Io non gliel’ho detto mai, ma questa
sua presunzione di avere il cervello più fino di qualsiasi altra persona, mi ha
sempre urtato profondamente. Nel mio ruolo di biografo ufficiale di Sherlock
Holmes, ho descritto il mio supposto amico come una persona eccezionale, di
grande sensibilità ed altruismo. In realtà, è ora che lo confessi, il detective
privato più famoso di Londra è un gran fanfarone, tutto fumo e pochissimo
arrosto. Per farvi un esempio:
-Allora Watson, com’era il tempo a
Leigh on Sea?
-Perbacco Holmes, come avete fatto a
capire che torno adesso da una gita al mare?
-Ah, ah, ah! Elementare, per non dire
puerile. Avete il tacco della scarpa destra con ancora un po’ di fanghiglia
appiccicata ed un piccolo rametto di “crithmum maritimum”, o finocchio di mare,
infilato tra i capelli. Si tratta di una pianta alofila (dal greco halo = sale
e phile = amico) che alligna nei terreni salmastri e, con particolare vigore,
nella contea dell’Essex. Poi ricordo che tempo fa, sfogliando una rivista illustrata,
ve ne usciste con un apprezzamento particolarmente vivace su quella cittadina.
E quindi…
-Già, già.
-Ritengo inoltre che abbiate assai
gradito il pasticcio di montone servito dal “Blue Boar”, il pub locale. E, con
sufficiente certezza, non vi sarete fatto mancare una buona pinta di birra ed
una chiacchierata con l’ostessa che, vi dirò di più, è una giovane dai capelli
rossi e ben in carne.
-Santi Numi! Questa poi…Come sapete
dove mi sono fermato a mangiare e addirittura l’aspetto della proprietaria del
locale?
-Osservo e deduco. Sul bavero della
vostra giacca si nota distintamente una briciola di pasta brisee che, a pranzo,
si serve spesso ripiena di montone, e poi dovreste spazzolare via quel capello
fulvo che spicca nettamente sulla vostra spalla. Lo dico per voi e per non
indurre strani pettegolezzi. In quanto al nome del locale, siccome anch’io mi
recai un lustro addietro da quelle parti, ricordo come solo al Blue Boar vidi
servire ai tavoli una piacevole donna formosa dalla capigliatura color del
rame.
-Come al solito mi stupite, Holmes.
-Elementare, Watson, elementare.
Così lui fece bella figura facendomi
sembrare uno sprovveduto. Salvo sapere successivamente che, poco prima che
salissi le scale verso il nostro appartamento, un vetturino aveva lasciato
nelle mani di Holmes una sciarpa che avevo dimenticato al pub con la preghiera
di consegnarmela unitamente ai saluti dell’ostessa ed all’invito a rinnovare la
visita per gustare nuovamente il montone. Altroché capacità deduttive: fumo,
solo fumo.
Comunque, non era questo che volevo
raccontare.
Era la sera della vigilia di Natale,
io ed Holmes avevamo cenato abbastanza presto facendo onore ai manicaretti
preparati dalla signora Hudson con la cura e la devozione richiesti dalla
solenne ricorrenza. Eravamo ormai al Christmas Pudding, accompagnato da una
dosa generosa di Porto, quando il mio commensale, forse intenerito
dall’atmosfera festiva, si abbandonò a confidenze per lui del tutto inusuali.
-Caro Watson, - mi disse a bassa voce
con aria sognante – ricordo quando io e mio fratello Mycroft aspettavamo questa
magica notte con ansia e trepidazione. Come tutti i bravi bambini, eravamo
soliti preparare una letterina per Babbo Natale che poi consegnavamo per la
spedizione nelle mani di nostro padre. Mi dovete credere, eravamo assolutamente
sicuri che, durante la notte, il vecchio panzone vestito di rosso ci avrebbe
portato i regali richiesti e, per l’emozione, non riuscivamo a chiudere occhio
fino a tarda ora. Naturalmente il giorno dopo trovavamo vicino al camino, o
sotto l’albero, tanti pacchetti ed, in qualche modo, ci sentivamo ricompensati
per tutti i buoni voti riportati a scuola durante l’anno trascorso. Da lì,
forse, nacque la convinzione che le azioni di ciascuno vengono sempre ripagate
con la moneta corrispondente: chi ben si tiene, ne ricaverà vantaggio, ma chi
si comporta male ne subirà le nefaste conseguenze.
