lunedì 27 marzo 2017

Lui era diverso

Il mendicante sentì tintinnare una moneta sul selciato accanto a lui ed allungò una mano per prenderla, ma non vedeva ed, a tentoni, spazzò per terra raccogliendo solo polvere ed un altro frammento di disperazione. I viandanti gli passavano accanto con passi frettolosi in una confusione disordinata che somigliava al frenetico ronzio di un alveare quando tra le api cade un corpo estraneo a disturbarle. Nessuno si fermava, ma spesso le persone si scontravano tra loro e poi si toccavano in segno di scusa o solo per scansarsi. Anche se il negozio del barbiere lungo la via aveva esposto un cartello di chiusura in vetrina, molti uomini provavano a spingere la maniglia trovando la porta serrata. Qualcuno scendeva dal marciapiede per attraversare la strada, ma a pochi era concesso di raggiungere il lato opposto rimanendo incolume. Le macchine non si fermavano mai e la fortuna non era sempre dalla parte dei pedoni che tentavano l’avventura. Le stesse autovetture spesso cozzavano tra loro, poiché nessuno rallentava agli incroci, ed ai bordi delle carreggiate si ammucchiavano rottami e pezzi sparsi di ferraglia. Il motivo per il quale in città regnava quel caos era semplice ed evidente: tutti gli abitanti vivevano senza la testa. Non si conosceva la causa della malformazione né era spiegabile il mistero per il quale i corpi conducevano un’esistenza pressoché normale pur con quella amputazione. Sia i maschi che le femmine potevano provare dei sentimenti ed, in qualche maniera, si nutrivano e lavoravano. I bambini nascevano dalle loro unioni e crescevano, quando con molta buona sorte riuscivano ad evitare i continui pericoli. Esisteva l’amore e l’amicizia, ma tutto si esprimeva tramite il tatto, visto che sopra al collo non c’erano labbra per baciare, occhi per riconoscersi o orecchie per sentire. Era quella la normalità nella piccola città e nel resto del mondo, per quanto quegli abitanti ne sapessero. Ma la natura ogni tanto si diverte a fare degli scherzi e tanto fu lo stupore della madre di Davide quando si avvide che il figlio era nato con un cranio sviluppato. La povera donna mantenne il segreto sperando che forse, un giorno, quell’escrescenza sarebbe caduta da sola. Il ragazzo crebbe con due grandi occhi blu ed una folta chioma e, solo fra tanti, poteva udire il rumore del mare e cantare delle melodie che s’inventava, perché nessuno sapeva cos’era la musica. Era consapevole della sua diversità e un po’ se ne vergognava, ma gli altri, non vedendolo, non se ne accorgevano quasi mai. Un giorno incontrò una ragazza con appesa al collo tronco una catenina con scritto “Alice” e se ne innamorò. Lei aveva una figura sinuosa e bellissima e le sue mani, affusolate e pallide, sembravano due farfalle svolazzanti mentre cercava di farsi capire o di esprimere qualche concetto. Davide la toccò per presentarsi e guidò i polpastrelli di lei sulla sua figura per darle un’idea di sé, ma stette bene attento a non portare l’esplorazione oltre il collo per non rivelare la sua deformità. S’incontrarono più volte, dandosi appuntamento su di una panchina nel giardino comunale, ed anche se solo lui poteva sentire il profumo dell’erba o vedere il colore del cielo, nei loro cuori nacque la passione. Il ragazzo avrebbe protetto la sua innamorata e quello che lui aveva in più nei sensi, Alice l’avrebbe compensato con la dolcezza. Davide era deciso a chiederle di sposarlo e quindi, in un giorno di primavera, le diede appuntamento andandole incontro con un grade fascio di primule e giaggioli tra le braccia. Quando s’incontrarono si vedeva chiaramente, dal fremito del corpo e dalla mimica delle mani, che Alice era felicissima, e di slancio lo abbracciò. Carezzava il suo amato e lo stringeva con ardore, ma nell’entusiasmo le sue estremità salirono su