla tappezzeria a motivi orientaleggianti di colore vinaccio su fondo giallino che avrebbero potuto sembrare inadeguati per arredare parte di un casa di campagna, ma proprio questa inaspettata eccentricità conferiva un tocco di eleganza al locale. Ovviamente erano stati lucidati gli argenti, era stato disposto sulla tovaglia ricamata il servizio in porcellana e oro con l’emblema della casata e, come tocco finale, la contessa aveva ordinato di non accendere la luce elettrica, ma porre al centro tavola un grande candeliere posizionandone altri tutt’intorno, in modo di avere solo la luce delle candele a rischiarare l’ambiente. Copiando un’usanza notata in occasione delle visite presso i cugini inglesi, alle otto e trenta in punto, il perentorio richiamo di un gong rimbombò in ogni angolo della villa avvisando i commensali di prendere posto per la cena.
I tre “ragazzi” erano già seduti quando, al braccio di Oreste che la sorreggeva, la contessa Camilla prese posto a capotavola.
“Amatissimi, da quanto tempo era che non ci ritrovavamo tutti insieme? Questo è il regalo più grande che una madre possa chiedere: stare con i propri figli. Guglielmo, sembri un po’ ingrassato. E tu, Norberto, hai l’aria di uno di quei, come si chiamano…preppy londinesi. E tu, Ciuccia, finalmente donna e, se non sbaglio, quello che indossi è un Balenciaga al posto dei gonnelloni da contestatrice che ti mettevi qualche anno fa. Sono proprio contenta di vedervi tutti bene.” “Anche noi, mamma, ti vediamo in gran forma, anche se, non possiamo nasconderlo, siamo molto curiosi di sapere il motivo di questa inaspettata quanto urgente convocazione alla villa.” Guglielmo riteneva le smancerie, anche quelle filiali, assolutamente poco dignitose, e per evitare di cadere in melense affettuosità, portò subito il discorso al nocciolo della questione. “Tutto a suo tempo, caro – rispose la contessa – capisco la vostra curiosità, ma dovrete avere un po’ di pazienza.” “Sai mamma, come ti ho scritto tempo fa, sono diventata ambasciatrice della International Charity Organization for Children Refugees e non mi posso permettere di stare tanto tempo lontana da New Delhi lasciando tutto in mano ai miei collaboratori. Per questo ti pregherei di dirci perché siamo tutti qui insieme anche se non ci sono feste comandate ad imporlo. A proposito, fammi il piacere di non chiamarmi “Ciuccia”, ormai ho quasi trent’anni ed alla mia età le donne indi sono già nonne.” “Ah, ah, ah. Potrai diventare nonna, bisnonna o quello che vuoi, io ti vedrò sempre con il volto corrucciato e con il dito in bocca. Ti ricordi? Quando ti chiedevo: “Eleonora, cosa stai facendo?” Tu mi rispondevi: “Ciuccia!” E quel nomignolo, per me, sarà sempre il nome che ti sei scelta da sola. Comunque, se proprio devo, posso anche appellarti come sei stata battezzata: Eleonora, Brigida, Elisabeth, Maria, ma mi sembra scomodo.” La contessa si stava godendo ogni momento di quell’eccezionale convivio. “Dai, mamma. Non credo che ci hai fatti precipitare nel cuore della Maremma senza una valida ragione. Anch’io ti chiedo di non rimanere nel vago. Ti prometto che, se fai la brava, mi fermo per una settimana e ti porto alle Terme di Saturnia, come facevamo tanto tempo fa.” Norberto aveva sempre saputo come prendere la madre e quest’impegno, oltre alle richieste degli altri figli, fecero cambiare idea alla anziana genitrice. “Ebbene, avrei voluto tirarla un po’ per le lunghe solo per il piacere di avervi vicino, ma capisco le vostre ragioni e quindi ecco come stanno le cose.” Donna Camilla prese il bicchiere e si inumidì le labbra con il Vermentino annacquato che accompagnava le sue cene. Si deterse con il tovagliolo e, lentamente, posò entrambe le mani sulla tavola, restando con gli occhi bassi, per concentrarsi su come incominciare il discorso. Dopo qualche interminabile minuto di silenzio, mentre Norberto già pensava che la vecchia si fosse assopita in quella scomoda posizione, con un colpo di tosse, la contessa cominciò. “La nostra casata non è stata sempre rappresentata per il meglio. Vostro padre era un