-Amen! –Interloquii con la lucidità
concessami dall’ennesimo bicchierino sorseggiato con gusto – Così deve essere:
a ciascuno il suo e…amen! – Mi rendo conto che avrei potuto fare di meglio in
sede di commento, ma fu già tanto riuscire a liberare la lingua dalle pastoie
del liquore.
-Però, fedele amico, l’esperienza
della vita mi ha poi insegnato che non sempre il destino si comporta in maniera
corretta. Spesso i buoni soffrono mentre i malvagi godono, e solo chi ha fede
in una ricompensa futura da riscuotere in un’altra vita può credere ancora che
valga la pena camminare rettamente in questo mondo pieno di ingiustizie.
-Sento dell’amarezza in queste parole,
Holmes. In fondo se Babbo Natale continua a tornare tutte le notti di ogni
ventiquattro dicembre, ci deve essere una brace di speranza che arde ancora
sotto la cenere della disillusione, e ciascuno di noi può sempre aspettarsi un
dono.
-Ho sempre saputo che siete un
sognatore ed un eterno bambino, caro il mio dottore. Ma la mia lente
d’ingrandimento non ha mai rilevato le impronte del passaggio di nessun Babbo
Natale ed ormai ho smesso di credere alle favole da molto tempo.
Finimmo la conversazione con qualche
altra rimembranza dei tempi andati e quando la pendola batté le undici, cedemmo
al richiamo del sonno. Io mi ritirai nella mia stanza con un trattato di
anatomia da sfogliare per fini soporiferi, ed Holmes prese con sé una scatoletta
che sapevo contenere quei medicinali ai quali ricorreva sempre più
frequentemente.
Non riuscii a finire il capitolo
riguardante la rotula e le sue articolazioni, che caddi nel sereno oblio dei
giusti. Ma il ripieno del tacchino servito per cena non ebbe la creanza di
transitare velocemente attraverso il mio stomaco, anzi si soffermò a lungo
causandomi un senso di disagio che innescò mille fantasmagorici sogni ed uno
sgradevole senso di pesantezza. Pertanto non saprei dire se fu immaginario o
reale il trambusto che mi parve di udire proveniente dal salotto in un’ora
imprecisata della notte. Comunque non ci feci caso più di tanto, impegnato
com’ero a combattere a fianco di Don Chisciotte contro degli strani mulini che
al posto delle pale mostravano la faccia scorbutica della signora Hudson.
La mattina successiva i fumi notturni
si dissolsero ed aprii gli occhi sentendomi di ottimo umore e con una strana
eccitazione addosso. Spalancai la finestra della mia camera abbeverandomi
dell’aria fresca mentre un pallido sole faceva sembrare bella anche Baker
Street, a quell’ora deserta ed imbiancata da un rilucente manto di candida neve
appena caduta.
-Watson, Watson, non dovevate! – Il
richiamo stentoreo della voce del mio amico mi giunse imperioso da oltre la
porta. Evidentemente si doveva essere alzato prima di me ed ora, in salotto,
richiedeva la mia presenza.
-Cosa? - Urlai di rimando, solamente
per avere una risata come risposta. Incuriosito affrettai le abluzioni
mattutine per raggiungere Holmes.
-Allora Sherlock, che vi prende? Cosa
non avrei dovuto fare? – L’investigatore con la pipa stretta tra i denti e con
indosso una sgargiante vestaglia di velluto rosso, mi guardò con aria
maliziosa.
-Questo pacchetto con scritto sopra il
mio nome. Eravamo d’accordo di non farci alcun regalo quest’anno, ma mi accorgo
che non siete stato di parola.
-Veramente Holmes, io…
-Aspettate! Anche questo…Mi accorgo
adesso che vi siete voluto disturbare addirittura con un altro presente. Fatemi
vedere. – Pronunciando queste parole, l’uomo si chinò per raccogliere un’altra
scatola che era scivolata dietro una poltrona vicino al camino.
-No, questo non è per me. Capisco che
abbiate voluto creare un clima festoso, ma giungere fino al punto di incartarvi
da solo un regalo e scriverci sopra il vostro nome, mi sembra un po’ eccessivo.
-Ma, vi assicuro…
-Siete impagabile, Watson. Avete
voluto farmi una sorpresa che non ricevevo dai tempi dell’infanzia. Non so come
ringraziarvi.
-Un momento, Holmes, fatemi parlare.
Questo fatto dei pacchetti…non è opera mia! E’ la prima volta che li vedo e rimango
allibito quanto voi.
-Cosa intendete dire? Volete affermare
di non essere stato voi a portare in casa le due strenne? E’ uno scherzo?