per il collo di Davide. Invece di trovare un troncone, come in lei stessa ed in tutti gli altri, Alice sentì qualcosa di inaspettato: una cosa tonda piena di umidi anfratti e pelosa. Lo allontanò bruscamente ritraendosi schifata. Il suo amore era un mostro! Si spaventò moltissimo e corse via agitando le braccia disperata. Davide sentì crollargli il mondo addosso. Poteva capire la ragazza, ma lui non aveva nessuna colpa nell’essere com’era. In fondo quello che avrebbe dovuto importare era solamente il sentimento che sentiva dentro di sé e non il suo aspetto esteriore. Passò giornate piangendo e maledicendosi. Cosa contava bearsi dei tramonti o del canto degli uccelli, a cosa gli servivano queste superflue capacità se non poteva essere felice? Non dormì per molte notti interrogandosi su come avrebbe potuto convincere Alice ad accettarlo o sulla maniera di farsi in qualche modo perdonare per la bugia che le aveva detto. Era stata una piccola menzogna dettata dalla paura di un rifiuto, ma anche se lei non avesse tenuto in conto l’inganno, certamente non sarebbe mai stata in grado di vincere la repulsione nel sentire una testa quando l’avrebbe toccato. Si arrovellò ancora per giorni, finché per caso non si trovò a sfogliare un vecchio libro con delle illustrazioni che doveva appartenere ad un’altra era o ad un mondo perduto. Lì trovò la soluzione del suo problema ed il suo volto, dapprima perennemente corrucciato, si aprì in un largo sorriso. Si armò di una certa quantità di travi e di legname e si procurò gli attrezzi necessari. Passò anche dal fabbro che, pur non capendo il motivo della richiesta, gli fornì quanto di meglio aveva in bottega. Si mise quindi al lavoro di buona lena per fabbricare il macchinario che aveva in mente. Segò, piallò, inchiodò, passò funi e grasso per lubrificare ingranaggi e guide di scorrimento, e dopo un certo tempo poté finalmente rimirare la sua opera compiuta. Il manufatto era imponente e lucido di cera e vernice, e Davide lo guardò compiaciuto e soddisfatto, era sicuro che avrebbe funzionato alla perfezione. Chiuse il libro con la figura che l’aveva ispirato e lesse la didascalia scritta sotto: “ghigliottina”. Tutti i corpi di sua conoscenza vivevano senza testa e non c’era pertanto alcuna ragione che anche il suo non avrebbe fatto lo stesso, e quindi si stese sulla panca appoggiando il collo in corrispondenza della lama. In mano teneva la corda per sbloccare la caduta della mannaia, ma prima di procedere guardò per un ultima volta in direzione della finestra. In quel momento pioveva e le gocce d’acqua avevano disegnato un reticolato iridescente sui vetri, mentre uno spicchio di luna cercava di farsi largo tra le scure nubi spandendo un lattiginoso chiarore che si rifletteva sui tetti bagnati delle case. Davide era consapevole che avrebbe perso questo e tutti gli altri spettacoli della natura, ma pensando ad Alice, con un sospiro, tirò la fune e la macchina fece il suo dovere. La testa rotolò sul pavimento con gli occhi chiusi ed un sorriso sulle labbra. Dopo qualche minuto di immobilità, Davide si rialzò dal ceppo anche se un po’ malfermo sulle gambe. Barcollò in direzione della porta ed, a tentoni, trovò l’uscita dirigendosi verso l’abitazione della sua amata. Doveva abituarsi alla sua nuova condizione e spesse volte inciampò andando a sbattere contro altre persone o i muri delle case. Casualmente dette un calcio ad un bastone e lo raccolse per aiutarsi, mentre sentiva il cuore traboccante di gioia.

Lungo il corso di quella città, per molti anni a venire, due amanti senza testa passeggiarono tenendosi per mano. Lei aveva qualche fiore di primula e giaggiolo appuntato sulla veste e lui si appoggiava ad un bastone. Anche senza occhi, si vedeva che erano felici.


   

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