Padre Biagio
era solo nella Canonica. Completate le funzioni della giornata e recitate le
ultime orazioni del vespro, spense le luci in Chiesa e chiuse il portone. Solo
le candele rimanevano ad illuminare fiocamente le ampie volte neogotiche e le
immagini sacre. Il chiarore tremolante delle fiammelle rendeva più espressivi i
volti delle statue che sembravano quasi sorridere o ammiccare con benevolenza.
Molte sere il curato si attardava seduto in un banco della navata principale e,
complici i giochi delle ombre, gli piaceva immaginare di essere al centro di
una riunione di beati che discutevano tra loro da una cappella all’altra.
L’ultima parola era sempre riservata al Crocefisso dell’Altare Maggiore sia per
la sua immensa sapienza che per il fatto di essere il Figlio del Padrone. Poi,
dopo un ultimo padre-ave-gloria, ogni volta si congedava familiarmente dalle
immagini sacre ed, imboccata una porticina laterale, si ritirava nelle sue
stanze. Tempo addietro il prevosto avrebbe trovato una bonaria perpetua pronta
a provvedere alle sue necessità, ma adesso una questua sempre più risicata non
permetteva ai religiosi che una donna a ore tre volte la settimana, giusto per
lavare e stirare il corporale, ovvero quella piccola tovaglia che si sistema
sull’altare, e qualche camicia. Ma don Biagio si accontentava: due uova al
tegame con un po’ di formaggio e un paio di pesche, oltre a un abbondante gotto
di rosso, e poi via a dormire. Il buon parroco sembrava sereno, se non felice.
Aveva investito il capitale della sua vita scommettendo di riscuotere un
generoso dividendo quando il Principale lo avesse chiamato presso di sé, e
perciò non permetteva a preoccupazioni o ansie di tormentarlo più del
necessario. In fondo lui faceva tutto il suo dovere con diligenza, e quale
datore di lavoro non sarebbe stato soddisfatto di un collaboratore tanto devoto
e obbediente? A volte, dopo aver lavato i piatti, quando la sera si stemperava
nella notte, chiudendo la finestra della cucina, lo sguardo di don Biagio si perdeva
a guardare le case del paese allineate lungo la strada principale o sparse nel
buio profondo della campagna circostante. Vedendo quelle finestre illuminate, si
immaginava le famiglie all’interno: un padre, una mamma e tanti bambini che
giocavano con un vecchio che magari avrebbe potuto somigliargli. A quei
pensieri, tra lo stomaco ed il petto, provava sempre una strana sensazione: un
malinconico languore che assomigliava tanto ad un rimpianto. Questa momentanea
debolezza gli sembrava simile ad un peccato, anche se non sapeva di quale
gravità, e quindi, per prudenza, si infliggeva una penitenza con tre Ave: non
si sa mai. Poi, chiuse le imposte, si rifugiava nel letto puntando la sveglia sulle
cinque del mattino successivo, per ricominciare la solita rassicurante routine.
Generalmente toccava il guanciale e, avvolto nel silenzio, dopo poco
sprofondava in un sonno comatoso e senza sogni. Ma quella sera non riusciva a
dormire. Aveva la sensazione di avere dimenticato di fare qualcosa in Chiesa,
che ci fosse un non sapeva cosa di fuori posto che gli dava fastidio. Doveva
togliersi il tarlo, anche se era convinto che fosse solo un’impressione dettata
dal nervosismo che qualche volta trovava in agguato nelle tenebre di camera sua.
Scese dal letto, infilandosi un accappatoio sopra il pigiama, e si diresse
verso il tempio. Entrò dalla solita porticina e, fermo sulla soglia, dette uno
sguardo panoramico tutt’intorno. Sembrava tutto a posto, il portone principale
serrato, i paramenti del Santo ben ordinati, le candele che gocciolando si
stavano esaurendo. Un momento: ai lati dell’immagine di San Nicola c’era solo
un candelabro visibile, l’altro doveva essere caduto. Padre Biagio si diresse
verso il quadro in un angolo della navata laterale. “Oh Gesùgiuseppemaria,
qualcuno ha lasciato un paio di scarpe vicino al Patrono: non c’è più religione
né rispetto!” Il prete si avvicinò chinandosi per prendere le calzature. Con
stupore notò che appresso a quelle seguiva un paio di pantaloni. Spesso il
curato aveva visto persone decedute, ma un morto sul pavimento della Chiesa…non
se lo sarebbe mai aspettato.
