sabato 26 settembre 2015

L'incubo del Parroco

Padre Biagio era solo nella Canonica. Completate le funzioni della giornata e recitate le ultime orazioni del vespro, spense le luci in Chiesa e chiuse il portone. Solo le candele rimanevano ad illuminare fiocamente le ampie volte neogotiche e le immagini sacre. Il chiarore tremolante delle fiammelle rendeva più espressivi i volti delle statue che sembravano quasi sorridere o ammiccare con benevolenza. Molte sere il curato si attardava seduto in un banco della navata principale e, complici i giochi delle ombre, gli piaceva immaginare di essere al centro di una riunione di beati che discutevano tra loro da una cappella all’altra. L’ultima parola era sempre riservata al Crocefisso dell’Altare Maggiore sia per la sua immensa sapienza che per il fatto di essere il Figlio del Padrone. Poi, dopo un ultimo padre-ave-gloria, ogni volta si congedava familiarmente dalle immagini sacre ed, imboccata una porticina laterale, si ritirava nelle sue stanze. Tempo addietro il prevosto avrebbe trovato una bonaria perpetua pronta a provvedere alle sue necessità, ma adesso una questua sempre più risicata non permetteva ai religiosi che una donna a ore tre volte la settimana, giusto per lavare e stirare il corporale, ovvero quella piccola tovaglia che si sistema sull’altare, e qualche camicia. Ma don Biagio si accontentava: due uova al tegame con un po’ di formaggio e un paio di pesche, oltre a un abbondante gotto di rosso, e poi via a dormire. Il buon parroco sembrava sereno, se non felice. Aveva investito il capitale della sua vita scommettendo di riscuotere un generoso dividendo quando il Principale lo avesse chiamato presso di sé, e perciò non permetteva a preoccupazioni o ansie di tormentarlo più del necessario. In fondo lui faceva tutto il suo dovere con diligenza, e quale datore di lavoro non sarebbe stato soddisfatto di un collaboratore tanto devoto e obbediente? A volte, dopo aver lavato i piatti, quando la sera si stemperava nella notte, chiudendo la finestra della cucina, lo sguardo di don Biagio si perdeva a guardare le case del paese allineate lungo la strada principale o sparse nel buio profondo della campagna circostante.  Vedendo quelle finestre illuminate, si immaginava le famiglie all’interno: un padre, una mamma e tanti bambini che giocavano con un vecchio che magari avrebbe potuto somigliargli. A quei pensieri, tra lo stomaco ed il petto, provava sempre una strana sensazione: un malinconico languore che assomigliava tanto ad un rimpianto. Questa momentanea debolezza gli sembrava simile ad un peccato, anche se non sapeva di quale gravità, e quindi, per prudenza, si infliggeva una penitenza con tre Ave: non si sa mai. Poi, chiuse le imposte, si rifugiava nel letto puntando la sveglia sulle cinque del mattino successivo, per ricominciare la solita rassicurante routine. Generalmente toccava il guanciale e, avvolto nel silenzio, dopo poco sprofondava in un sonno comatoso e senza sogni. Ma quella sera non riusciva a dormire. Aveva la sensazione di avere dimenticato di fare qualcosa in Chiesa, che ci fosse un non sapeva cosa di fuori posto che gli dava fastidio. Doveva togliersi il tarlo, anche se era convinto che fosse solo un’impressione dettata dal nervosismo che qualche volta trovava in agguato nelle tenebre di camera sua. Scese dal letto, infilandosi un accappatoio sopra il pigiama, e si diresse verso il tempio. Entrò dalla solita porticina e, fermo sulla soglia, dette uno sguardo panoramico tutt’intorno. Sembrava tutto a posto, il portone principale serrato, i paramenti del Santo ben ordinati, le candele che gocciolando si stavano esaurendo. Un momento: ai lati dell’immagine di San Nicola c’era solo un candelabro visibile, l’altro doveva essere caduto. Padre Biagio si diresse verso il quadro in un angolo della navata laterale. “Oh Gesùgiuseppemaria, qualcuno ha lasciato un paio di scarpe vicino al Patrono: non c’è più religione né rispetto!” Il prete si avvicinò chinandosi per prendere le calzature. Con stupore notò che appresso a quelle seguiva un paio di pantaloni. Spesso il curato aveva visto persone decedute, ma un morto sul pavimento della Chiesa…non se lo sarebbe mai aspettato.
