mercoledì 7 gennaio 2015

Ciao, sono io.

“Stefano, c’è una chiamata per te.” Il barman mi chiamò in stanza per annunciarmi una telefonata che, non ricordo per quale ragione, non poteva essere passata. La Villa dei Pini era un vecchio albergo di Fregene dove trascorrevo le mie vacanza estive nel quale mia madre prenotava una stanza per tutto il mese di agosto e mi lasciava, solo, fidando che i proprietari ed il personale, che mi conoscevano dalla nascita, avrebbero, in qualche modo, vegliato su di me. Ovviamente non era così ed io, forte dell’esperienza dei miei quindici anni, gestivo goduriosamente la mia beata indipendenza. Alla mattina, colazione in camera (doppio cornetto) se riuscivo a svegliarmi prima delle dieci e trenta, poi al mare col motorino, da Toni o all’Albos, a trovare gli amici fino alle due quando, avendo a disposizione la pensione completa, tornavo nel ristorante dell’albergo. Sotto i pini e con un giornaletto per compagnia, spiluccavo una fettuccina, piuttosto che la cotoletta, per finire con un’ombra di crostata. Ricca siesta fino alle cinque quando tornavo al mare per bagni e pallavolo fino al tramonto. I gestori del Tirreno ancora ricordano un gruppo di ragazzi, tra i quali spiccava un acerbo emulo di Gigi Rizzi, vestito con aderenti pantaloni bianchi a zampa, camicia di seta e collana d’argento con decine di amuleti e pendagli, che si presentavano nel night quasi tutte le sere verso la mezzanotte per ascoltare la musica, ballare un po’, e (essendo scattata la prescrizione, lo si può confessare) dividersi una boccia di whisky. Volendo pignoleggiare, e per onestà intellettuale, il Rizzi, che all’epoca essendo fidanzato con Brigitte Bardot era l’eroe nazionale, aveva un fisico leggermente più asciutto di me, ma lo sentivo fratello nelle comuni aspirazioni di vita. Insomma: una vitaccia. Manca l’altra metà del cielo, ovvero le ragazze che, a quell’età con un flipper di ormoni in costante rischio di tilt, occupavano, se non il tempo, certamente gran parte delle fantasie dei maschietti. Per quanto mi riguarda ero…non so come dire: fidanzato è troppo, impegnato mi sembra impegnativo, promesso non si può sentire…diciamo coinvolto da una dolce, bionda, tenera, a volte impertinente, piccola quattordicenne che però trascorreva le vacanze in un’altra località balneare con i genitori. Per grazia di Dio, oltre ai segnali di fumo, non esisteva altro modo per tenersi in contatto che il telefono, senza la disgraziata schiavitù della costante reperibilità imposta dai moderni cellulari. Per questo con la mia…non so come dire: ragazza non ancora, bambina mi sa di perverso, donna non si può sentire…diciamo piccolo amore le comunicazioni erano sporadiche e dovevamo indovinare il momento nel quale entrambi eravamo disponibili e nei pressi di un apparecchio telefonico. Quella sera ricordo che avevo appena domato con il phon, la mia vivace e ribelle chioma che non intendeva adeguarsi alla moda dei capelli lisci, che ricevetti la sua telefonata. “Pronto, sei tu?” “Si, sono io, ti chiamo da Anzio.” “Come stai…” e così via, entrambi timorosi di dimostrare a parole il reciproco interesse e con lo strano pudore tanto contrastante con la spavalderia dell’età. Anche il grande e millenario ulivo è germogliato nascendo da un piccolo seme piantato con cura o portato dal vento del destino, fatto sta che sono passati quaranta e più anni e ancora ci diciamo: “Come stai…” 

Nessun commento:

Posta un commento