puttaniere e non ha mai lavorato un giorno in vita sua, suo padre scampò la guerra imboscandosi in Vaticano come assistete al Soglio Pontificio e potrei continuare ricordando più ladri, intrallazzatori e parassiti tra i nostri avi che degne persone. Ma erano altri tempi. Alla nobiltà veniva perdonato quasi tutto e bastava essere fedeli al sovrano di turno per godere di impunità e privilegi. Oggi, purtroppo o per fortuna, non è più così. Non dico che siamo perseguitati dai comunisti, ma se vogliamo mantenere quello che abbiamo, dobbiamo saperci comportare. Tra poco compirò ottant’anni e, prima di essere del tutto preda della demenza senile, voglio capire chi tra di voi sia il più adatto ad indossare le armi dei Bitto de Censis.” “Ma… - si inalberò subito Gugliemo -  io sono…” “Lo so: il primogenito. Quindi, teoricamente, dovrebbe passare tutto a te, ma…” La contessa si voltò verso il maggiordomo. “Oreste vada in cucina con il resto della servitù. La chiamerò io quando sarà necessario.” I quattro seduti aspettarono che gli estranei fossero usciti dalla sala da pranzo, dopodiché tre paia d’occhi si puntarono verso la capotavola. “Ma, dicevo, mi sono giunte voci a proposito della tua omosessualità. Intendiamoci: niente di male. Il tuo trisavolo si faceva tutti i contadinotti del contado. Il punto è che va tutto bene tra adulti consenzienti, mentre c’è un rapporto della buoncostume che…devo continuare?” “Sono falsità! Sbagli di gioventù, e poi…insomma, ecco…” “Non ti giustificare, caro. Non mi interessa come vivi la tua vita privata, però non voglio che uno scandalo infanghi il nostro nome.” “Si, ma non puoi escludermi o retrocedermi nella linea di successione. Mi sono informato.” “Giustissimo, ma ti posso disconoscere moralmente, indicare uno dei tuoi fratelli come il nuovo capo della Casa e non fornirti di nessuna risorsa materiale. Così, forse, avresti solo un titolo vuoto di sostanza.” Guglielmo sembrava boccheggiare, con gli occhi fuori dalle orbite, non trovando le parole per ribattere e sgomento di fronte ad una prospettiva alla quale non aveva mai neanche lontanamente pensato. “Non ti agitare adesso. Non ho detto che farò così, anche perché pure i tuoi fratelli…” Era il turno degli altri due, adesso, di stare sui carboni ardenti. Norberto: “Mamma che vuoi dire?” “Ohh mio cuore, io sono anziana e relegata in campagna, ma non sono stupida ed ho tanti amici. Qualcuno mi ha riferito che sei scampato per un soffio all’incriminazione per appropriazione indebita ed insider trading riguardo allo scandalo Exxon Oil dell’anno scorso. Ti sei mai chiesto perché hanno ritirato la denuncia nei tuoi confronti e come mai l’Emiro è sembrato rinunciare ai due milioni di euro che gli erano stati sottratti? Beh, non te l’ho mai detto, ma t’ho fatto un regalo che, nella stessa maniera dell’apparato Beghelli di cui sto testando la validità, per te è stato un “salvavita”. Ma non te lo rinfaccio. Solo che, se questo è il tuo modo di agire, vedo le nostre proprietà molto a rischio.” “Ah, ah, ah. Mamma sei grande! – Norberto era divertito dalla sagacia della contessa che sembrava fuori dal mondo ed invece ne sapeva più di tutti. – “Adesso tocca a Eleonora.” “La mia Ciucc…scusa, Eleonora. Drogata. Dentro e fuori dai migliori rehab americani per così tante volte che le potrebbero darle le chiavi dei portoni. Anche qui, nessun giudizio morale, ma quale grado di affidabilità?” “Che palle! Sempre la stessa: non ti sembra vero di rimproverarmi! Sono padrona della mia vita, non devo rendere conto a nessuno!” “Certamente, - disse serafica la contessa – a nessuno tranne ai tuoi discendenti che hanno diritto a godere degli stessi privilegi dei quali tu hai approfittato.” Dopo tanto clamore, una tregua scese sulla tavola e, per riprendere fiato, Guglielmo versò a tutti un’abbondate dose di Porto che fu sorseggiata in un silenzio gravido di pensieri inespressi. “Comunque, ora sono stanca, dormiamoci su. Domani continueremo la conversazione che contribuirà a schiarirmi le idee ed a guidarmi nella decisione per la sistemazione dell’asse