“Capille e guaie nun mancano maje! Predolin vieni qua, subito! Chistu uaglione è lento comm na lumaca. Cosa devo fare, devo mandarti un invito scritto?” Il maresciallo Viglietti, comandato alla Stazione Carabinieri di Capalbio, non era convinto che Garibaldi avesse unificato l’Italia. Troppe incomprensioni esistevano ancora tra chi sapeva mettere le cose nell’ordine giusto d’importanza, come riteneva di essere lui, e chi seguiva passo passo tutte le benedette regole e regolamenti. In altre parole: per il maresciallo prima veniva il caffè e poi tutto il resto, salvo partire in quarta sovvertendo le priorità in caso di urgenza, mentre per il carabiniere, al quale si rivolgevano le sue lamentele, scrivere un rapporto era come redigere un testo sacro: non si poteva lasciare senza finirlo, cascasse il mondo. Il conflitto tra le due mentalità creava spesso nervosismo nel superiore e frustrazione nel sottoposto che più volte aveva pensato di chiedere un trasferimento dalle parti di Cavarzere, o su di lì, per tornare a fare il proprio dovere con la serena disciplina che, vicino all’imprevedibile maresciallo, era la cosa della quale sentiva maggiormente la mancanza. “Comandi!” “Era ora…! Prendi la macchina che dobbiamo andare in Chiesa.” Comandi…deve confessarsi?” “Oh mammamia, questo sembra sempre caruto a rint o lietto (caduto dal letto). No caro, la coscienza mia è linda e pinta come un lenzuolo fresco di bucato. Ha telefonato il parroco che pare abbia trovato un morto ammazzato vicino all’altare.” “Maria Verzine Benedeta!” Esclamò il carabiniere Predolin. “Esattamente. – ribattè Viglietti – Dobbiamo andare, iamme bell!”  Meno di dieci minuti e la Benemerita si presentò sul luogo del delitto. Il Parroco, dopo aver steso un pietoso lenzuolo sul corpo dello sconosciuto, si era raccolto in preghiera sull’inginocchiatoio sotto al Cuore Immacolato di Maria cercando con le sue preghiere di esorcizzare il demonio che aveva fatto irruzione nel Sacro Luogo ed accompagnare l’anima del povero defunto. Così lo trovarono i militari, affranto e sconvolto, ancora incredulo per ciò che era avvenuto praticamente sotto i suoi occhi. “Buongiorno, sia lodato…e così via.” Si presentò salutando il maresciallo, non avvezzo alle formule d’uso quando incontrava un religioso. “Allora, cosa è successo qui?” “Maresciallo mi dispiace averla disturbata a quest’ora di notte, ma…venga, venga a vedere!” Con aria contrita, don Biagio condusse la piccola processione, formata da lui stesso e dai due carabinieri, lungo la navata principale fino alla cappella laterale dove il bianco del pietoso sudario spiccava sulla pietra rossastra del pavimento. Viglietti si chinò per scostare il lenzuolo e scoprì il corpo. Si trattava di un uomo, della presunta età di una cinquantina d’anni, con un abito formale che sembrava di buon taglio e scarpe eleganti. Giaceva supino, tra la fila dei banchi ed un piccolo altare devozionale con il quadro di un santo, con le braccia lungo i fianchi e le gambe leggermente divaricate. La causa della morte era evidente: il cranio risultava sfondato nella parte posteriore, ed una notevole quantità di sangue si spandeva sotto la testa formando piccoli rivoli negli interstizi dei lastroni del suolo. Il maresciallo controllò l’ora: le una e trenta antimeridiane. Per fortuna (?) quella sera si era trattenuto in ufficio, insieme all’appuntato, per completare una pratica rognosa da inviare con urgenza al Comando quando aveva ricevuto a telefonata del prete. Così era arrivato con la massima tempestività, dando prova della proverbiale