“E’ uno di
quei giorni in cui rivedo tutta la mia vita: bilancio che non ho quadrato mai…”
La Kathia canticchiava sottovoce la vecchia hit della Vanoni mentre con una
mano stendeva la ciocca della signora seduta avanti a lei, e con l’altra dava
veloci e mirati colpi di phon. Il
mestiere di parrucchiera le piaceva molto, ma ogni tanto s’assentava con la mente,
mettendo il pilota automatico, per i lavori che quotidianamente doveva ripetere.
Pensava alla figlia, sull’orlo dell’adolescenza, ovvero sull’orlo del baratro,
che incominciava a fare richieste alle quali né lei né, tantomeno, suo marito
sapevano come rispondere. Si erano opposti all’acquisto del motorino, tanto in
paese non serviva e le era vietato allontanarsi senza essere accompagnata da un
genitore. Avevano rintuzzato la smania di indossare sempre i leggings, potevano
andare solo in alcune occasioni. C’era stata una scenata apocalittica con grave
rischio per le coronarie del povero consorte, quando, per sfida, la piccola
aveva annunciato che avrebbe accompagnato ad Orbetello un’amica che si voleva far
fare un pircing e anche lei…chissà? Insomma, tutti i giorni la giovane ribelle
poneva nuovi ostacoli alla tranquillità domestica inventandosi sempre nuove
sfide per fiaccare la resistenza dei parenti che, sebbene appena sulla
quarantina, lei vedeva come antiquati e dispotici. Ma non solo la figlia era
oggetto di riflessione, anche quel bel tipo del marito che ultimamente, non si
sa perché, si era iscritto alla palestra di Magliano. “Ora, innanzi tutto –
pensava - se hai la smania di veder
nascere un bicipite laddove c’è un piattume moscetto, puoi andare alla palestra
in paese gestita da don Gino nei locali attigui alla canonica: sta dietro casa
e non ti costerebbe quasi niente. Poi, la tua massima attività sportiva sono
stati sempre, al massimo, i quattro calci al pallone con gli amici, e adesso
t’è presa la voglia del “Fittenesse”? Ummmhhh…mi dovrò preoccupare? Vedrai che
se continua, io vado, vado, vado…a fare Pilade, no Pilato o come accidenti si
chiama quella ginnastica che fa la Bice a Orbetello. Bada bene: due/tre volte a
settimana dalle nove alle dieci di sera …m’intendo?” E non solo questi erano i
suoi pensieri, fino a quando: “Oh la Kathia, che te tu voi tostarmela a puntino
codesta ciocca? I so’ cinque minuti che la stai passando e ripassando. Te tu ti
sei addormentata?” La signora Concetta che, a dispetto del nome, era maremmana
al cento per cento, richiamò perentoriamente la parrucchiera al suo dovere.
“Evvabè, scusa, ma qui c’è un nodo, un lo vedi?” Bluffò Kathia nascondendo la momentanea
negligenza.
Era un
momento così. Dopo tant’anni di matrimonio, sommati a quelli di fidanzamento,
con il Vittorio, suo marito, La Kathia stava passando un periodo di stanca. Non
si può sempre vivere con i cuoricini che escono dagli occhi, e la rutine del
lavoro sommata a quella della gestione della casa, sembrava Diavolina buttata
sulle piccole braci dell’insoddisfazione per farla divampare e bruciare tutto.
Lei, a mente fredda, non aveva delle reali ragioni per lamentarsi, ma sentiva
che la gabbia della famiglia, del lavoro, del paese e del suo destino l’aveva
imprigionata, forse per sempre. Ormai non poteva più avere l’illusione di
andare a vivere a “Nova Yorke” o semplicemente a Roma. Doveva abbandonare il
sogno di essere protagonista di un amore romantico e travolgente, come in
“Vento di Passioni”, ed accontentarsi della realtà.
Un mattino
di sole, quando anche Borgo Carige acquistava in bellezza illudendosi di essere
Saint Tropez, la Kathia si sedette sulla panchina fuori dal negozio.
