mercoledì 14 gennaio 2015

Chi ha orecchio...

“E’ uno di quei giorni in cui rivedo tutta la mia vita: bilancio che non ho quadrato mai…” La Kathia canticchiava sottovoce la vecchia hit della Vanoni mentre con una mano stendeva la ciocca della signora seduta avanti a lei, e con l’altra dava veloci e mirati colpi di phon.  Il mestiere di parrucchiera le piaceva molto, ma ogni tanto s’assentava con la mente, mettendo il pilota automatico, per i lavori che quotidianamente doveva ripetere. Pensava alla figlia, sull’orlo dell’adolescenza, ovvero sull’orlo del baratro, che incominciava a fare richieste alle quali né lei né, tantomeno, suo marito sapevano come rispondere. Si erano opposti all’acquisto del motorino, tanto in paese non serviva e le era vietato allontanarsi senza essere accompagnata da un genitore. Avevano rintuzzato la smania di indossare sempre i leggings, potevano andare solo in alcune occasioni. C’era stata una scenata apocalittica con grave rischio per le coronarie del povero consorte, quando, per sfida, la piccola aveva annunciato che avrebbe accompagnato ad Orbetello un’amica che si voleva far fare un pircing e anche lei…chissà? Insomma, tutti i giorni la giovane ribelle poneva nuovi ostacoli alla tranquillità domestica inventandosi sempre nuove sfide per fiaccare la resistenza dei parenti che, sebbene appena sulla quarantina, lei vedeva come antiquati e dispotici. Ma non solo la figlia era oggetto di riflessione, anche quel bel tipo del marito che ultimamente, non si sa perché, si era iscritto alla palestra di Magliano. “Ora, innanzi tutto – pensava -  se hai la smania di veder nascere un bicipite laddove c’è un piattume moscetto, puoi andare alla palestra in paese gestita da don Gino nei locali attigui alla canonica: sta dietro casa e non ti costerebbe quasi niente. Poi, la tua massima attività sportiva sono stati sempre, al massimo, i quattro calci al pallone con gli amici, e adesso t’è presa la voglia del “Fittenesse”? Ummmhhh…mi dovrò preoccupare? Vedrai che se continua, io vado, vado, vado…a fare Pilade, no Pilato o come accidenti si chiama quella ginnastica che fa la Bice a Orbetello. Bada bene: due/tre volte a settimana dalle nove alle dieci di sera …m’intendo?” E non solo questi erano i suoi pensieri, fino a quando: “Oh la Kathia, che te tu voi tostarmela a puntino codesta ciocca? I so’ cinque minuti che la stai passando e ripassando. Te tu ti sei addormentata?” La signora Concetta che, a dispetto del nome, era maremmana al cento per cento, richiamò perentoriamente la parrucchiera al suo dovere. “Evvabè, scusa, ma qui c’è un nodo, un lo vedi?” Bluffò Kathia nascondendo la momentanea negligenza.
Era un momento così. Dopo tant’anni di matrimonio, sommati a quelli di fidanzamento, con il Vittorio, suo marito, La Kathia stava passando un periodo di stanca. Non si può sempre vivere con i cuoricini che escono dagli occhi, e la rutine del lavoro sommata a quella della gestione della casa, sembrava Diavolina buttata sulle piccole braci dell’insoddisfazione per farla divampare e bruciare tutto. Lei, a mente fredda, non aveva delle reali ragioni per lamentarsi, ma sentiva che la gabbia della famiglia, del lavoro, del paese e del suo destino l’aveva imprigionata, forse per sempre. Ormai non poteva più avere l’illusione di andare a vivere a “Nova Yorke” o semplicemente a Roma. Doveva abbandonare il sogno di essere protagonista di un amore romantico e travolgente, come in “Vento di Passioni”, ed accontentarsi della realtà.