efficienza dell’Arma. Il maresciallo, con la punta delle dita, sbottonò delicatamente la tasca posteriore dei pantaloni dove un evidente rigonfio faceva supporre fossero riposti i documenti dell’uomo. Prese il portafoglio che sembrava essere di vero coccodrillo e, dopo aver notato come fosse ben fornito di contante, ne tirò fuori la patente e un biglietto da visita che spuntava da uno scomparto. “Vediamo…qui dice che il tale si chiamava Pietro Lucchetti, licenza rilasciata dalla Motorizzazione di Roma. Il biglietto da visita…uhmm…Lucchetti…AZZ!!!: Ufficiale Prefettizio Delegato alla Provincia di Roma. Un morto eccellente!” “Dobbiamo chiamare i ROS?” Il solerte Predolin si stava agitando per il suo primo vero caso d’omicidio e per la figura della vittima che sembrava essere importante. “Stai calmo. Prima avvisiamo la Centrale per avere Scientifica e Medico Legale, poi vedremo il da farsi. Non sia mai detto che non siamo in grado di gestire la situazione.” Con calma e autorevolezza il Viglietti dette il via alla macchina investigativa e da lì a poco la pace della Chiesa venne sconvolta da quello che sembrava il set di un telefilm della serie C.S.I.
Nel salone di parrucchiere (pour dame e uomo) della Kathia la notizia di un tanto efferato crimine, commesso a non più di cinquecento metri di distanza, rimbalzava da una poltrona all’altra con le clienti che facevano a gara a proporre supposizioni e domande che non potevano avere alcun riscontro. Le postazioni erano tre: la prima occupata da una permanente e tinta, in persona della signora Tina, casalinga di mezz’età; in quella di mezzo sedeva la signora Adele al momento impegnata da una ceretta anti irsutismo che le ricopriva una vasta parte del volto e, nella seduta in fondo, una rotondetta signora Clara che si era portata la fotografia, strappata da un giornale, della cantante Amy Winehouse per far ricopiare la sua acconciatura “a cofana”. Essendo quest’ultima di statura più che modesta, supponeva che i capelli raccolti verso l’alto le conferissero slancio, e non voleva assolutamente cambiare idea anche a fronte delle argomentazioni contrarie della parrucchiera che, velatamente e con molto tatto, le aveva fatto intendere come, insistendo con quella pettinatura, esistesse il serio rischio di incappare nell’effetto “teiera”. “Non può essere stato uno del paese. – Disse la Tina – Quello nessuno lo conosceva ed era chiaramente un forestiero, magari un turista.” “Ma va’! – le rispose Adele che, essendo abbonata SKY da molti anni, non si perdeva un telefilm poliziesco. – Pensi che sia capitato in Chiesa per caso e abbia sbattuto la testa contro un candelabro? Sei ingenua, secondo me è un regolamento di conti.” “Ragazze, -intervenne la Clara – tenete presente che il morto era una personalità. Per me c’è sotto una rivalità politica.” Ovviamente erano parole in libertà e la Kathia stava a sentire divertita quelle che, con tutte le ragioni, le sembravano solo sciocchezze. Ma anche nella mente della parrucchiera non mancavano gli interrogativi, alimentati dalla sua proverbiale curiosità e dagli agganci privilegiati di cui sapeva di poter usufruire essendo buona amica del maresciallo Viglietti. L’omicidio era quasi una provocazione per lei che altre volte aveva contribuito a risolvere casi di cronaca più o meno nera. Doveva andare dal militare per convincerlo di metterla al corrente dei particolari del caso. Sapeva come fare. Finì di lavorare sulle clienti e poi prese eye liner, rimmel e rossetto per prepararsi a vincere un’eventuale resistenza da parte delle forze dell’ordine.
