Non c’erano
molti soldi nella casa della mia infanzia. Io crescevo accanto al fuoco del
camino, ma fuori l’inverno mordeva la natura. Avevo un quaderno, il libro di
scuola e le scarpe vecchie per uscire la mattina, ma la giacchetta che mi aveva
accompagnato l’anno prima, adesso risultava corta di maniche e quasi non si
abbottonava sul davanti. Mamma sapeva di questo problema e l’aveva scritto a
mio padre che, dal nero di Marcinelle, le aveva risposto di aspettare Natale.
Ma io non potevo andare a scuola senza coprirmi e non volevo andarci con quella
giacchetta che mi faceva assomigliare ad un burattino. Allora lei prese una
scatola dove aveva riposto degli stracci avanzati da vecchie coperte e tovaglie
e, con pazienza, si mise a cucire. Creò dal nulla un cappotto di mille colori,
ma a me non piaceva. “Provalo, figlio mio. E guarda: c’è l’azzurro del cielo,
il blu del mare, il giallo del sole. E poi, vedi qui nell’angolo, il marrone
che ricorda la terra che ci nutre con i suoi frutti; una manica è fatta di
juta, come i sacchi di grano che ci danno il pane e l’altra è lana morbida come
le coperte che ti scaldano il sonno. Dietro c’è una stoffa di un pantalone di
tuo padre perché qualcosa di lui ti possa accompagnare, e sulle spalle ho
cucito un vecchio mio scialle che ti possa sempre abbracciare. Lo so può
sembrare vivace, ma ricorda la bellezza dell’arcobaleno e la pazzia della
fantasia. Non ti farà sembrare come gli altri e, anzi, parlerà della tua voglia
di distinguerti, della tua creatività e della superiorità che mostrerai nei
confronti dei maligni commenti di qualche compagno che non capirà. Sarà la
bandiera della tua individualità, sarà la pietra di paragone per il conformismo
degli altri. Ricorda che ogni straccio è stato cucito con i punti del mio amore
e che mai nessuna cifra potrà comprare quello che il tuo cappotto contiene.” Lo
indossai e ne fui fiero: fui orgoglioso del cappotto di mille colori che mia
madre aveva cucito solo per me.
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