venerdì 28 giugno 2019

Le sorelle


-Ragazzi, attenzione! Sono arrivate le Gibellini. – I cosiddetti ragazzi erano quattro attempati signori seduti attorno al tavolino di un bar, e chi aveva parlato era un loro coetaneo che sembrava essere il caporione della combriccola. Si chiamava Gibbo, Gianbattista per l’anagrafe, e siccome era riuscito a rimanere scapolo nonostante gli agguati delle donne del paese nettamente in maggioranza rispetto ai maschi, vantava una superiorità morale dettata da quello che lui diceva essere un carattere libero e indipendente. Avere poi intrattenuto per lungo tempo una relazione segreta, a tutti nota, con una donna sposata di un paese vicino, gli dava quel tocco trasgressivo e cosmopolita che, in un borgo di poche anime, lo rivestiva di un “glamour” altrove ingiustificato. Si era messo in pensione più o meno a quarant’anni quando una modesta eredità gli aveva permesso, con il massimo sollievo, di tirare in barca ogni possibile remo. Da allora la sua principale occupazione era stata di impicciarsi dei fatti altrui, con grande divertimento suo e di coloro che, a turno, non ne erano il bersaglio. Dalla sua esclusiva postazione presso il Bar dello Sport nella piazza principale del paese, il vecchio signore osservava, chiosava e commentava ogni avvenimento partendo dalla vita della piccola comunità fino a spaziare nei massimi sistemi del governo nazionale o della politica estera. Nessuno, da Trump alla vecchina in chiesa, si salvava dai suoi giudizi caustici ed impietosi, ma spesso arguti e perciò molto ascoltati. Gibbo ci sapeva fare e la sua finta bonomia induceva spesso qualche sprovveduto a metterlo a parte di confidenze personali a condizione che rimanessero segrete. Lui spergiurava di essere una tomba, ma poi girava le notizie sottobanco al momento giusto, non tanto per malizia quanto per il puro divertimento di agitare le acque chete di un paese che, affermava, gli andava troppo stretto.
-Perché hanno sempre quell’aria funerea? – Chiese l’amico “Aperol con scorzetta”.
-Non conoscete la storia? – Disse Gibbo accomodandosi bene in vista del racconto. –Se promettete di tenerla per voi, ve la racconto e capirete.
-Vai avanti. -  Lo incitò “vin santo e due cantuccini”.
-Bene. Le Gibellini, lo sapete, vivono da sempre in maniera molto modesta, hanno poche disponibilità economiche e si arrabattano come possono. Però, qualche tempo addietro, capitò loro quella che sembrava una fortuna insperata. Una vecchia zia, molto bigotta, rimase vedova entrando in possesso di una vera e propria fortuna fatta di contanti, immobili e titoli di stato. Loro due, le Gibellini intendo, sono le uniche future eredi della signora, salvo un altro cugino che vive lontano. Quindi erano tutte eccitate nella prospettiva, un domani la zia fosse passata a miglior vita, di scrollarsi di dosso un’esistenza fatta di stenti e concedersi finalmente qualche lusso. Avevano fatto i loro calcoli. L’ammontare del patrimonio diviso fra loro due sarebbe stato veramente una manna dalla quale attingere senza più patemi d’animo. In realtà avrebbero dovuto dividere per tre, ma spartire quello che il destino aveva loro riconosciuto a compenso di tanto sacrificio, sembrava quasi una bestemmia.
-Ho capito. – Intervenne “caffè corretto” -  Però la legge è legge. Il cugino aveva tanto diritto quanto loro. O no?
-Certamente. – Riprese Gibbo. – Ma dopo tanta fame la voglia di saziarsi è senza limiti. Comunque le sorelle pensarono come potessero fare per dirottare dall’asse ereditario il cugino sgradito e, dopo lungo arrovellamento, ad una venne l’idea geniale.
-Ma và? – “Un gelatino solo frutta” che fino a quel momento era stato zitto, dette il segno della sua presenza subito ripreso da “caffè corretto” che era sempre il più nervoso di tutti:
-Vuoi tacere? Sempre a dire la sua col gelatino in mano. Statte zitto! Continua Gibbo.