Un mattino di sole, quando anche Borgo Carige acquistava in bellezza illudendosi di essere Saint Tropez, la Kathia si sedette sulla panchina fuori dal negozio. Approfittando di un momento di pace nel lavoro e lasciando all’Antonella, la sua aiutante, l’incombenza di rispondere ad eventuali telefonate, la parrucchiera si accese con voluttà la seconda sigaretta della giornata all’ombra del vecchio tiglio che riparava dalla calura. Nel silenzio del vicolo di paese, in quell’angolo riparato, le ombre tremolati delle foglie e gli sprazzi di luce creavano un effetto quasi psichedelico che incantava assopendo i sensi. “Ohè, manco fosse hascisce! Se non sto attenta, mi partono i sogni e le fantasie e prendo sta panchina come un’astronave per portarmi sulle stelle”…Pausa…”Ma che bel pensiero! Se quel cinghiale di mio marito conoscesse ‘sto stonfo de poesia che c’ho dentro, vedi come mi terrebbe bona!”
Come in tutte le storie che si rispettino, nel momento nel quale la protagonista è più debole e vulnerabile, arriva il lupo cattivo. In questo caso portava la divisa. Il maresciallo Viglietti, originario di Cava dei Tirreni e comandato alla Stazione di Capalbio, aveva da tempo monitorato il territorio facendo uno screening di appetibilità muliebre e redigendo un personale rapporto di abbordabilità a fini personali e non di servizio. Trentacinque anni, capelli neri gellati all’indietro, trentadue denti bianchi esibiti il più spesso possibile, sottotacchi di cinque centimetri a nascondere il suo unico deficit, si sentiva un tomber de femme o, nel suo dialetto, un vero e proprio “sciupafemmine”. La Kathia non era nella prima fascia di obiettivi, nella quale primeggiava la figlia della tabaccaia: venticinque anni di coscia lunga ed occhioni vellutati, ma aveva un che di “sfriccicoso” e quell’aria di “usato garantito” che era forse maggiormente appetibile dell’acerba giovinezza. Quella mattina dopo aver sorbito un caffè che, a suo giudizio, meglio si poteva definire come “ciofeca”, il carabiniere decise di fermare la sua ronda presso il negozio della parrucchiera. In una piccola Stazione spesso si esce da soli e, quindi, il graduato non doveva rendere conto a nessuno delle sue soste, anche in orario di servizio. “Nu babà dint na coppa ‘e rose…Sfruculiosa comm a te nun ci sta nisciun…” Era ovvio il significato, ma Kathia fece finta di non aver capito. “Maresciallo, qual buon vento ti porta da queste parti?” Per carità verso Vittorio, non diremo che tali parole furono accompagnate da un frenetico sbattere di ciglia, dallo stringersi nelle spalle in pudico atteggiamento e dal tono di voce alla Minnie quando flirta con Topolino.  “Ero di pattuglia per un importante servizio antiterrorismo – bugia!! – ma non potevo non fermarmi a salutare la più bella parrucchiera della Costa d’Argento.” Come sono stupide le donne – N.d.A. – a non capire lo sporco gioco dei Don Giovanni (o fanno finta di non capirlo?). “Ma và! Lascia perdere i complimenti, che lo sanno tutti che ti sei perso dietro quella ninfetta della tabaccaia. Dai, siediti qui e raccontami gli ultimi efferati delitti di cui ti stai occupando.” “Bella e perspicace – ribatté il militare – In realtà c’è un delitto sul quale stiamo investigando.””Racconta.” Il Maresciallo si mise comodo, per quanto le assi della panchina lo consentissero, e si accinse a narrare le proprie audaci avventure aggiungendo un fiocco qua e là, giusto per rendere la storia più interessante. Il passante, estraneo ed obiettivo, che casualmente fosse transitato vicino alla coppia durante la conversazione, non avrebbe faticato a notare che nel racconto c’erano più fiocchi che realtà, ma non passò nessuno. “Mi trovavo comandato…- si accorse subito di aver esordito con un tono troppo burocratico, e ricominciò – Ero solo a gestire la postazione della Beneamata quando, qualche giorno fa, ricevetti