Approfittando di un momento di pace nel lavoro e lasciando all’Antonella, la
sua aiutante, l’incombenza di rispondere ad eventuali telefonate, la
parrucchiera si accese con voluttà la seconda sigaretta della giornata
all’ombra del vecchio tiglio che riparava dalla calura. Nel silenzio del vicolo
di paese, in quell’angolo riparato, le ombre tremolati delle foglie e gli
sprazzi di luce creavano un effetto quasi psichedelico che incantava assopendo
i sensi. “Ohè, manco fosse hascisce! Se non sto attenta, mi partono i sogni e
le fantasie e prendo sta panchina come un’astronave per portarmi sulle
stelle”…Pausa…”Ma che bel pensiero! Se quel cinghiale di mio marito conoscesse
‘sto stonfo de poesia che c’ho dentro, vedi come mi terrebbe bona!”
Come in
tutte le storie che si rispettino, nel momento nel quale la protagonista è più
debole e vulnerabile, arriva il lupo cattivo. In questo caso portava la divisa.
Il maresciallo Viglietti, originario di Cava dei Tirreni e comandato alla
Stazione di Capalbio, aveva da tempo monitorato il territorio facendo uno
screening di appetibilità muliebre e redigendo un personale rapporto di abbordabilità
a fini personali e non di servizio. Trentacinque anni, capelli neri gellati
all’indietro, trentadue denti bianchi esibiti il più spesso possibile,
sottotacchi di cinque centimetri a nascondere il suo unico deficit, si sentiva
un tomber de femme o, nel suo dialetto, un vero e proprio “sciupafemmine”. La
Kathia non era nella prima fascia di obiettivi, nella quale primeggiava la
figlia della tabaccaia: venticinque anni di coscia lunga ed occhioni vellutati,
ma aveva un che di “sfriccicoso” e quell’aria di “usato garantito” che era
forse maggiormente appetibile dell’acerba giovinezza. Quella mattina dopo aver
sorbito un caffè che, a suo giudizio, meglio si poteva definire come “ciofeca”,
il carabiniere decise di fermare la sua ronda presso il negozio della
parrucchiera. In una piccola Stazione spesso si esce da soli e, quindi, il
graduato non doveva rendere conto a nessuno delle sue soste, anche in orario di
servizio. “Nu babà dint na coppa ‘e rose…Sfruculiosa comm a te nun ci sta
nisciun…” Era ovvio il significato, ma Kathia fece finta di non aver capito.
“Maresciallo, qual buon vento ti porta da queste parti?” Per carità verso
Vittorio, non diremo che tali parole furono accompagnate da un frenetico sbattere
di ciglia, dallo stringersi nelle spalle in pudico atteggiamento e dal tono di
voce alla Minnie quando flirta con Topolino.
“Ero di pattuglia per un importante servizio antiterrorismo – bugia!! –
ma non potevo non fermarmi a salutare la più bella parrucchiera della Costa
d’Argento.” Come sono stupide le donne – N.d.A. – a non capire lo sporco gioco
dei Don Giovanni (o fanno finta di non capirlo?). “Ma và! Lascia perdere i
complimenti, che lo sanno tutti che ti sei perso dietro quella ninfetta della
tabaccaia. Dai, siediti qui e raccontami gli ultimi efferati delitti di cui ti
stai occupando.” “Bella e perspicace – ribatté il militare – In realtà c’è un
delitto sul quale stiamo investigando.””Racconta.” Il Maresciallo si mise
comodo, per quanto le assi della panchina lo consentissero, e si accinse a
narrare le proprie audaci avventure aggiungendo un fiocco qua e là, giusto per
rendere la storia più interessante. Il passante, estraneo ed obiettivo, che
casualmente fosse transitato vicino alla coppia durante la conversazione, non
avrebbe faticato a notare che nel racconto c’erano più fiocchi che realtà, ma
non passò nessuno. “Mi trovavo comandato…- si accorse subito di aver esordito
con un tono troppo burocratico, e ricominciò – Ero solo a gestire la postazione
della Beneamata quando, qualche giorno fa, ricevetti una chiamata. Lasciai cadere
sulla mia grande scrivania dirigenziale le cartelline aperte sulle indagini a