ereditario. Sono certa che quello che ne uscirà sarà sicuramente per il meglio. Auguro a tutti, adorati, una serena notte.” Con queste parole, la nobildonna scrollò il campanello sulla tavola e, pronto al richiamo, il maggiordomo entrò nella sala per offrire il suo braccio alla padrona. Con qualche sbuffo e rivolgendo un ultimo sorriso ai figli, donna Camilla si diresse verso le sue stanze. Negli occhi brillava un lampo di sardonica soddisfazione, o forse di divertimento, per aver messo in imbarazzo i ragazzi. L’eco dei suoi passi si spense sullo scalone di legno verso il piano nobile, e nella villa tornò la quiete. Quella notte la contessa morì.  

IV

“Oh gesùgiuseppemmaria!” Era il momento della pausa di metà mattinata e la Kathia stava seduta sulla panchina fuori dal suo negozio a sfogliare “Il Tirreno”. “Maremma bucaiola, ma cos’è successo? Che titolo è questo?” Sul quotidiano, in terza pagina, campeggiava il seguente strillo: “Misteriosa morte della contessa Bitto de Censis. La nobildonna è stata trovata soffocata nel suo letto. La polizia brancola nel buio.” La parrucchiera non poteva credere che la vecchia signora fosse deceduta. E poi si sottintendeva che non si trattasse di morte naturale, ma addirittura di omicidio. “Antonella! Vieni qui e senti un po’. – doveva condividere il suo sgomento con qualcuno. – La signora contessa: morta ammazzata! E la polizia brancola.” Conosciamo la giovane apprendista, non era un tipo compassionevole o facilmente impressionabile. “Evvabbè, la sua vita l’ha fatta. Ha finito di soffrire, anche se non credo che poi patisse troppo. A proposito, tu che leggi tanto e sai il significato delle parole, spiegami perché il verbo “brancolare” si usa sempre e solo per la polizia. Vuol dire che quando le forze dell’ordine si muovono insieme lo fanno come un “branco” di bufali…brancolano? E se si spostassero come un “gregge” di pecore, greggiolerebbero? Oppure una “mandria” di buoi, màndriolerebbero?” “Te l’ho già detto: sei grulla, ma grulla tanto. Ti pare il momento di scherzare di fronte alla scomparsa di quella povera donna?” “Poveraaa?” “Oh, non ricominciare! Vattene dentro al negozio e spazza il pavimento. Va’!” La Kathia era veramente turbata. Nel corso degli anni si era affezionata alla contessa che con lei era stata sempre gentile. Quando si sposò con Vittorio le fece in dono una lavatrice tedesca, della marca più cara, che ancora funzionava. E poi non c’era Natale che non facesse recapitare al negozio un cesto con l’olio e le marmellate del podere accompagnate da un bel biglietto di auguri: una gentilezza che denotava nobiltà d’animo oltre che di blasone. Chi poteva aver voluto la morte della nobildonna? Sicuramente c’erano di mezzo bei soldoni, ma la contessa era anziana e piena di acciacchi, colui che avesse tratto beneficio da un simile avvenimento avrebbe potuto avere la pazienza di aspettare che la natura facesse il suo corso in un tempo sicuramente non lungo. La parrucchiera doveva capire. Come le avevano insegnato tutti i gialli letti avidamente, la prima domanda che un investigatore si pone di fronte ad un delitto è: “Cui prodest?” ovvero a chi giova e, di conseguenza, chi potrebbe essere l’assassino? La Kathia andava, da anni, regolarmente in villa a prestare la sua opera professionale e scambiare qualche parola con la vecchia signora, ma non poteva affermare di conoscerla veramente. Nonostante ciò aveva sempre avuto l’impressione che la sua vita scorresse con una tranquilla regolarità, scandita da immutate abitudini e frequentazioni, senza alcun particolare affanno. Anche in paese si parlava bene di lei che non mancava mai di dare il proprio sostegno a opere benefiche ed a persone in difficoltà. Insomma, certamente non una santa, ma benvoluta e rispettata da tutti. Il movente più probabile rimaneva quello legato al maledetto “sterco del diavolo”: i soldi. In questo caso l’indice puntava dritto in una direzione. Se era vero che, come la contessa le aveva confidato in uno degli ultimi incontri, la signora non aveva redatto ancora nessun testamento, secondo la legge il