“Vittorio, - la Kathia chiamò il marito per avvertirlo – chiudo il negozio e vado fare delle commissioni. Se faccio un po’ tardi, prepara tu qualcosa per cena. Ci vediamo dopo.” La fedele Panda 4 X 4 condusse la parrucchiera su per i tornanti che da Borgo Carige portavano a Capalbio, mentre la guidatrice era in dubbio se slacciarsi anche un altro bottone della camicetta. Ma forse sarebbe stato troppo. “Assolutamente no!” Il Maresciallo fu perentorio. “Non ti posso dire niente. Le indagini sono in corso, c’è il segreto istruttorio e se si viene a sapere che m’è scappata qualche notizia la mia prossima destinazione sarà la caserma di Macomer: Sardegna profonda.” “Però, che amico…” Slash, slash: fu questo il rumore delle ciglia sbattute con aria birichina dalla parrucchiera in cerca di indiscrezioni. “Pensavo che tra noi ci fosse più confidenza. Evidentemente…mi sbagliavo.”  “Sì, scusami, ma ti sbagliavi. Sai quanto mi…vabbè, ma quando la vittima è un agente del SISDE…ecco, m’è sfuggito. Non lo dovevo dire. Hoèèè uagliona, se ti lasci scappare una parola…” “Marescià, comm site scucciante.” Dicendo queste parole la Kathia non potè trattenersi da mettere la mano sul fianco con aria sdegnata e, meglio della Lollo nei confronti di De Sica, si voltò incamminandosi ancheggiando verso la sua autovettura.
Ehhh, ma non la conosceva. Non c’era niente di meglio che una porta chiusa per far desiderare alla donna di sapere cosa ci fosse al di là. E poi quell’accenno ai servizi segreti apriva una tale gamma di scenari avventurosi che improvvisamente la Kathia si vide nei panni di Pussy Galore, Kissy Suzuki o addirittura Teresa di Vincenzo. Per gli sprovveduti che non fossero fan di James Bond, le sopra citate signore sono le eroine di 007, e la parrucchiera, avendo letto tutti i libri di Ian Fleming da “Casino Royal” a “Octopussy”, aveva spesso fantasticato di immedesimarsi in quei personaggi pieni di fascino. Ovviamente a Borgo Carige era improbabile imbattersi in Goldfinger o nel Dottor No, ma chissà che dietro al delitto in Chiesa non si potesse celare la mano della SPECTRE. Tornando coi piedi per terra, la Kathia decise di fare un altro tentativo per saperne di più sull’omicidio andando a parlare con la sola altra persona che poteva rivelarle qualche particolare: don Biagio.
Il religioso non sapeva come comportarsi. Nel Codice di Diritto Canonico era riportato che se in Chiesa fosse stato commesso un atto di sangue o di violenza, La casa del Signore doveva essere riconsacrata con l’intervento del Vescovo e, fino a quel momento, dovevano essere sospese le funzioni pubbliche. Ma non si parlava della somministrazione dei Sacramenti. Nell’agenda del parroco erano previsti per quella settimana due battesimi e la cresima di un adulto che si doveva sposare. E poi, tutte le mattine, si presentavano donne desiderose di confessarsi. Cosa doveva fare? Sospendere tutto e magari mettere a rischio qualche anima o continuare nel suo compito pastorale? Rimuginava tra sé il dilemma quando: “Eccone un’altra.” Si disse vedendo una figura femminile avvicinarsi. Don Biagio si trovava proprio vicino ad un confessionale e non aveva cuore di allontanare quella povera pecorella che con aria tanto contrita ed un atteggiamento di santa modestia gli si stava avvicinando. La Kathia aveva indossato la sua gonna più lunga e si era messa un foulard sui capelli come neanche la più beghina delle fedeli ancora usava portare. “Padre, mi devo confessare” “Vieni figliola. Inginocchiati lì” A don Biagio sembrava di aver riconosciuto nella donna la parrucchiera del paese, ma quella non era certo una devota praticante e l’aria dimessa sicuramente non le apparteneva. Forse la penombra lo aveva ingannato e si trattava di una penitente occasionale. “Da quanto tempo…” <se glielo dico, gli prende un colpo> “Non ricordo, Padre.” “Dimmi, per cosa chiedi perdono al Signore?” <Da dove comincio? Devo dire tutto tutto? Andiamo per gradi.