La vecchiaia
è come una grande nevicata che ricopre ogni cosa. Lo strato bianco si posa sui
capelli e sui prati, avvizzisce la pelle e secca le foglie, spenge gli
entusiasmi e soffoca le gemme. La vecchiaia è una mano che vela gli occhi, un
peso sulle spalle, un gioco che nessuno vorrebbe giocare, una voce melliflua e
falsa che soffia nelle orecchie. E’ un giro di carte dove la posta è sempre
tutto quello che si possiede, un’allucinazione resa reale, una condanna
immeritata. E’ un inganno accettato, una vile compagna che si approfitta della
rassegnazione, la facile scappatoia di verità scomode. La vecchiaia è una
compare mendace che porta su strade che conducono ad un’unica meta, s’impone
senza essere stata invitata, dà consigli che favoriscono solo lei e cresce ogni
giorno nutrita dalla mancanza di speranza. Ogni rinuncia è una vitamina che la sostenta,
la sfiducia è per lei un balsamo, cinismo e pessimismo sono i suoi doni. Si giustifica
col fatto di essere inevitabile e si vanta di essere desiderata da coloro che
non hanno il coraggio di ripudiarla. In cambio del tempo, pretende sempre di
più; impone una resa incondizionata a fronte di una pace letale che tutti
accettano, rassegnati e stanchi. Ma la neve non ha ucciso i semi nel terreno,
li ha solo spinti verso uno strato più profondo. Quei piccoli concentrati di
vita dove tutto è compreso senza niente tralasciare, rimangono nascosti, minuscoli
insignificanti granelli dove si rispecchia l’universo. Protetti da una buccia
sottile tramandano il proprio codice genetico e, forse, con esso tanti racconti
quanti erano stati i calici che li avevano generati. Ugualmente la vecchiaia
sopisce la memoria, a volte la confonde, ne oscura alcuni tratti, ma non riesce
a cancellarla. Ottunde ed inasprisce i caratteri, ma l’ocra di una foglia
d’autunno è solo la nuova sfumatura di un verde passato di moda.
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