“Capille e
guaie nun mancano maje! Predolin vieni qua, subito! Chistu uaglione è lento
comm na lumaca. Cosa devo fare, devo mandarti un invito scritto?” Il
maresciallo Viglietti, comandato alla Stazione Carabinieri di Capalbio, non era
convinto che Garibaldi avesse unificato l’Italia. Troppe incomprensioni
esistevano ancora tra chi sapeva mettere le cose nell’ordine giusto
d’importanza, come riteneva di essere lui, e chi seguiva passo passo tutte le
benedette regole e regolamenti. In altre parole: per il maresciallo prima veniva
il caffè e poi tutto il resto, salvo partire in quarta sovvertendo le priorità
in caso di urgenza, mentre per il carabiniere, al quale si rivolgevano le sue
lamentele, scrivere un rapporto era come redigere un testo sacro: non si poteva
lasciare senza finirlo, cascasse il mondo. Il conflitto tra le due mentalità
creava spesso nervosismo nel superiore e frustrazione nel sottoposto che più
volte aveva pensato di chiedere un trasferimento dalle parti di Cavarzere, o su
di lì, per tornare a fare il proprio dovere con la serena disciplina che,
vicino all’imprevedibile maresciallo, era la cosa della quale sentiva
maggiormente la mancanza. “Comandi!” “Era ora…! Prendi la macchina che dobbiamo
andare in Chiesa.” Comandi…deve confessarsi?” “Oh mammamia, questo sembra
sempre caruto a rint o lietto (caduto dal letto). No caro, la coscienza mia è
linda e pinta come un lenzuolo fresco di bucato. Ha telefonato il parroco che
pare abbia trovato un morto ammazzato vicino all’altare.” “Maria Verzine
Benedeta!” Esclamò il carabiniere Predolin. “Esattamente. – ribattè Viglietti –
Dobbiamo andare, iamme bell!” Meno di
dieci minuti e la Benemerita si presentò sul luogo del delitto. Il Parroco,
dopo aver steso un pietoso lenzuolo sul corpo dello sconosciuto, si era
raccolto in preghiera sull’inginocchiatoio sotto al Cuore Immacolato di Maria
cercando con le sue preghiere di esorcizzare il demonio che aveva fatto
irruzione nel Sacro Luogo ed accompagnare l’anima del povero defunto. Così lo
trovarono i militari, affranto e sconvolto, ancora incredulo per ciò che era
avvenuto praticamente sotto i suoi occhi. “Buongiorno, sia lodato…e così via.”
Si presentò salutando il maresciallo, non avvezzo alle formule d’uso quando incontrava
un religioso. “Allora, cosa è successo qui?” “Maresciallo mi dispiace averla
disturbata a quest’ora di notte, ma…venga, venga a vedere!” Con aria contrita,
don Biagio condusse la piccola processione, formata da lui stesso e dai due
carabinieri, lungo la navata principale fino alla cappella laterale dove il bianco
del pietoso sudario spiccava sulla pietra rossastra del pavimento. Viglietti si
chinò per scostare il lenzuolo e scoprì il corpo. Si trattava di un uomo, della
presunta età di una cinquantina d’anni, con un abito formale che sembrava di
buon taglio e scarpe eleganti. Giaceva supino, tra la fila dei banchi ed un
piccolo altare devozionale con il quadro di un santo, con le braccia lungo i
fianchi e le gambe leggermente divaricate. La causa della morte era evidente:
il cranio risultava sfondato nella parte posteriore, ed una notevole quantità
di sangue si spandeva sotto la testa formando piccoli rivoli negli interstizi
dei lastroni del suolo. Il maresciallo controllò l’ora: le una e trenta
antimeridiane. Per fortuna (?) quella sera si era trattenuto in ufficio,
insieme all’appuntato, per completare una pratica rognosa da inviare con
urgenza al Comando quando aveva ricevuto a telefonata del prete. Così era
arrivato con la massima tempestività, dando prova della proverbiale efficienza
dell’Arma. Il maresciallo, con la punta delle dita, sbottonò delicatamente la
tasca posteriore dei pantaloni dove un evidente rigonfio faceva supporre
fossero riposti i documenti dell’uomo. Prese il portafoglio che sembrava essere
di vero coccodrillo e, dopo aver notato come fosse ben fornito di contante, ne
tirò fuori la patente e un biglietto da visita che spuntava da uno scomparto.