> “Non sono andata a qualche Messa, ho detto qualche bugia, ho parlato male di qualcuno.” “Altro?” <Vabbè…> “Ho commesso peccato di desiderio e qualche atto impuro.” “Ahhh, immaginavo. E, figliola, quali sono stati, quanti sono stati e con quale frequenza hai commesso questi atti impuri? Eh?” La Kathia qualcosa disse, certe cose omise e altro sorvolò cercando di essere mediamente sincera. Mentre si confessava la donna pensava anche a come portare il prete a parlare dei recenti avvenimenti. Non era facile passare da un elenco di mancanze morali, o supposte tali, al fatto di cronaca. Poi, visto il luogo santo, le venne l’illuminazione. Finito di dire l’atto di dolore, mentre si accingeva ad alzarsi, disse buttandola lì: “Reverendo padre, non è per caso che le seve una perpetua che le curi la casa? Vede, mi trovo in una situazione difficile e se lei mi assicurasse un pasto caldo al giorno io mi potrei impegnare per mezza giornata a pulire e sistemare la canonica.” La proposta lasciò stupito il prete e gli confermò ancora una volta di come fossero infinite le vie del Signore. “Beh figliola: si può fare. Potresti cominciare da domattina, se per te va bene.” “D’accordo reverendissimo. A domani.” Così dicendo la donna si allontanò dalla Chiesa preparando i suoi piani di circonvenzione. La prima cosa era non farsi riconoscere. Quel pomeriggio, complice la semi oscurità, era andata bene, ma l’indomani col sole le cose sarebbero cambiate. Non a caso uno dei periodi di maggior lavoro per la parrucchiera coincideva con la festa di Halloween. In quei giorni c’era la fila fuori dal negozio per farsi acconciare, ma soprattutto truccare, e tanti giovani entravano in forma umana e uscivano con le sembianze di zombie tanto ben mascherati che erano capaci di spaventare anche i familiari. Questa volta avrebbe provato su se stessa. Non sarebbe arrivata al punto di sembrare uscita da una tomba, ma con una bella parrucca bianca, rughe finte e occhiali era abbastanza certa di rendersi irriconoscibile. Il tutto andava completato con un cuscino sotto la veste per infagottarsi e con il fazzolettone della nonna, che aveva trovato in fondo al canterano, a coprire metà testa: perfetto! Ci vollero tre mattinate di fatica e chiacchere per entrare in confidenza col prete, e poi finalmente la donna, sotto mentite spoglie, riuscì a portare il discorso dove voleva. “Certo che ultimamente ne sono successe di cose, vè?” “Oh, cara Rina – pseudonimo assunto dalla Kathia per recitare la sua parte – Il Signore ha voluto mettere alla prova la mia pazienza e la mia fede. Se ti riferisci al delitto in Chiesa, in nomine Patris et Filii…, io credo che Satana si sia manifestato.” “Mi racconti, padre. Si sfoghi.” “Cara, carissima, cosa devo dirti? Ho solo trovato quel pover’uomo stramazzato al suolo in un bagno di sangue.” “Ha notato qualcosa di particolare che magari l’ha colpita?” “No figliola, ero troppo sconvolto. Anzi ti dirò che l’impressione è stata tanta che ancora, a volte, quando la sera vado in Chiesa per le orazioni mi sembra di vedere un’ombra tra le navate, una specie di presenza. Controllo sempre, ma non trovo nessuno. Certamente è la mia immaginazione o il demonio che ancora si aggira da queste parti.” “Mi dica: quest’ombra capita spesso?” “Oh benedetta, quasi tutte le sere, ed è curioso come sia sempre la stessa ora. Poi più niente, né prima né dopo.” La Kathia drizzò le orecchie, eufemisticamente, e le venne un sospetto.