una chiamata. Lasciai cadere sulla mia grande scrivania dirigenziale le cartelline aperte sulle indagini a proposito delle Brigate Rosse, del Mostro di Firenze e sull’intreccio della CIA con i Servizi Segreti nord coreani, e ascoltai con attenzione la voce disperata di una donna che implorava il mio aiuto.” Se si dovesse riportare fedelmente tutta la immaginosa pappardella che il Viglietti imbastì per far colpo sulla Kathia, non basterebbe una risma di carta. La donna ascoltava divertita e leggermente affascinata più dalla fantasia del carabiniere che dal carisma dell’uomo. Coglieva, distrattamente, una frase qua e là mentre si domandava come facesse quel degno erede di Pulcinella a muovere tutti i muscoli facciali, dalle sopracciglia alle orecchie. “…e quindi, che t’aggia a dicere, constatai il decesso per strangolamento di tale Marinella Cimbula.” La Kathia si riscosse: quel nome lo conosceva. Immaginando di essere Sophia Lorèn con Vittorio de Sica, non seppe trattenersi da interrompere l’interlocutore in questa maniera: “Tuppe, tuppe, Marescià. Fermati un momento. Mi sa che quella ragazza era mia cliente.” “O’ vero?” “Sissignore – i fianchi fremevano per esibirsi in una “mossa” da sciantosa che però venne repressa. – Aveva telefonato tre o quattro giorni fa per prenotare un taglio e colore e, ricordo, ebbi qualche esitazione nel darle l’appuntamento perché ero piena di gente.” “Poi venne da te?” “Si, in qualche modo la incastrai tra una ragazza per gli shiatush e quella signora cieca che viene regolarmente a farsi sistemare.” “Interessante” Disse il militare per lusingare con la propria attenzione la parrucchiera, anche se pensava il contrario. “Ma, raccontami, com’era la scena del delitto?” chiese Kathia. “Ti dicevo che fui chiamato da una amica della vittima che era andata a farle visita. La donna, trovando la porta della villetta aperta, aveva provato a premere il campanello. Dal mancato suono, e dall’oscurità all’interno, si rese subito conto che nell’abitazione mancava l’energia elettrica. Provò a bussare e dopo entrò cautamente, per poi scappare urlando quando vide la Cimbula stesa a terra con un laccio al collo, chiaramente morta.”  “Quindi?” “Siamo intervenuti e abbiamo rilevato come fosse stato provocato un corto circuito dall’esterno e, pertanto, sembra che il delitto sia stato commesso al buio. La cosa ci lascia perplessi e non siamo ancora riusciti a ricostruire esattamente la dinamica dei fatti.” In quel momento un richiamo venne dall’interno del negozio. “Kathia, c’è il tu marito al telefono – urlò l’Antonella – che gli devo dire, che sei occupata con…” “Oh, te sei proprio grulla, ma grulla tanto! Arrivo, ciao marescià!” La parrucchiera congedò in questo modo il carabiniere per andare a parlare con Vittorio. Fu particolarmente carina e gentile al telefono, come per farsi perdonare…niente.
Perché si ricordava di quella donna, la vittima, anche se non era una cliente abituale? La Kathia non riusciva a prendere sonno e si rivoltava nelle coperte con la ritmica compagnia del sommesso russare del marito. Si rivide mentre la faceva sedere sulla poltrona avvicinando la bacinella per fare lo shampoo. Poi, come sempre, annodò il telo intorno al collo e, delicatamente, le premette sulla fronte per accompagnare la testa verso l’acqua. Ecco cosa le fece impressione. Rovesciando il capo all’indietro, e bagnando i capelli, la Kathia aveva notato le lunghe cicatrici tutt’intorno l’attaccatura e ancora dietro le orecchie. Si era incuriosita e, osservando meglio, fece caso ai rigonfiamenti sugli zigomi ed alla strana forma del mento. In quel momento aveva pensato a come fossero stupide le donne a sottoporsi a tanti interventi di plastica facciale solo per sembrare più belle, e che lei non lo avrebbe fatto mai. Proprio questa riflessione le rimase impressa, con la fisionomia della cliente.