“Vediamo…qui dice che il tale si chiamava Pietro Lucchetti, licenza rilasciata
dalla Motorizzazione di Roma. Il biglietto da visita…uhmm…Lucchetti…AZZ!!!:
Ufficiale Prefettizio Delegato alla Provincia di Roma. Un morto eccellente!”
“Dobbiamo chiamare i ROS?” Il solerte Predolin si stava agitando per il suo primo
vero caso d’omicidio e per la figura della vittima che sembrava essere
importante. “Stai calmo. Prima avvisiamo la Centrale per avere Scientifica e
Medico Legale, poi vedremo il da farsi. Non sia mai detto che non siamo in
grado di gestire la situazione.” Con calma e autorevolezza il Viglietti dette
il via alla macchina investigativa e da lì a poco la pace della Chiesa venne
sconvolta da quello che sembrava il set di un telefilm della serie C.S.I.
Nel salone
di parrucchiere (pour dame e uomo) della Kathia la notizia di un tanto efferato
crimine, commesso a non più di cinquecento metri di distanza, rimbalzava da una
poltrona all’altra con le clienti che facevano a gara a proporre supposizioni e
domande che non potevano avere alcun riscontro. Le postazioni erano tre: la
prima occupata da una permanente e tinta, in persona della signora Tina, casalinga
di mezz’età; in quella di mezzo sedeva la signora Adele al momento impegnata da
una ceretta anti irsutismo che le ricopriva una vasta parte del volto e, nella
seduta in fondo, una rotondetta signora Clara che si era portata la fotografia,
strappata da un giornale, della cantante Amy Winehouse per far ricopiare la sua
acconciatura “a cofana”. Essendo quest’ultima di statura più che modesta,
supponeva che i capelli raccolti verso l’alto le conferissero slancio, e non
voleva assolutamente cambiare idea anche a fronte delle argomentazioni
contrarie della parrucchiera che, velatamente e con molto tatto, le aveva fatto
intendere come, insistendo con quella pettinatura, esistesse il serio rischio
di incappare nell’effetto “teiera”. “Non può essere stato uno del paese. –
Disse la Tina – Quello nessuno lo conosceva ed era chiaramente un forestiero,
magari un turista.” “Ma va’! – le rispose Adele che, essendo abbonata SKY da
molti anni, non si perdeva un telefilm poliziesco. – Pensi che sia capitato in
Chiesa per caso e abbia sbattuto la testa contro un candelabro? Sei ingenua,
secondo me è un regolamento di conti.” “Ragazze, -intervenne la Clara – tenete
presente che il morto era una personalità. Per me c’è sotto una rivalità
politica.” Ovviamente erano parole in libertà e la Kathia stava a sentire
divertita quelle che, con tutte le ragioni, le sembravano solo sciocchezze. Ma
anche nella mente della parrucchiera non mancavano gli interrogativi,
alimentati dalla sua proverbiale curiosità e dagli agganci privilegiati di cui
sapeva di poter usufruire essendo buona amica del maresciallo Viglietti.
L’omicidio era quasi una provocazione per lei che altre volte aveva contribuito
a risolvere casi di cronaca più o meno nera. Doveva andare dal militare per
convincerlo di metterla al corrente dei particolari del caso. Sapeva come fare.
Finì di lavorare sulle clienti e poi prese eye liner, rimmel e rossetto per
prepararsi a vincere un’eventuale resistenza da parte delle forze dell’ordine.