titolo, accompagnato da una fetta di patrimonio, sarebbe passato al figlio Guglielmo, gli altri due ne avrebbero avuto i restanti due terzi mentre la Mandragola sarebbe rimasta al primogenito, come d’uso nelle successioni nobiliari. Almeno così credeva la Kathia, che non era certo esperta in tali questioni, ma siccome aveva aiutato un tempo il cugino a ripassare l’esame di Diritto Privato per l’università, qualcosa le era rimasto appiccicato in testa. Quindi il sospettato numero uno era il figlio maggiore, primo perché, come diceva la parrucchiera, sembrava un pesce lesso e non dimostrava molto affetto nei confronti della madre, e poi perché la somma tra titolo, villa e soldi significava un bel malloppo. Bisognava che si informasse meglio.
“No, lui l’abbiamo escluso subito.” In un piccolo paese si conoscono tutti e se la parrucchiera che taglia i capelli è una bella donna ed il maresciallo al quale viene fornito il servizio è un simpatico giovane uomo di Torre del Greco che si ritiene un Don Giovanni, tra i due non può non nascere una simpatia…innocentissima simpatia. La Kathia aveva fatto finta di incrociare per caso il carabiniere e, siccome era quasi l’ora di pranzo, aveva colto l’occasione per invitarlo a prendere un aperitivo seduti al bar di fronte all’edicola. Ovviamente il secondo fine era quello di estorcere, garbatamente, delle informazioni all’investigatore. “Guglielmo non può essere stato. - Confermò il militare. – Quella sera, a cena, si era sciarriato (aveva avuto una sorta di screzio) con la contessa. Ne era rimasto ‘ndruvuluso e nervuso (turbato e nervoso) e, non avendo alcuna voglia di andarsi a cuccàre (andare a letto), era subito trasito (uscito) di casa per andare in un bar di Orbetello per bere qualcosa. Che poi tale locale risulti frequentato da femminielli ed il conte si sia voluto distrarre in diversa maniera, questo all’Arma non ci interessa. Conta che la sua presenza lontano dalla Mandragola sia testimoniata da molte persone fino alla mattina successiva, quando la madre era già deceduta.” “Ma com’è morta esattamente la contessa?” “La morte è sopravvenuta per soffocamento causato da un cuscino premuto sul volto.” “Povera donna!” “Certamente deve aver lottato. Tra i denti abbiamo rinvenuto un pezzetto di stoffa di cotone bianco.” “L’avrà strappato dal cuscino.” “No, questo è curiuso: le federe e le lenzuola del letto erano di lino, non di cotone. Chissà da dove viene quella stoffa, forse da un fazzoletto.” “Bah, comunque, tornando ai sospettati, non rimane che prendere in considerazione gli altri due figli, che comunque riceveranno parte dell’eredità.” Sorseggiando un Crodino, la donna era intenzionata a farsi un quadro completo della situazione. “Beh, non è così semplice. In realtà nessuno dei fratelli ha un alibi, perché sostengono di essere andati nelle rispettive camere dopo la cena, ma è anche vero che non abbiamo riscontrato nessun indizio sulla scena del crimine che possa ricollegarsi ad uno dei due. Anche il movente economico è poco plausibile nei loro confronti, Norberto risulta chieno e’ dinare (pieno di soldi) derivanti dalle sue speculazioni finanziarie, ed Eleonora pare sia diventata una specie di…non si può chiamare suora, diciamo seguace di una setta induista che predica la povertà.” “Mhhh, - la parrucchiera non era convinta – i soldi non fanno schifo a nessuno. Però capisco che il movente per commettere un omicidio deve essere molto forte e bisogna trovare delle prove valide per incriminare qualcuno.” “Esattamente, e quindi…brancoliamo nel buio.” “Non usare quel verbo!” “?” “Brancolare. Ho avuto una discussione con l’Antonella che poi ti dirò. Comunque, allora come vi state muovendo?” “Ehhh…ci stiamo muovendo. Le indagini proseguono.” Kathia si innervosì: “Ecco un’altra bella frase fatta che non significa niente. Ti saluto maresciallo, vieni a darti una spuntatina ai riccioletti che ti cadono sul colletto. Non è dignitoso per un rappresentatane della Benemerita.” Con queste parole, ed un cenno della mano, la parrucchiera risalì sulla sua Panda 4X4 e tornò al lavoro.