-Dicevo: un’idea geniale. La zietta era tutta casa e chiesa, aborriva qualsiasi debolezza della carne e resisteva ad ogni tentazione del demonio. Non era indulgente con se stessa né tantomeno con gli altri dai quali pretendeva moralità e decenza. La montagna di soldi dei quali disponeva rimaneva perlopiù integra visto che per le proprie necessità bastavano pochi spicci subito compensati dagli interessi sugli investimenti. Mentre, e qui casca l’asino, il cugino era uno scapestrato di prim’ordine. In particolare uno scialacquatore da primato, uno che amava giocare al Casinò dove era sempre accolto a braccia aperte e saluto come un affezionato perdente. Come poteva una donna tanto morigerata pensare di lasciare una parte dei suoi averi a qualcuno che li avrebbe dilapidati senza alcuna remora ed in breve tempo?
-Remora? Ma non è un pesce? – Gli interventi di “Cucciolone” erano sempre fuori luogo, ma era rimasto un bambinone e veniva perdonato. Gibbo non se ne curò, continuando:
-Quindi, pensarono, se la vecchia avesse visto da vicino come viveva il nipote, ne sarebbe rimasta sconvolta escludendolo all’istante dalla propria successione. Progettarono un piano. Avrebbero convinto l’anziana parente a fare un viaggio a Saint Vincent con la scusa di andare a trovare la Superiora di un convento nelle vicinanze che si diceva in odore di santità. Poi, sul posto, con qualche inganno, avrebbero trascinato la zia al Casinò dove stazionava quasi perennemente il cugino. Lei avrebbe visto l’abominio di un comportamento scellerato ed irresponsabile e, sconvolta, avrebbe abbracciato le Gibellini disconoscendo la demoniaca parentela.
-Sembra perfetto. – Disse “prosecuccio”
-Anche a loro sembrava perfetto e, vi dirò, non ebbero nemmeno tanta difficoltà a mettere in atto i loro propositi. La zia, forse annoiata, si convinse subito e tutte insieme partirono per la Valle. Una sera, non so con quale pretesto, le tre pie donne entrarono nello sfavillante Casinò de la vallée. Non vi dico l’impressione. Gli stucchi, la bella gente, le risate, il rumore dei bicchieri e il richiamo dei croupier, tutto improvvisamente le aveva fatte precipitare in un mondo fino ad allora ignoto e misterioso. Le sorelle, mentre cercavano con lo sguardo il cugino rimanendo prudentemente in disparte dalla folla, si accorsero di un fenomeno inaspettato e strabiliante. La vecchia zia sembrava aver ripreso vigore. Gli occhi scintillanti, le guance rubizze, un fremito d’eccitazione. “Voglio provare” disse e con fare incerto ma resoluto, si avvicinò al tavolo della roulette. – Qui, solo per amore del “coupe de theatre”, Gibbo si tacque aspettando qualche reazione da parte degli amici. Dopo un momento di silenzio, una macedonia di gelato, aperol e caffè esplose tutta insieme:
-Allora?
-Allora accadde quello che le Gibellini non avevano previsto. La zia fu contagiata dal vizio e si fermò nel paese valdostano per più di un mese andando tutte le sere a giocare. Praticamente nacque una seconda volta. Scoprì che nella vita c’è anche un lato giocoso e folle e che spesso è quello più divertente. Non solo, capì che i soldi sono un mezzo, ma il fine è la felicità.  – Per la prima volta prese la parola un “bourbon con ghiaccio”:
-Concludi. – Disse quasi imperiosamente.
-Lo vedete da soli. Le Gibellini stanno sempre più avvilite rimproverandosi di aver creato una macchina mangia soldi al posto di una zia sparagnina. L’avidità di non voler spartire la futura eredità rischia di privarle di qualsiasi lascito dopo che zia si sarà giocata anche la camicia. In definitiva: chi troppo vuole nulla stringe. Non so neanche se mi fanno pena.

Il sole era al tramonto sulla piazza del paese. Le attività commerciali, a mano a mano, tiravano giù le saracinesche ed ai the con pasticcini si stavano sostituendo gli spritz con patatine.  





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