“Vittorio, -
la Kathia chiamò il marito per avvertirlo – chiudo il negozio e vado fare delle
commissioni. Se faccio un po’ tardi, prepara tu qualcosa per cena. Ci vediamo
dopo.” La fedele Panda 4 X 4 condusse la parrucchiera su per i tornanti che da
Borgo Carige portavano a Capalbio, mentre la guidatrice era in dubbio se
slacciarsi anche un altro bottone della camicetta. Ma forse sarebbe stato
troppo. “Assolutamente no!” Il Maresciallo fu perentorio. “Non ti posso dire
niente. Le indagini sono in corso, c’è il segreto istruttorio e se si viene a
sapere che m’è scappata qualche notizia la mia prossima destinazione sarà la
caserma di Macomer: Sardegna profonda.” “Però, che amico…” Slash, slash: fu
questo il rumore delle ciglia sbattute con aria birichina dalla parrucchiera in
cerca di indiscrezioni. “Pensavo che tra noi ci fosse più confidenza.
Evidentemente…mi sbagliavo.” “Sì,
scusami, ma ti sbagliavi. Sai quanto mi…vabbè, ma quando la vittima è un agente
del SISDE…ecco, m’è sfuggito. Non lo dovevo dire. Hoèèè uagliona, se ti lasci scappare
una parola…” “Marescià, comm site scucciante.” Dicendo queste parole la Kathia
non potè trattenersi da mettere la mano sul fianco con aria sdegnata e, meglio
della Lollo nei confronti di De Sica, si voltò incamminandosi ancheggiando
verso la sua autovettura.
Ehhh, ma non
la conosceva. Non c’era niente di meglio che una porta chiusa per far desiderare
alla donna di sapere cosa ci fosse al di là. E poi quell’accenno ai servizi
segreti apriva una tale gamma di scenari avventurosi che improvvisamente la
Kathia si vide nei panni di Pussy Galore, Kissy Suzuki o addirittura Teresa di
Vincenzo. Per gli sprovveduti che non fossero fan di James Bond, le sopra
citate signore sono le eroine di 007, e la parrucchiera, avendo letto tutti i
libri di Ian Fleming da “Casino Royal” a “Octopussy”, aveva spesso fantasticato
di immedesimarsi in quei personaggi pieni di fascino. Ovviamente a Borgo Carige
era improbabile imbattersi in Goldfinger o nel Dottor No, ma chissà che dietro
al delitto in Chiesa non si potesse celare la mano della SPECTRE. Tornando coi
piedi per terra, la Kathia decise di fare un altro tentativo per saperne di più
sull’omicidio andando a parlare con la sola altra persona che poteva rivelarle
qualche particolare: don Biagio.
Il religioso
non sapeva come comportarsi. Nel Codice di Diritto Canonico era riportato che
se in Chiesa fosse stato commesso un atto di sangue o di violenza, La casa del
Signore doveva essere riconsacrata con l’intervento del Vescovo e, fino a quel
momento, dovevano essere sospese le funzioni pubbliche. Ma non si parlava della
somministrazione dei Sacramenti. Nell’agenda del parroco erano previsti per
quella settimana due battesimi e la cresima di un adulto che si doveva sposare.
E poi, tutte le mattine, si presentavano donne desiderose di confessarsi. Cosa
doveva fare? Sospendere tutto e magari mettere a rischio qualche anima o
continuare nel suo compito pastorale? Rimuginava tra sé il dilemma quando:
“Eccone un’altra.” Si disse vedendo una figura femminile avvicinarsi. Don
Biagio si trovava proprio vicino ad un confessionale e non aveva cuore di
allontanare quella povera pecorella che con aria tanto contrita ed un
atteggiamento di santa modestia gli si stava avvicinando. La Kathia aveva
indossato la sua gonna più lunga e si era messa un foulard sui capelli come
neanche la più beghina delle fedeli ancora usava portare. “Padre, mi devo
confessare” “Vieni figliola. Inginocchiati lì” A don Biagio sembrava di aver
riconosciuto nella donna la parrucchiera del paese, ma quella non era certo una
devota praticante e l’aria dimessa sicuramente non le apparteneva. Forse la
penombra lo aveva ingannato e si trattava di una penitente occasionale. “Da
quanto tempo…” <se glielo dico, gli prende un colpo> “Non ricordo,
Padre.” “Dimmi, per cosa chiedi perdono al Signore?” <Da dove comincio? Devo
dire tutto tutto? Andiamo per gradi.> “Non sono andata a qualche Messa, ho
detto qualche bugia, ho parlato male di qualcuno.” “Altro?” <Vabbè…> “Ho
commesso peccato di desiderio e qualche atto impuro.” “Ahhh, immaginavo. E,
figliola, quali sono stati, quanti sono stati e con quale frequenza hai
commesso questi atti impuri? Eh?” La Kathia qualcosa disse, certe cose omise e
altro sorvolò cercando di essere mediamente sincera. Mentre si confessava la
donna pensava anche a come portare il prete a parlare dei recenti avvenimenti.
