Quella maledetta pallina mi
prendeva per il culo. Un ampio swing all’inizio, con la forza giusta, e lei spiccò
il volo. Sembrava avesse puntato la piazzola del green e la volesse raggiungere
a tutti i costi, inesorabile e determinata. Si librò alta, indifferente agli
sbuffi del vento e quasi irridendo i rami protesi per ostacolarla, docile e
precisa come il meglio addestrato fra i segugi. Toccò terra rotolando
graziosamente come una ginnasta all’uscita di un esercizio. Le mie aspettative
non sembravano in quel momento mal riposte mentre mi illudevo che il golf non
fosse uno sport poi tanto difficile. Con allegrezza percorsi le poche centinaia
di metri che mi separavano dal nuovo incontro con la mia piccola amica lucida e
tonda. Stavo gareggiando su un par 4, mentre il sole illuminava il sentiero
della prossima gloria e ondivaghi stormi di volatili canterini disegnavano
forme sempre nuove su una tela dipinta di blu. Il secondo colpo fu abbastanza
soddisfacente. La pallina non si rivelò altrettanto volenterosa come nel primo,
ma svolse il suo compito con diligenza posizionandosi ad appena un paio di
metri dalla buca. Giulio Cesare non appena varcato il Rubicone non ebbe dubbi
sulla vittoria, anche se ancora non aveva combattuto la battaglia, così io mi
sentivo, fiducioso e sereno, sicuro che la mia perizia unita alla benevolenza
del fato avrebbero condotto al trionfo. Il mio avversario sul green, lo
chiamerò fittiziamente Severiano per non urtare alcuna suscettibilità, sembrava
ormai rassegnato a fare da comparsa in una recita che mi vedeva da solo alla
ribalta, protagonista e mattatore. Mi avvicinai alla pallina con la ragionevole
certezza di centrare un “birdie”, il primo della giornata ed anche della
stagione. Chi mi conosce sa che sulle questioni importanti non mento, e se dico
che postura, forza e orientamento del colpo furono quanto di meglio si
richieda, mi si può credere. Impattai e lei partì. Non doveva far altro che
andare dritta per una manciata di centimetri e poi lasciarsi cadere in buca
come una fanciulla innamorata tra le braccia dell’amante. Ma la pallina, lo
dice il nome stesso, è femmina e quindi capricciosa. Mi illuse per il primo
metro rotolando composta e diligente, ma poi come una signora a passeggio lungo
una via dello shopping che si accorge di una nuova borsa nella vetrina di un
negozio, improvvisamente deviò il suo percorso distraendosi dalla meta. Un
gentiluomo perdona sempre la propria compagna e quindi, solo leggermente
deluso, mi apprestai al quarto colpo per chiudere in parità col par; andava
bene lo stesso. Presi il mio tempo e andai a colpire ancora, comunque
fiducioso. Severiano, appoggiato sulla spalla del caddie, guardava
sogghignando. Dall’alto della sua maggiore esperienza sapeva che si stavano
manifestando i prodromi del dramma e voleva goderselo tutto. La pallina sentì
la carezza della mazza, ma ormai sembrava essersi innervosita e non gradì.
Partì, piano piano, e si avvicinò alla buca, scarrocciò sul bordo e proseguì
sul green rifiutandosi di entrare. Che avrebbe detto Giobbe? Probabilmente
avrebbe alzato le spalle, si sarebbe aggiustato il berretto, una sistematina al
guanto e avrebbe serenamente continuato. A me venne spontaneo un rigurgito di
rabbia e, se non ci fosse stato Severiano, avrei volentieri preso a morsi la pallina,
anche col rischio di compromettere il lavoro del mio dentista. Ma bisogna mostrare
fair play e quindi, appena un po’ più vermiglio del solito, andai appresso alla
pallina per il tiro finale. Trenta centimetri? Forse meno, questa era la
distanza da coprire. Un tocchettino. Lo so, è la mia immaginazione forse
esaltata da un goccio di whisky, ma mentre la fissavo per colpirla, mi sembrò
che la pallina mi guardasse sfidando la mia supposta padronanza, come una
suffragetta nei confronti del potere maschilista. Non si sarebbe piegata al mio
volere, e infatti nonostante la poca forza, la pallina sorvolò la buca per
posizionarsi dall’altra parte. Siamo uomini o caporali (cit. Totò)? Mi
avvicinai a lei brandendo la mazza come un cavernicolo con la clava e, senza
por tempo in mezzo colpii ancora. E ancora, e ancora e ancora. Severiano si
stava sganasciando mentre il caddie segnò + 8 sul blocchetto dello score.
All’ultimo colpo, con l’asta della bandierina in mano e guardando il fondo
della buca dove finalmente giaceva la mia nemica, ruggii a piena voce:
“Fuck!!!” Non fu una scena elegante, ma mi sembrò il minimo.
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