V

Ci mancava pure la Kathia che gli mettese pressione. Era ciaccona e sfruculiusa, ma anche afosa assai. Antonio Viglietti, maresciallo reggente la Stazione di Capalbio, competente per territorio nelle indagini sul delitto Bitto, quando prese servizio nella piccola caserma, in uno dei borghi più suggestivi della bassa Maremma, aveva creduto di essere destinato, se non proprio ad una vacanza costante, almeno ad un tranquillo lavoro di rutine. Niente a che vedere con il precedente incarico in un paesino della costiera napoletana tra camorra, omertà e diffidenza per le forze dell’ordine. Non è vero che “Basta che ce stà o’ sole, che c’è rimast o’ mare, na nenna a core a core…”, di nenne (ragazze) non ne mancavano, il sole ed il mare andavano bene, ma l’atmosfera era pesante e lavorare in quel contesto difficilissimo. Comandato in Toscana, tra uliveti e le spiagge non distanti, il maresciallo aveva cambiato vita. Anche la gente risultava simpatica, cordiale ed all’apparenza aperta, anche se tra confidenza ed amicizia il passo è lungo. I crimini erano perlopiù contro il patrimonio e, nella quasi totalità dei casi, commessi da extra comunitari spesso clandestini. A volte sfociavano nella violenza, ma era sempre abbastanza facile risalire al delinquente o quantomeno indirizzare le indagini nel verso giusto. Il caso della contessa era diverso, qui si richiedeva una competenza investigativa vera e propria. Partendo dal fatto, bisognava interrogare, capire i collegamenti, trovare le prove e, possibilmente, individuare il colpevole.
“Dunque, ricominciamo.” Nell’ufficio in caserma, scomodamente seduto su una seggiolina di formica e acciaio, Norberto Bitto subiva, da ormai quasi tre ore, la ripetitiva raffica di domande del maresciallo. “Io, egregio signore, non ho fretta. – l’investigatore si era preparato una sorta di scaletta con tutti gli interrogativi che sperava di farsi chiarire dall’indagato – Le analisi dell’anatomopatologo hanno stabilito che la signora contessa è stata soffocata con un cuscino e che la morte si può collocare tra le ore una e le tre del mattino. Lei conferma che a quell’ora si trovava nella sua camera?” “Sissignore, è la quarta volta che glielo dico.” “E l’aggia a sentì ancora per un’altra migliara! Fino a che non mi convincerete.” Con la stanchezza usciva fuori dal Viglietti tutto il suo coté napoletano. “Cosa debbo fare per farmi credere? Le ho detto tutto quello che mi ricordo di quella maledetta notte.” “Va bene, prendiamola da un altro verso. A volte, nel dormiveglia, non si è pienamente consapevoli, ma si avvertono cose che al momento non si capiscono e non si ricordano, ma rimangono sepolte nel subcosciente. E’ possibile nel suo caso?” Norberto fece un gesto d’impazienza. “Macchè, io dormo come un sasso. Non ho visto né senti…- l’uomo interruppe la frase a metà e si raddrizzò sulla sedia con gli occhi sbarrati, come se all’improvviso avesse avuto una visione. “Aspetti un secondo. Ecco, mi sembra…” “Vada avanti.” “Proprio mentre scivolavo nel sonno, mi sembra di ricordare che sentii un rumore proveniente dall’esterno. No so come descriverlo…era come se sulla ghiaia del cortile passasse un carro facendo il tipico rumore di sassi schiacciati e stridio di legno.” “Interessante.” “Badi maresciallo, non ne sono affatto certo. Mi è tornato in mente, ma potrebbe essere stata solo una sensazione o addirittura un sogno.” “Non si preoccupi. Le forze investigative sapranno vagliare l’informazione.” Il militare era soddisfatto di aver tirato fuori quest’altro elemento per le indagini, anche se tutt’intorno alla Mandragola erano stati fatti i rilevamenti del caso senza trovare tracce significative. Però non si poteva mai sapere, e magari quello che sembrava uno scenario interno alla villa poteva invece aprirsi verso possibilità esterne. Avrebbe verificato.