Non era facile passare da un elenco di mancanze morali, o supposte tali, al
fatto di cronaca. Poi, visto il luogo santo, le venne l’illuminazione. Finito
di dire l’atto di dolore, mentre si accingeva ad alzarsi, disse buttandola lì:
“Reverendo padre, non è per caso che le seve una perpetua che le curi la casa?
Vede, mi trovo in una situazione difficile e se lei mi assicurasse un pasto
caldo al giorno io mi potrei impegnare per mezza giornata a pulire e sistemare
la canonica.” La proposta lasciò stupito il prete e gli confermò ancora una
volta di come fossero infinite le vie del Signore. “Beh figliola: si può fare.
Potresti cominciare da domattina, se per te va bene.” “D’accordo
reverendissimo. A domani.” Così dicendo la donna si allontanò dalla Chiesa
preparando i suoi piani di circonvenzione. La prima cosa era non farsi
riconoscere. Quel pomeriggio, complice la semi oscurità, era andata bene, ma
l’indomani col sole le cose sarebbero cambiate. Non a caso uno dei periodi di
maggior lavoro per la parrucchiera coincideva con la festa di Halloween. In
quei giorni c’era la fila fuori dal negozio per farsi acconciare, ma
soprattutto truccare, e tanti giovani entravano in forma umana e uscivano con
le sembianze di zombie tanto ben mascherati che erano capaci di spaventare
anche i familiari. Questa volta avrebbe provato su se stessa. Non sarebbe
arrivata al punto di sembrare uscita da una tomba, ma con una bella parrucca
bianca, rughe finte e occhiali era abbastanza certa di rendersi
irriconoscibile. Il tutto andava completato con un cuscino sotto la veste per
infagottarsi e con il fazzolettone della nonna, che aveva trovato in fondo al
canterano, a coprire metà testa: perfetto! Ci vollero tre mattinate di fatica e
chiacchere per entrare in confidenza col prete, e poi finalmente la donna,
sotto mentite spoglie, riuscì a portare il discorso dove voleva. “Certo che
ultimamente ne sono successe di cose, vè?” “Oh, cara Rina – pseudonimo assunto
dalla Kathia per recitare la sua parte – Il Signore ha voluto mettere alla
prova la mia pazienza e la mia fede. Se ti riferisci al delitto in Chiesa, in
nomine Patris et Filii…, io credo che Satana si sia manifestato.” “Mi racconti,
padre. Si sfoghi.” “Cara, carissima, cosa devo dirti? Ho solo trovato quel
pover’uomo stramazzato al suolo in un bagno di sangue.” “Ha notato qualcosa di
particolare che magari l’ha colpita?” “No figliola, ero troppo sconvolto. Anzi
ti dirò che l’impressione è stata tanta che ancora, a volte, quando la sera
vado in Chiesa per le orazioni mi sembra di vedere un’ombra tra le navate, una
specie di presenza. Controllo sempre, ma non trovo nessuno. Certamente è la mia
immaginazione o il demonio che ancora si aggira da queste parti.” “Mi dica:
quest’ombra capita spesso?” “Oh benedetta, quasi tutte le sere, ed è curioso
come sia sempre la stessa ora. Poi più niente, né prima né dopo.” La Kathia
drizzò le orecchie, eufemisticamente, e le venne un sospetto.