Poteva essere pericoloso, ma lì stava il divertimento. Padre Biagio incontrava le sue ombre alle diciannove e per quell’ora la Kathia si nascose dietro un grande pino che fiancheggiava il sagrato della Chiesa. Voleva verificare se quelle del prete fossero solo paranoie o se c’era sotto qualcos’altro. In quel periodo dell’anno la notte calava presto e, dietro l’albero, la donna, invisibile nelle tenebre, aveva una prospettiva ideale sul portone principale del tempio e sui dintorni. Avrebbe sicuramente visto una macchina avvicinarsi o qualcuno che si fosse aggirato nei paraggi. La parrucchiera era sempre stata scettica riguardo le storie di presenze soprannaturali o di sensazioni oscure. Tendeva a pensare che se si avvertiva un’intrusione, il più delle volte era perché si era udito un rumore o visto qualcosa. Quindi, a meno che il prete non fosse in stretto contatto con l’aldilà, anche le sue impressioni dovevano derivare da un segnale reale. Non dovette aspettare molto. Quasi gli sfuggiva, ma per un breve momento si stagliò chiaramente contro il muro giallino della Chiesa una figura con una specie di soprabito scuro che, dall’angolo dell’edificio, scivolava verso l’entrata. “Eccoti spettro di Banquo. Puntuale e in carne e ossa. Devo avvicinarmi.” In certi momenti l’adrenalina va alle stelle e si compiono azioni che, ripensate successivamente, appaiono pazzie inconcepibili. La donna lasciò il suo rifugio e, cercando di volare sul ghiaietto dello spiazzo, si accostò al portone. Aprì di uno spiraglio la porta che, per fortuna, era oliata e perfettamente bilanciata sui cardini in modo da non provocare alcun rumore. Sporse la testa all’interno e vide. Non era la fantasia di don Biagio, c’era effettivamente una persona che, china verso un pilastro della Chiesa, stava frugando nella cassetta destinata alle elemosine. Non dava l’idea di un barbone e non poteva essere un ladro che veniva tutte le sere per non trovare niente da rubare. E poi il parroco non aveva mai denunciato furti di alcun genere. No, quello cercava altro, che evidentemente non trovava, sera dopo sera.
“Insomma, Viglietti, tu e i tuoi uomini vi appostate come ho fatto io. Prendete l’uomo e l’interrogate. E, se fate così, non caverete un ragno dal buco.  Certamente dovrà darvi qualche spiegazione, ma non avrete uno straccio di prova che quello sia collegato al delitto. Invece, senti un po’ che farei io al posto tuo…” Il maresciallo ebbe la saggezza e l’umiltà di seguire il suggerimento della parrucchiera e non arrestò subito il sospetto, ma lo fece seguire ed identificare. Venne fuori che era un addetto all’ambasciata di un paese del sud est asiatico e che la cassetta delle elemosine fungeva da “buca delle lettere” per i messaggi che si scambiava con i rappresentanti di una organizzazione terroristica che si stava attivando sul territorio. L’agente dei servizi segreti aveva scoperto tutto e, quando aveva cercato di fermarlo, il malvivente l’aveva aggredito colpendolo a morte.
Da “Il Tirreno” del giorno dopo: “Sgominata un’organizzazione terroristica collegata con spie dell’est. – I Carabinieri messi sulla pista giusta dall’intraprendenza di una nostra concittadina. – Chiarita la dinamica dell’omicidio in Chiesa – “La Kathia gongolava ricevendo le congratulazioni dei paesani e dello stesso Sindaco. Aveva vissuto una parte simile a quelle viste nei film e, anche se Viglietti non si poteva paragonare a Sean Connery e lei non somigliava affatto a Ursula Andress, il piccolo Borgo Carige per un momento si era trasformato magicamente in Manhattan.
Don Biagio è ancora alla ricerca di una perpetua che lavi, stiri e sappia cucinare.


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