Intanto Eleonora, limitata nei suoi spostamenti per ordine dei carabinieri, scalpitava in villa facendo mille telefonate, girando per tutta casa e non dando pace al personale di servizio con innumerevoli continue richieste. Il suo spirito libero non poteva sopportare di subire una costrizione che restringesse i propri spazi, anche se imposta dall’autorità che, nelle imprecazioni della giovane donna, veniva appellata con ogni tipo di offensivo epiteto, da “polizia fascista” a “bastard pigs” fino a parole anche più pesanti che evitiamo di riportare. Con il cellulare incollato all’orecchio, urlava parlando con qualcuno: “Non è possibile. Non hanno uno straccio di cavolo di motivo per tenermi qui. Devo, dico DEVO, andare. Il giorno successivo alla prima notte di luna piena nel mese di Phalgun, mi aspettano per la Festa dell’Holi a Jaipur nel Rajastan. Sono la madrina della manifestazione per il quarto anno consecutivo e non posso non andarci…..Certo che mi dispiace, ma cosa ci posso fare ormai? Tu che faresti al posto mio?.....No, assolutamente no! Lo facesse Guglielmo o Norberto, io no!......Va bene, sto calma. Però non è giusto: non so niente, ho detto tutto e poi non sopporto più quel cafone del poliziotto…..o.k., carabiniere…..Almeno avessi della buona erba!.....Non sono più libera neanche di dire quello che voglio in casa mia?....Ho capito, al telefono è meglio di no. Va bene, basta, vado a lavarmi i capelli, ciao…..Anzi andrò proprio dalla parrucchiera della mamma che mi diceva fosse tanto brava. Poi ti dico, ciao!”
Nella sua camera, alla Mandragola, Guglielmo si riposava nel letto fantasticando ad occhi aperti ed assaporando la sensazione, da tanto aspettata, di essere il nuovo conte Bitto de’ Censis. La prima cosa da fare sarebbe stata risistemare la villa restaurando la facciata con lo scudo araldico sopra al portone, poi avrebbe dato disposizione che il cancello della proprietà fosse aggiustato e rimanesse sempre chiuso, mentre da subito avrebbe ripristinato la divisa in polpe per la servitù che gli sembrava troppo sciatta e spesso fiacca. Gli dispiaceva per la vecchia madre, ma morto un Papa…così è la vita. Certo era alquanto imbarazzante che si parlasse di delitto per soffocamento, ma il neo titolato pensava di comportarsi come tutti i suoi avi prima di lui. Sarebbe andato dal maresciallo, o forse da un generale a Roma, e avrebbe fatto una lauta donazione per gli orfani dell’Arma a patto che si mettesse tutto a tacere. In fondo l’eventuale, supposto, teorico, assassino non aveva fatto altro che accelerare un po’ la natura togliendo gli ultimi affanni ad una vecchia. Si sarebbe anche potuto dire che era quasi un’opera buona. Avrebbe sistemato tutto senza clamore e con la signorilità propria del suo rango.