La Mattina dopo, sul presto, la parrucchiera lanciò la sua Panda 4X4 sui tornati della salita verso Capalbio e, parcheggiando alla bell’e meglio accanto alla pupazza della fontana, si attaccò al campanello della Stazione dei Carabinieri. Venne ad aprire proprio il maresciallo, un po’ sciupato a quell’ora. “Ohee, una stella di mattina: che cosa ecceziunala! Dopo che ti avrò offerto un caffè, fatto con la macchinetta che mi sono portato da casa, mi dirai a che devo l’onore di questa visita.” “Viglietti, non è il momento di scherzare!” “E’ successo qualcosa?” chiese il militare improvvisamente diventato serio ed allarmato dall’espressione dell’amica. “No, niente, io sto bene, ma devi dirmi una cosa.” “Se posso…” “La donna trovata morta era una collaboratrice di giustizia?” “Ma come…si, hai indovinato, ma adesso mi devi spiegare come l’hai capito e perché ti interessa.” Un sorriso si stese sul volto di Kathia, fiera di aver verificato l’ipotesi che aveva immaginato durante la notte. “Non solo questo – rispose – ma ti dirò anche chi l’ha uccisa.” “L’hai letto nei fondi del caffè?” “No, caro mio, ho solo osservato, riflettuto e, quindi, dedotto.” “Sentiamo.” “Quando venne da me a farsi lavare i capelli, notai le cicatrici della Cimbula che erano l’evidente indicazione di una pesante plastica facciale. Unite agli altri segni significavano che la donna aveva voluto cambiare completamente e radicalmente la sua fisionomia. Questo era eccessivo per compiacere la propria vanità. Stava ad indicare solamente una cosa: che voleva nascondersi cambiando faccia!” “Vai avanti.” “Allora ho capito che doveva trattarsi di una ex terrorista, o qualcosa del genere, che si nascondeva dai suoi passati complici e dalle loro vittime. Ma c’è una cosa che non aveva pensato di modificare: la voce.” “Embè?” “Accanto a lei era seduta quella mia cliente cieca e, come saprai, i non vedenti hanno un orecchio particolarmente fino. Ecco, io penso che la cieca abbia riconosciuto la Cimbula dalla voce e, sentendola, abbia rivisto l’assassina di un figlio o di una persona cara, che magari aveva udito deporre in tribunale. A questo punto sia riuscita, non so come, ad entrare nella villetta della vittima staccando la corrente, forse aiutata da un complice. Poi, nascosta al buio dentro la casa, quando entrò la vittima spaesata dall’oscurità, le sia saltata addosso e, con la forza dell’odio covato per tanto tempo, l’abbia strangolata.” Silenzio. La mascella del maresciallo era crollata in un’espressione che ricordava quella di una cernia stupita. “Beh – disse il carabiniere quando si fu ripreso – la ricostruzione è fantasiosa, ma plausibile, anche se presenta alcuni punti da chiarire. In questo caso direi…ancora oscuri (risatina), ma merita di essere verificata.” Il rappresentante delle forze dell’ordine si sentì richiamato al suo dovere e congedò rapidamente l’amica mettendosi alacremente al lavoro per le opportune verifiche.
Qualche giorno dopo “Il Tirreno” strillò così: “Il Delitto della Cieca – svelato il mistero dell’assassinio della ex terrorista – Le Autorità ringraziano una solerte cittadina per la collaborazione fornita alle indagini.” La Kathia, all’ombra del tiglio sulla panchina di fronte al negozio, inalberava un bel sorriso di soddisfazione con accanto le dieci copie del quotidiano che aveva comprato per ricordo e per compiacersi di come fosse venuta carina nella foto in cronaca.


  

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