proposito delle Brigate Rosse, del Mostro di Firenze e sull’intreccio della CIA
con i Servizi Segreti nord coreani, e ascoltai con attenzione la voce disperata
di una donna che implorava il mio aiuto.” Se si dovesse riportare fedelmente
tutta la immaginosa pappardella che il Viglietti imbastì per far colpo sulla
Kathia, non basterebbe una risma di carta. La donna ascoltava divertita e
leggermente affascinata più dalla fantasia del carabiniere che dal carisma
dell’uomo. Coglieva, distrattamente, una frase qua e là mentre si domandava
come facesse quel degno erede di Pulcinella a muovere tutti i muscoli facciali,
dalle sopracciglia alle orecchie. “…e quindi, che t’aggia a dicere, constatai
il decesso per strangolamento di tale Marinella Cimbula.” La Kathia si
riscosse: quel nome lo conosceva. Immaginando di essere Sophia Lorèn con
Vittorio de Sica, non seppe trattenersi da interrompere l’interlocutore in
questa maniera: “Tuppe, tuppe, Marescià. Fermati un momento. Mi sa che quella
ragazza era mia cliente.” “O’ vero?” “Sissignore – i fianchi fremevano per
esibirsi in una “mossa” da sciantosa che però venne repressa. – Aveva telefonato
tre o quattro giorni fa per prenotare un taglio e colore e, ricordo, ebbi
qualche esitazione nel darle l’appuntamento perché ero piena di gente.” “Poi
venne da te?” “Si, in qualche modo la incastrai tra una ragazza per gli
shiatush e quella signora cieca che viene regolarmente a farsi sistemare.”
“Interessante” Disse il militare per lusingare con la propria attenzione la
parrucchiera, anche se pensava il contrario. “Ma, raccontami, com’era la scena
del delitto?” chiese Kathia. “Ti dicevo che fui chiamato da una amica della vittima
che era andata a farle visita. La donna, trovando la porta della villetta
aperta, aveva provato a premere il campanello. Dal mancato suono, e dall’oscurità
all’interno, si rese subito conto che nell’abitazione mancava l’energia
elettrica. Provò a bussare e dopo entrò cautamente, per poi scappare urlando
quando vide la Cimbula stesa a terra con un laccio al collo, chiaramente
morta.” “Quindi?” “Siamo intervenuti e
abbiamo rilevato come fosse stato provocato un corto circuito dall’esterno e,
pertanto, sembra che il delitto sia stato commesso al buio. La cosa ci lascia
perplessi e non siamo ancora riusciti a ricostruire esattamente la dinamica dei
fatti.” In quel momento un richiamo venne dall’interno del negozio. “Kathia,
c’è il tu marito al telefono – urlò l’Antonella – che gli devo dire, che sei
occupata con…” “Oh, te sei proprio grulla, ma grulla tanto! Arrivo, ciao
marescià!” La parrucchiera congedò in questo modo il carabiniere per andare a
parlare con Vittorio. Fu particolarmente carina e gentile al telefono, come per
farsi perdonare…niente.
Perché si
ricordava di quella donna, la vittima, anche se non era una cliente abituale?
La Kathia non riusciva a prendere sonno e si rivoltava nelle coperte con la ritmica
compagnia del sommesso russare del marito. Si rivide mentre la faceva sedere sulla
poltrona avvicinando la bacinella per fare lo shampoo. Poi, come sempre, annodò
il telo intorno al collo e, delicatamente, le premette sulla fronte per accompagnare
la testa verso l’acqua. Ecco cosa le fece impressione. Rovesciando il capo all’indietro,
e bagnando i capelli, la Kathia aveva notato le lunghe cicatrici tutt’intorno l’attaccatura
e ancora dietro le orecchie. Si era incuriosita e, osservando meglio, fece caso
ai rigonfiamenti sugli zigomi ed alla strana forma del mento. In quel momento
aveva pensato a come fossero stupide le donne a sottoporsi a tanti interventi
di plastica facciale solo per sembrare più belle, e che lei non lo avrebbe
fatto mai. Proprio questa riflessione le rimase impressa, con la fisionomia
della cliente.