VI

“Ho deciso. Voglio fare un confronto con tutti i e tre i sospettati del delitto. Per metterli il più possibile a loro agio, ho fatto in modo che il conte Guglielmo mi invitasse per un tè alla Mandragola insieme ai fratelli. Mi serve un testimone ma, per non allarmare i convitati, non voglio portare con me l’appuntato. Ci vuoi venire tu?” Questo invito, rivolto dal maresciallo Viglietti alla Kathia, era quanto di meglio la parrucchiera si potesse aspettare. Da quando era successo l’omicidio, la parrucchiera aveva letto tutti gli articoli sui giornali, ne aveva discusso con le amiche, si era persino recata alla villa per cercare di sapere ulteriori notizie dal personale di servizio, ma non era riuscita a trovare nessuna giustificazione per una morte che le sembrava tanto inutile quanto crudele.  La possibilità di assistere in prima persona ad una fase tanto importante delle indagini, le sembrava una fortuna insperata, anche se pensava che quell’incontro non sarebbe stato di certo risolutore. “Certamente. Hai fatto bene a chiedermelo. Vedrai starò zitta, attentissima e mi ricorderò ogni cosa. Non avresti potuto trovare un teste maggiorente affidabile di me, non te ne pentirai.” “Speriamo” Pensò, ma non disse, il maresciallo.
Alle cinque di pomeriggio di un caldo giorno di prim’estate, nel salotto piccolo di villa “La Mandragola” si ritrovarono i tre eredi della Casata Bitto de Censis, un rappresentante delle forze dell’ordine ed una figura del tutto fuori posto nella persona della Kathia, parrucchiera per signora e per uomo. Come padrone di casa, anche se per il momento ancora non in maniera ufficiale, il conte Guglielmo fece accomodare gli ospiti nelle due poltrone accanto al tavolino, mentre, insieme con i fratelli, prese posto sull’ampio divano di fronte a loro. “Allora maresciallo, ancora una riunione, un interrogatorio, dovrebbe esserle ormai chiaro che noi non c’entriamo con la morte di nostra madre.” “Eppure – rispose, senza tanti convenevoli, il militare – la contessa è stata brutalmente uccisa. Qualcuno deve essere stato e, se eliminiamo la possibilità di un intervento esterno per il quale non abbiamo alcun indizio, il colpevole deve aver agito dentro le mura della villa.” “Sciocchezze – intervenne Norberto – Come fate ad escludere qualsiasi possibile varco? In un edificio così grande ci sono decine di possibili entrate. Chessò, dal tetto o dalle cantine, forse un fornitore che si è nascosto dentro casa durante il giorno e poi ha agito con il calare delle tenebre, ci sono tante possibilità.” “Vero, - il Viglietti le aveva considerate tutte – ma, a parte che non se ne è trovata traccia, per un estrano mancherebbe comunque il movente.” “Se è per questo, a New Delhi si uccide per una manciata di rupie o anche solo per odio di casta.” “Gentile signora Eleonora, le ricordo che non siamo nel continente indiano e che da noi i morti ammazzati devono trovare giustizia.” “Maresciallo, la prego, di non essere tanto crudo nelle sue espressioni. L’ho invitata per cortesia, perché vogliamo essere utili alle indagini, e perché nessuno di noi ha niente da nascondere, ma la prego di mantenere un tono di adeguato rispetto innanzitutto nei confronti della memoria della contessa defunta.” Per Guglielmo ogni invito era un’occasione di mondanità che doveva sottostare alle precise regole della creanza. Kathia, affondata nella poltrona a fiori assisteva a questo scambio di battute con interesse. Le sembrava di vedere un cacciatore nella savana che cerca di fare sua una preda, ma questa, insieme ai compagni di branco, gli gira attorno confondendolo e deridendolo. Così il povero Viglietti sembrava non avere alcuna chance nella schermaglia dialettica con i giovani nobili ed ad ogni domanda, invece di far breccia verso una rivelazione, pareva si scontrasse