sabato 13 aprile 2019

Souvenir

Si trovava proprio all’incrocio di due vicoli, nel cuore della città vecchia: un portoncino a due ante, di legno scuro finemente lavorato con tante piastrelle intarsiate ognuna con un fiore diverso. Finiva ad arco, incastonato in una cornice di pietra chiara dalla cui chiave di volta scendevano tralci scolpiti con una fantasiosa vegetazione ricca di palme, serpenti ed uccelli in volo. Due grandi batacchi a forma di zampa di leone suggerivano che quella meraviglia di un artigianato antico avesse un uso pratico, oltre alla sua semplice funzione estetica, anche se i cardini ormai saldati dalla ruggine apparivano come dei sigilli apposti per la custodia di mondi segreti. Nei bianchi muri a calce ai due lati della porta non si affacciava alcuna finestra ma, come schizzi di un pittore impressionista sopra una grande tela, erano infissi una moltitudine di portavasi con piante fiorite dai colori vivaci. Nel vento leggero si avvertiva il profumo dei gerani e delle rose mischiato con l’odore salmastro del mare non lontano. In giro non c’era nessuno, mentre gli unici rumori provenivano dal fondo della stradina, oltre la curva, dove forse un ciabattino ritmava il suo lavoro al battito di un martello. Mi sembra anche di ricordare la voce lamentosa di una cantante di flamenco sfuggire da dietro le persiane chiuse di una casa un poco più avanti, ma probabilmente è solo la suggestione della memoria. Non saprei dire che ora fosse, ma la luce era intensa in una giornata di sole pieno durante un agosto di tanti anni fa. Nessun regista potrebbe mai ricreare un simile momento perché alla scenografia perfetta faceva eco un’emozione del cuore che colorava ogni cosa di magia. Le dissi di avvicinarsi al portoncino per scattare una foto. Lei andò, mise le mani dietro la schiena e si appoggiò al legno. Incrociò le gambe e con un rapido movimento gettò indietro i capelli. Poi mi guardò e sorrise alla Kodak, o forse a me. Scattai e qualche volta, ancora oggi, riguardo quel souvenir di Malaga e di noi.

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