domenica 10 gennaio 2021

Maria

 

“Sentir-me triste só por me sentir tão bem” Mi disse una sera, e io non la capivo. La sua voce dal tono basso e un po’ nasale, quelle parole dal suono gutturale e musicale nello stesso tempo, mi ammaliavano anche se erano una barriera tra me ed i suoi occhi. Mi diceva con lo sguardo più di quello che ero pronto a sentire e nel fondo dello specchio della sua anima vedevo ardere passione ed ironia come una sfida da raccogliere o fuggire all’istante. Si muoveva come sul filo di una melodia dolce e triste, un fado antico che narrava di una vita in bilico tra felicità e tristezza. Un gesto lento delle mani a ricordare le onde, i capelli a velare il viso e il mistero della lontananza di chi le stava vicino. Era un invito o una preghiera, oppure un rifiuto e un’imposizione per restare o andare via? “E lamentasse não ter mais nenhum lamento” C’era rassegnazione nelle sue parole e nello stesso tempo una disperata voglia di vivere, la richiesta di un appiglio per smentire i suoi stessi pensieri. Sembrava provasse un perverso piacere nel crogiolarsi in un dolore evocato e sublimato in dolci e melodiose parole. La presi per mano e uscimmo da quel locale nascosto in un vicolo dell’Alfama e prendemmo il tram che si inerpicava verso il Barrio Alto. Non le avevo neanche chiesto come si chiamasse e lei non lo aveva domandato a me. Nella mia romantica illusione avrei voluto che le parole non fossero necessarie, che bastasse una sincronia del cuore, un odore e una lacrima. Ridevamo mentre il vecchio convoglio per turisti ci sballottava percorrendo curve strette tra palazzi fatiscenti di quella vecchia città, e sentivamo i nostri corpi ubbidire a leggi non scritte che sembrava impossibile ignorare. “Maria,” pensavo “ti amo.” Ma non sapevo il suo nome e neanche come dirlo. E forse non era neanche vero, per nessuno dei due. Ci fermammo in Rua Garrett, prendemmo un dolcetto al caffè e con le briciole demmo da mangiare alla statua di un poeta che anche in effige dovette sopportare altro oltre quello che aveva patito in vita. Ci tenevamo per mano e ogni tanto le sussurravo all’orecchio parole nella mia lingua che sapevo lei non avrebbe capito. Ma erano dolci e lei assaporava tutta la mia emozione ricambiandomi con rapidi, timidi, sorrisi. Poi, così com’era apparsa, se ne andò. Si staccò da me dicendo: “Ai que alegria, esta tão grande tristeza!”. Non capii e non ho mai capito, ma quando ascolto un fado rivedo gli occhi ridenti e tristi di quella Maria che non si chiamava così.

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