contro un muro che tendeva a nascondere, e quasi a negare, l’accaduto. “Prima di rispondere alle sue ulteriori eventuali domande, caro maresciallo, concediamoci una buona tazza di tè. – disse Guglielmo – Oreste, servi gli ospiti.” “Si, signor conte.” Il maggiordomo si avvicinò ad una consolle sulla quale erano state poste le tazze e la teiera e, di spalle, versò il liquido fumante. Si voltò quindi verso l’ospite donna, che doveva essere la prima ad essere servita e, perfetto nella sua divisa nera con i guanti bianchi, porse la tazza alla Kathia. “Signora, zucchero o latte?” “Niente, grazie.” La donna soffiò per un momento sul tè e poi…si immobilizzò. “Fermi tutti – esclamò d’improvviso – ho capito!” Gli altri la fissarono come se fosse impazzita. “I guanti. I guanti di Oreste. Guardate i guanti di Oreste, su un dito manca un pezzetto di stoffa. Scommetto che è quella che è stata ritrovata tra i denti della contessa.” Il maggiordomo lanciò un urlo e lasciò cadere la tazza che reggeva in mano. Crollò sulle ginocchia, a testa bassa, e cominciò a dondolare il capo ripetendo “Non volevo, non volevo…” come una triste nenia che valeva più di una confessione.

EPILOGO
“Se non l’avessi notato tu…” Il maresciallo Viglietti festeggiava la chiusura del caso con la Kathia, degustando un’enorme bicchiere di granita di caffè con panna, seduti ad un tavolino sulla terrazza del “Frigidaire” di fonte al mare che, proprio in quel momento, mandava in scena la sua più bella rappresentazione di uno spettacolare tramonto. “Oh, beh, chissà? Certo è strano che Oreste non abbia rammendato quel guanto che donna Camilla aveva morso nel tentativo di difendersi dalle mani che volevano soffocarla. Forse non aveva messo quel paio dalla sera dell’omicidio oppure, come succede a molti delinquenti, aveva rimosso quel particolare e non aveva dato peso al guanto rotto. Non so. Certo che non appena ha realizzato che quel minimo pezzettino di stoffa rappresentava la sua inequivocabile condanna, è crollato subito ed ha confessato ogni cosa. Ma non capisco ancora il movente. Certamente il servitore non avrebbe ricevuto alcun lascito dalla padrona ed i suoi rapporti con lei si dice fossero stati sempre buoni, quindi perché ucciderla?” Contento di mostrare come il suo lavoro di investigazione non avesse tralasciato nessun aspetto del caso, il militare spiegò: “Tutto nasce la sera che i tre figli erano riuniti in salotto. Chiacchieravano a proposito della villa e Norberto ed Eleonora si dichiararono pronti a vendere la villa una volta che uno di loro ne fosse eventualmente venuto in possesso. Solo Guglielmo disse in maniera decisa che lui non avrebbe mai ceduto la Mandragola. Oreste, presente alla scena, aveva sentito tutto e dopo più di trent’anni vissuti in villa, pensare che, se la contessa avesse deciso di nominare uno dei figli minori come beneficiario della proprietà, lui molto probabilmente sarebbe stato licenziato, l’aveva fatto impazzire. Oreste è pieno di debiti di gioco e non poteva permettersi di perdere il lavoro. Al giorno d’oggi nessuno ha più bisogno di un maggiordomo e lui già si immaginava sul lastrico. La sola possibile soluzione era quella di far fuori la contessa prima che decidesse per la sua successione e potesse nominare erede Norberto o Eleonora. Morendo senza aver fatto testamento, la villa sarebbe passata a Guglielmo che, come dicevo, l’avrebbe sicuramente tenuta insieme alla servitù.” Tutto chiaro.
Sul Tirreno del giorno dopo, la Kathia fu felice di leggere: “Lo spirito d’osservazione ed il pronto acume della parrucchiera di Borgo Carige diradano le nebbie nel caso dell’omicidio Bitto. La Polizia ringrazia.” Beh, da “La polizia brancola” a “la polizia ringrazia”, … era una soddisfazione!

   









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