Poteva
essere pericoloso, ma lì stava il divertimento. Padre Biagio incontrava le sue
ombre alle diciannove e per quell’ora la Kathia si nascose dietro un grande
pino che fiancheggiava il sagrato della Chiesa. Voleva verificare se quelle del
prete fossero solo paranoie o se c’era sotto qualcos’altro. In quel periodo
dell’anno la notte calava presto e, dietro l’albero, la donna, invisibile nelle
tenebre, aveva una prospettiva ideale sul portone principale del tempio e sui
dintorni. Avrebbe sicuramente visto una macchina avvicinarsi o qualcuno che si
fosse aggirato nei paraggi. La parrucchiera era sempre stata scettica riguardo
le storie di presenze soprannaturali o di sensazioni oscure. Tendeva a pensare
che se si avvertiva un’intrusione, il più delle volte era perché si era udito
un rumore o visto qualcosa. Quindi, a meno che il prete non fosse in stretto
contatto con l’aldilà, anche le sue impressioni dovevano derivare da un segnale
reale. Non dovette aspettare molto. Quasi gli sfuggiva, ma per un breve momento
si stagliò chiaramente contro il muro giallino della Chiesa una figura con una
specie di soprabito scuro che, dall’angolo dell’edificio, scivolava verso
l’entrata. “Eccoti spettro di Banquo. Puntuale e in carne e ossa. Devo
avvicinarmi.” In certi momenti l’adrenalina va alle stelle e si compiono azioni
che, ripensate successivamente, appaiono pazzie inconcepibili. La donna lasciò
il suo rifugio e, cercando di volare sul ghiaietto dello spiazzo, si accostò al
portone. Aprì di uno spiraglio la porta che, per fortuna, era oliata e
perfettamente bilanciata sui cardini in modo da non provocare alcun rumore.
Sporse la testa all’interno e vide. Non era la fantasia di don Biagio, c’era
effettivamente una persona che, china verso un pilastro della Chiesa, stava
frugando nella cassetta destinata alle elemosine. Non dava l’idea di un barbone
e non poteva essere un ladro che veniva tutte le sere per non trovare niente da
rubare. E poi il parroco non aveva mai denunciato furti di alcun genere. No,
quello cercava altro, che evidentemente non trovava, sera dopo sera.
“Insomma,
Viglietti, tu e i tuoi uomini vi appostate come ho fatto io. Prendete l’uomo e
l’interrogate. E, se fate così, non caverete un ragno dal buco. Certamente dovrà darvi qualche spiegazione, ma
non avrete uno straccio di prova che quello sia collegato al delitto. Invece,
senti un po’ che farei io al posto tuo…” Il maresciallo ebbe la saggezza e
l’umiltà di seguire il suggerimento della parrucchiera e non arrestò subito il
sospetto, ma lo fece seguire ed identificare. Venne fuori che era un addetto
all’ambasciata di un paese del sud est asiatico e che la cassetta delle
elemosine fungeva da “buca delle lettere” per i messaggi che si scambiava con i
rappresentanti di una organizzazione terroristica che si stava attivando sul
territorio. L’agente dei servizi segreti aveva scoperto tutto e, quando aveva
cercato di fermarlo, il malvivente l’aveva aggredito colpendolo a morte.
Da “Il
Tirreno” del giorno dopo: “Sgominata un’organizzazione terroristica collegata
con spie dell’est. – I Carabinieri messi sulla pista giusta dall’intraprendenza
di una nostra concittadina. – Chiarita la dinamica dell’omicidio in Chiesa –
“La Kathia gongolava ricevendo le congratulazioni dei paesani e dello stesso
Sindaco. Aveva vissuto una parte simile a quelle viste nei film e, anche se
Viglietti non si poteva paragonare a Sean Connery e lei non somigliava affatto
a Ursula Andress, il piccolo Borgo Carige per un momento si era trasformato
magicamente in Manhattan.
Don Biagio è
ancora alla ricerca di una perpetua che lavi, stiri e sappia cucinare.
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