-Lungi da me prendervi in giro o
raccontare menzogne. Vi ripeto che non ho mai visto quei pacchetti.
-Beh, siamo in presenza di un mistero!
Voi non avete comprato alcun regalo, io non ci ho pensato minimamente, e allora
come può essere? – La mente allenata del detective si mise in funzione
automaticamente. – Teniamo presente che: ieri sera i pacchetti non c’erano; l’appartamento
è stato chiuso a chiave per tutta la notte; altre entrate nascoste in questi
locali non ce ne sono; nessuno ha il movente per farci dei regali di Natale. Va bene, Watson, procediamo nell’analisi. Apriamo,
con cautela, gli involucri e vediamo cosa contengono. – La cautela non fu
considerata minimamente, anzi ci precipitammo a scartare ognuno il suo regalo
con la frenetica curiosità di due bambini. Quando vidi il mio rimasi a bocca
aperta. Si trattava di un’antica promessa di Ippocrate stampata su pergamena
che avevo visto da un libraio antiquario ripromettendomi di acquistarla senza
però decidermi a farlo.
-E voi Holmes, cosa avete trovato? –
Mi accorsi che l’algido investigatore aveva gli occhi lucidi mentre tirava
fuori dalla scatola una piccola scultura in ceramica raffigurante un cane dal
manto nero e dalle lunghe orecchie.
-E’ Brutus, il mio cane di quand’ero
ragazzo. Fu l’unico amico per buona parte della mia giovinezza e il compagno di
tante giornate solitarie. Mi capiva e sapeva consolarmi come nessun altro e
quando morì piansi tutte le mie lacrime. Non l’ho mai dimenticato. – Restammo
entrambi assorti e pensierosi per alcuni istanti, stupiti di quei regali tanto adatti
ad ognuno di noi.
-Comunque Holmes, al di là del fatto
che questi doni ci facciano piacere, la domanda rimane: chi è il latore? E come
ha fatto ad indovinare cosa portarci? Ma, soprattutto, come è potuto entrare in
salotto? Siete voi il detective: orsù, fate onore alla vostra fama! – L’investigatore
raccolse il guanto di sfida lanciato alla sua intelligenza. Cominciò a
camminare per la stanza sbuffando fumo dalla pipa come la ciminiera di una
locomotiva e nello stesso tempo parlottava tra sé gesticolando come un
invasato.
-Nessuna entrata…salvo, naturalmente,
la canna fumaria del camino…due pacchetti ben incartati…il mio nome in forma
confidenziale…anche Watson…rumori nella notte…fuliggine sul tappeto…porte
sbarrate…niente di rubato…coincidenza con la festività…
-Ebbene? – Lo sollecitai
distogliendolo dalla sua maratona casalinga.
-Allora, caro Watson, è un classico
delitto della porta chiusa. Salvo che qui non c’è crimine, piuttosto un’azione
gentile. Il meccanismo però è lo stesso: apparentemente senza soluzione.
Nessuna possibilità di entrare, né di uscire, e solo un elemento nuovo sulla
scena che prima non c’era. Non si tratta di cadaveri, bensì di regali, ma
sembrano incongrui ugualmente.
-Quindi?
- Pertanto, in questi casi, si ricorrere
alla teoria dell’esclusione.
-Che dice…
-Enuncia come al momento in cui, per
un certo accadimento, vengano eliminate
tutte le cause impossibili, le ipotesi che rimangono, anche se improbabili,
devono corrispondere alla realtà dei fatti.
-Nel nostro caso?
-Non può essere entrato nessuno, ma
c’è un personaggio che non passa attraverso le porte e che conosce i desideri
di tutti. Si muove soltanto la sera di Natale e porta la felicità in ogni casa.
Non si fa vedere, ma lascia il segno del suo passaggio nel cuore di chi crede
in lui. E’ un signore anziano che però non invecchia mai, esattamente come i
sogni che ci portiamo dentro fin dall’infanzia. Viene cercando di fare meno
rumore possibile e poi si allontana nel cielo notturno. Insomma, l’identikit è
chiaro: si tratta di Babbo Natale!
-Perbacco Holmes, è non era mai
capitato di vedervi felice per “non” aver preso un colpevole!
-Buon Natale, Watson!
-Buon Natale, Holmes! – Arrossisco
mentre lo scrivo, ma devo confessare che per la prima volta, e forse l’ultima,
ci abbracciammo sorridendo come due bambini. Magari quest’ultima frase la
cancello.
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