Forse si
chiama spatola, o forse in un altro modo, quell’attrezzo che scolla uno strato
di materiale dall’altro. Certe canzoni sono una spatola, o quell’altro, che
separano l’oggi dai tanti ieri, fino ad arrivare ad un’emozione. Vera o immaginata,
vissuta o sognata, non importa. Forse esiste un’anima universale, che tutto ha
provato e di ogni cosa è testimone, che lascia la sua impronta dentro ogni
essere umano, e quando una chiave scardina le incrostazioni del cinismo rilascia
una sensazione che non è nel vissuto del protagonista, ma nell’esperienza di
tutti. Perché le parole di una vecchia ballata o la musica scritta secoli fa fanno
sognare ancora oggi? E com’è che la pennellata di un accordo accarezza la
fantasia senza la pur minima condivisione di esperienze? Qual è quell’immateriale
senso che fa descrivere come ammaliatore un astro lunare freddo come un sasso o
evocativo il taglio nella tela di un artista? Potremmo vivere sull’istinto e
per la soddisfazione dei bisogni, ma quando parte una sinfonia, o una semplice canzonetta,
il nostro piccolo io diventa parte di un tutto che non sappiamo. E che forse
non esiste, ma ci racconta qualcosa che va oltre la nostra parte materiale.
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