La Mattina
dopo, sul presto, la parrucchiera lanciò la sua Panda 4X4 sui tornati della
salita verso Capalbio e, parcheggiando alla bell’e meglio accanto alla pupazza
della fontana, si attaccò al campanello della Stazione dei Carabinieri. Venne
ad aprire proprio il maresciallo, un po’ sciupato a quell’ora. “Ohee, una
stella di mattina: che cosa ecceziunala! Dopo che ti avrò offerto un caffè, fatto
con la macchinetta che mi sono portato da casa, mi dirai a che devo l’onore di
questa visita.” “Viglietti, non è il momento di scherzare!” “E’ successo
qualcosa?” chiese il militare improvvisamente diventato serio ed allarmato dall’espressione
dell’amica. “No, niente, io sto bene, ma devi dirmi una cosa.” “Se posso…” “La
donna trovata morta era una collaboratrice di giustizia?” “Ma come…si, hai
indovinato, ma adesso mi devi spiegare come l’hai capito e perché ti interessa.”
Un sorriso si stese sul volto di Kathia, fiera di aver verificato l’ipotesi che
aveva immaginato durante la notte. “Non solo questo – rispose – ma ti dirò
anche chi l’ha uccisa.” “L’hai letto nei fondi del caffè?” “No, caro mio, ho
solo osservato, riflettuto e, quindi, dedotto.” “Sentiamo.” “Quando venne da me
a farsi lavare i capelli, notai le cicatrici della Cimbula che erano l’evidente
indicazione di una pesante plastica facciale. Unite agli altri segni
significavano che la donna aveva voluto cambiare completamente e radicalmente
la sua fisionomia. Questo era eccessivo per compiacere la propria vanità. Stava
ad indicare solamente una cosa: che voleva nascondersi cambiando faccia!” “Vai
avanti.” “Allora ho capito che doveva trattarsi di una ex terrorista, o
qualcosa del genere, che si nascondeva dai suoi passati complici e dalle loro
vittime. Ma c’è una cosa che non aveva pensato di modificare: la voce.” “Embè?”
“Accanto a lei era seduta quella mia cliente cieca e, come saprai, i non
vedenti hanno un orecchio particolarmente fino. Ecco, io penso che la cieca
abbia riconosciuto la Cimbula dalla voce e, sentendola, abbia rivisto l’assassina
di un figlio o di una persona cara, che magari aveva udito deporre in
tribunale. A questo punto sia riuscita, non so come, ad entrare nella villetta
della vittima staccando la corrente, forse aiutata da un complice. Poi, nascosta
al buio dentro la casa, quando entrò la vittima spaesata dall’oscurità, le sia
saltata addosso e, con la forza dell’odio covato per tanto tempo, l’abbia
strangolata.” Silenzio. La mascella del maresciallo era crollata in un’espressione
che ricordava quella di una cernia stupita. “Beh – disse il carabiniere quando
si fu ripreso – la ricostruzione è fantasiosa, ma plausibile, anche se presenta
alcuni punti da chiarire. In questo caso direi…ancora oscuri (risatina), ma
merita di essere verificata.” Il rappresentante delle forze dell’ordine si
sentì richiamato al suo dovere e congedò rapidamente l’amica mettendosi alacremente
al lavoro per le opportune verifiche.
Qualche
giorno dopo “Il Tirreno” strillò così: “Il Delitto della Cieca – svelato il
mistero dell’assassinio della ex terrorista – Le Autorità ringraziano una
solerte cittadina per la collaborazione fornita alle indagini.” La Kathia, all’ombra
del tiglio sulla panchina di fronte al negozio, inalberava un bel sorriso di
soddisfazione con accanto le dieci copie del quotidiano che aveva comprato per
ricordo e per compiacersi di come fosse venuta carina nella foto in cronaca.
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