martedì 21 febbraio 2017

Carousel


In Inghilterra lo chiamano “carousel”, e quel termine gli sembrava in qualche maniera più adatto a descrivere il colorato marchingegno. Forse perché la parola richiama il Carosello dei Carabinieri, con i cavalli addestrati a muoversi al suono della fanfara con la grazia di un corpo di ballo, oppure perché gli faceva tornare in mente il vecchio programma pubblicitario trasmesso dalla televisione, comunque il sostantivo italiano: “giostra” gli appariva scialbo riferito ad un armamentario costruito allo scopo di far sognare. Ne avevano montato uno nel piccolo parco nelle vicinanze della sua abitazione ed ogni volta che passava lì accanto, richiamato dalle marcette musicali sparate dagli altoparlanti e dalle grida dei bambini, non poteva fare a meno di fermarsi per un momento. In certe ore del giorno, specialmente al crepuscolo, sembrava che una fata passasse in volo lanciando un incantesimo sopra al branco dei piccoli stalloni rampanti che, illuminati da neon e faretti, prendevano vita lanciandosi in un galoppo frenato solo dal palo di sostegno. Ogni sera, mentre il giardino si piano piano si svuotava, il rumoroso gioco rimaneva solitario e spendente, come un’isola di gioia in un mare oscuro, mentre gli specchi ancora in movimento lanciavano bagliori di luce verso le panchine abbandonate ed i cespugli in penombra.
-Anche a lei piacciono le giostre? – Cosa voleva quella ragazza da lui? Non aveva voglia di parlare con nessuno, e tantomeno con una bella giovane donna che, chissà perché, sembrava voler attaccare bottone.
-Già. – Meno sillabe possibili, e la speranza che la sua scontrosità la inducesse ad allontanarsi.
-Non so – disse lei – se la giostra mi mette allegria o tristezza. Da una parte mi ricorda la mia infanzia e di come ero spaventata mentre mio padre mi sollevava per farmi inforcare quel destriero che mi appariva tanto minaccioso, anche se immobile. Dall’altra mi sembra sempre il compendio dei sogni, dove tutto è illusorio e termina dopo pochi giri. Come le aspirazioni della vita che ti fanno illudere per brevi momenti e poi ti riportano a terra senza lasciarti niente se non il rimpianto di una risata fugace. – Non aveva né la volontà né il tempo per sforzarsi di fare una conversazione con la sosia di Françoise Hardy. Sorrise fra sé, la ragazza poteva avere una trentina d’anni e certamente non conosceva la cantante francese, però la cortesia gli imponeva una risposta.
-Sono solo buffi animali di plastica che corrono in tondo. E’ un’attrazione che probabilmente non emoziona più i bambini di oggi, abituati ai video giochi ed alle realtà virtuali. A me sembra quasi una forzatura da parte dei genitori che, grazie ad un rito che li riporta indietro nel tempo, rivivono il sapore dei giorni perduti.
-Ha ragione. Il fatto che i sogni siano sempre gli stessi è una menzogna letteraria, e questo vale per tutti, a qualsiasi età. – La guardò attentamente per la prima volta.
-Incomincia a fare freddo. Le andrebbe un tè? – Le disse sorprendendosi di se stesso. Non voleva essere cordiale, né tantomeno galante, ma quella donna lo incuriosiva. Sembrava che fosse una figura senza tempo né età. Sentiva in lei una saggezza che stonava col suo aspetto e con quel velo di malinconia che nasce solo dall’esperienza del dolore. La bellezza aveva poca importanza, anche se non avrebbe potuto essere che bella.
S’incontrarono molte altre volte dopo quel giorno. Lui la portò a vedere i sacchi di Burri alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e lei lo imboccò con le bacchette per fargli assaggiare il sushi. Girarono di notte per Roma scapigliandosi al vento della spider rossa e si fermarono al barcone sul Tevere per sfidarsi all’ultima tequila. Poi superarono il pudore ed ognuno fece un passo verso territori prima d’allora sconosciuti. L’uomo assaporò nuovamente la gioventù e la ragazza si affacciò sul futuro che l’avrebbe aspettata. Lui si muoveva con circospezione per non corromperla, lei spandeva gemme di giovinezza come una divinità pagana. Il rapporto era sbilanciato, nessun bagaglio di esperienza avrebbe mai potuto compensare la meraviglia delle scoperte, e la forza dell’inizio della vita era sempre vincente sulla disperazione degli ultimi bagliori di un viaggio.
Un giorno, ad uno dei due, scappò un “ti amo” e quella fu la fine. Finché ognuno prendeva dall’altro quello che gli mancava, il contratto poteva dirsi compiuto con la soddisfazione delle parti, ma un passo successivo significava modificare il rapporto che s’era creato fra di loro. Lei non voleva amarlo e lui aveva già troppo sofferto. 
Si ritrovò a guardare nuovamente il carousel, mentre non sapeva se essere grato al destino per avergli concesso una parvenza di primavera oppure maledire la sorte per la nostalgia che sentiva montargli dentro. Il polline nell’aria lo fece lacrimare, mentre l’ultimo giro di giostra fermava i cavalli al suono di un vecchio valzer.




2 commenti:

  1. Seeeee,allergia! È la realtà cruda e crudele. Noi che non abbiamo più trent'anni ritroviamo la nostra giovinezza in sprazzi e lampi velocissimi. Subito è gioia allo stato puro, dolce e soave. Dopo dolceamara malinconia.
    Come al solito sei bravissimo a rendere i sentimenti più intimi con le parole.

    RispondiElimina
  2. Seeeee,allergia! È la realtà cruda e crudele. Noi che non abbiamo più trent'anni ritroviamo la nostra giovinezza in sprazzi e lampi velocissimi. Subito è gioia allo stato puro, dolce e soave. Dopo dolceamara malinconia.
    Come al solito sei bravissimo a rendere i sentimenti più intimi con le parole.

    RispondiElimina